La prima volta di Eugenio D'Andrea: «Io, avvocato dei cantanti grazie a quel no di Dalla»

La prima volta di Eugenio D'Andrea: «Io, avvocato dei cantanti grazie a quel no di Dalla»
Sabato 1 Febbraio 2020, 10:02 - Ultimo agg. 17:24
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La prima volta che incontrò Lucio Dalla fu a Sorrento, una mattina d'estate. Era il 1989, Eugenio D'Andrea, giovane e brillante studente alla facoltà di Giurisprudenza, in realtà avrebbe voluto fare il cantante; o meglio, il cantautore. Intonato lo era, e sapeva pure suonare bene la chitarra. Gli bastò vincere un concorso amatoriale organizzato dalla Carrà a Domenica In per convincersi, se mai ce ne fosse stato bisogno, che aveva tutte le carte in regola per diventare il nuovo De Gregori. 

Grande passione, la sua.
«Studiavo Legge, mi preparavo a fare l'avvocato - che poi è ancora oggi il mio mestiere - ma scrivevo canzoni. Nulla riusciva a appassionarmi più della musica. E un giorno si presentò la mia grande occasione».

Quale?
«L'incontro con Dalla, il mio mito».

Dove?
«A Sorrento. Un amico, Alessandro Fiorentino, mi disse che Lucio sarebbe andato lì per girare il video di Caruso. Dunque, non dovevo far altro che aspettare con pazienza».

Riuscì a incontrarlo?
«E certo. Mi misi lì, con le mie musicassette, fino a quando non concluse la registrazione e Alessandro me lo presentò».

Sarà stato emozionatissimo.
«Che ne parliamo a fare, mi tremavano le gambe. Riuscii solo a dire che desideravo fargli ascoltare le mie canzoni. Pensavo di consegnargli le cassette e andare via, invece no: Se mi dai un passaggio in macchina, le sentiamo durante il tragitto, mi disse con grande gentilezza».

Un'occasione d'oro.
«Appena entrati in auto, infilai il nastro nello stereo e partì la mia voce. Dalla ascoltò le canzoni con attenzione, mi disse che non erano male, facendomi inorgoglire come non mai. Poi scese dall'auto e mi lasciò un biglietto, sul quale c'erano dei numeri di telefono: Chiamami quando vuoi, così ne riparliamo».

Insomma, era fatta. Il grande Lucio aveva detto ok.
«Macché. Avrò chiamato mille volte, rispondeva sempre una segretaria diversa, capii che non me lo avrebbero mai passato. A quel punto, non avevo alternative: dovevo incontrarlo di nuovo, la mia musica gli piaceva, almeno così aveva detto, l'unico modo era andare a Bologna».

Naturalmente, si mise in auto e partì. O no?
«Il tempo di fare i bagagli. A Bologna lo rintracciai piuttosto rapidamente. Ci incontrammo al bar, fu molto onesto, mi disse Sei bravo, le tue canzoni non sono neanche male, ma a me serve un avvocato, non un cantante».

Quanto fu cocente la delusione?
«Sulle prime, ci rimasi malissimo. E invece, stava per cominciare una grande avventura».

Andiamo con ordine: lei voleva fare il cantautore, ma a Lucio Dalla serviva un avvocato. Due attività non proprio compatibili.
«Vero. Però, nel frattempo mi ero laureato in giurisprudenza e lavoravo come civilista in uno studio napoletano».

Quindi era pronto per assistere Lucio Dalla?
«Pronto o non pronto, diventai il suo legale. A Lucio l'idea di avere una ragione in più per venire a Napoli piaceva molto. Erano gli anni Novanta, Dalla era fortissimo, cominciare a gestire le sue pratiche fu una grande opportunità».

Così diventò l'avvocato dei vip.
«Nel '92, misi su lo studio legale D'Andrea. Tra i miei clienti, cominciarono a spuntare artisti di fama nazionale e internazionale, e importanti società di produzione del settore dello spettacolo».

Qualche nome?
«Con un po' di orgoglio, posso dire che, dopo Lucio Dalla, si sono rivolti a me Andrea Bocelli, Fiorello, Vincenzo Salemme, Carlo Conti, Leonardo Pieraccioni, Gigi D'Alessio, Ornella Vanoni, Gino Paoli, Samuele Bersani, Luca Carboni, Ron, Raf, Carlo Buccirosso, Emis Killa. E poi, ancora, Mimmo Paladino, Peppino Di Capri, Patty Pravo, Giulio Golia, Chiara Francini, Anna Tatangelo, Lello Esposito, Lorenzo Fragola, Sal Da Vinci, Francesco Cicchella, Vittorio Grigolo, Giovanni Vernia, Enzo D'Alò, Almamegretta, Raiz, Chiara Civello e tanti altri».

Un bel palmarès, non c'è che dire.
«Con molti di loro, si è creato un rapporto di fiducia e di confronto quasi quotidiano. All'inizio, mi sembrava tutto così pazzesco che stentavo a crederci. Ricordo ancora lo sguardo stupefatto della mia assistente quando, una mattina, mi passò il telefono: Eugenio, c'è Luciano Pavarotti». 

Anche lui tra i suoi clienti?
«Gli risposi convinto che fosse uno scherzo di qualche buontempone, andai al telefono pronto a mandarlo a quel paese, e invece era proprio lui: il mitico Pavarotti».

Quindi, le facevano gli scherzi?
«All'inizio, sì. I miei amici si divertivano molto. Pronto, sono Gino Paoli, posso parlare con l'avvocato?. Sono Pippo Baudo, c'è D'Andrea?». 

Però, grandi nomi, a prescindere dagli scherzi.
«Oltre a quello con Dalla, un incontro molto importante per la mia carriera fu con Bibi Ballandi, che dalla musica mi portò nel mondo della televisione». 

C'è anche Salemme, tra i suoi migliori amici-clienti?
«Ricordo ancora quando l'ho conosciuto. La notte di capodanno del 1999, dopo il concerto in piazza Plebiscito, andammo a cena all'hotel Vesuvio con Lucio e altri amici. Mentre guardavamo i fuochi d'artificio, mi presentarono Vincenzo. La mattina successiva, ho preso con lui il primo caffè del nuovo millennio».

Vi ha portato bene.
«Davanti a quella tazzina, è nato un rapporto di collaborazione professionale e di amicizia, che non si è mai interrotto. Mi ha fatto recitare pure in un suo film, ma solo perché si divertiva a vedermi sulla scena».

Un avvocato sui generis, Eugenio D'Andrea. 
«Diciamo che unisco attività legale e manageriale, seguo il modello anglosassone, che è vincente: gli avvocati si occupano anche delle trattative e della gestione della carriera degli artisti. Il mio, mi piace definirlo uno studio-boutique: pochi professionisti specializzati, che offrono consulenza nel settore musicale e dell'editoria, della televisione, del cinema e dell'arte a 360 gradi. E tutto senza mai andare via da Napoli».
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