La prima volta di Gigi Marzullo:
«Uno spazio a mezzanotte
e la Rai mi disse: provaci tu»

La prima volta di Gigi Marzullo: «Uno spazio a mezzanotte e la Rai mi disse: provaci tu»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 13 Marzo 2020, 18:00
5 Minuti di Lettura
Letizia Casta? «Deliziosa». Julia Roberts? «Il mio mito». Fanny Ardant? «Stupenda». Alida Valli? «Un'amica». Woody Allen? «Uomo dolce e generoso». Richard Gere? «Decisamente affascinante». Robert De Niro? «Arguto e simpatico». Sofia Loren? «Incommensurabile».

Si faccia una domanda e si dia una risposta: il primo personaggio al quale lo ha chiesto, Gigi Marzullo - avellinese doc, giornalista di fama e di passione, l'uomo della notte e delle camicie a righe orizzontali - neanche lo ricorda. Del resto, non si contano le volte che lo ha fatto. Ciò che invece non dimentica - e racconta volentieri - è quando, appena assunto, gli chiesero di inventarsi qualcosa per riempire quei dieci minuti di buco prima del Tg1 della mezzanotte.

E lei cosa inventò?
«Il titolo venne facile: Per fare mezzanotte. L'idea piacque e partii con il programma».

Di cosa si trattava? 
«Un confronto tra un giovane e un anziano che facevano lo stesso mestiere. Funzionava anche bene, però durò poco: i programmi sforavano sempre, e quei dieci minuti venivano regolarmente ingoiati da altre trasmissioni». 

Quindi?
«Inventati un'altra cosa mi dissero. E te la fai dopo mezzanotte».

Ci voleva fantasia.
«Quella non mi è mai mancata. Ma c'era un piccolo dettaglio: non avevo budget, zero soldi. Non mi scoraggiai, volevo andare in onda a ogni costo: presi un panno nero e lo piazzai come sfondo, al muro misi un orologio che trovai buttato nell'angolo di uno studio e, siccome non c'era mai un orario preciso, il titolo più azzeccato mi sembrò Mezzanotte e dintorni. La prima puntata andò in onda il 12 giugno del 1989».

La popolarità arrivò presto.
«Cominciai a raccontare la vita di chi aveva successo, una specie di salotto con politici, attori, cantanti, sportivi... L'orario era già abbastanza assurdo, io poi facevo domande che trent'anni fa sembravano pazzesche». 

Tipo: si faccia una domanda e sia dia una risposta?
«Quella è l'unica che non ho inventato io».

E chi?
«Il mio professore di chimica alla facoltà di Medicina di Pisa. Era un modo divertente per introdurre la classica domanda a piacere a inizio esame. Ma solo quando era di buon umore, altrimenti c'era poco da scherzare».

Marzullo medico?
«Sono laureato in Medicina e chirurgia. Tesi sulle malattie infettive con il professore Docimo, che ricordo sempre con affetto».

Ma non studiava a Pisa?
«Solo all'inizio. A Napoli, gli iscritti erano troppi e mio padre decise di mandarmi in Toscana, dove vissi in un pensionato. Dopo due anni però sono tornato a Napoli, anche perché nel frattempo mi ero convinto di voler fare l'attore: avevo sviluppato una grande passione per la recitazione». 

E la medicina?
«I miei genitori volevano che mi laureassi, e anche la fidanzata che avevo lasciato ad Avellino; io invece decisi di andarmene a Roma, per capire come potevo fare a entrare nel mondo dello spettacolo».

Attore e chirurgo, due attività poco compatibili.
«Sì, in effetti. Medicina continuavo a studiarla e, anche se con un po' di lentezza, gli esami li facevo. Mia madre mi pagava regolarmente le tasse, pure se io giravo come una trottola tra Avellino, Napoli, Roma e Milano - sempre con la speranza di fare l'attore».

Quando ha capito che il medico non sarebbe stato il suo mestiere?
«Devo fare un passo indietro. La mia storia non può prescindere dall'incontro romano con Pino D'Amore, storico annunciatore Rai degli anni Sessanta e Settanta. Facemmo così tanta amicizia, che per qualche tempo mi ospitò a casa sua. Ricordo che dormivo sul divano e la mattina, con la mia Citroën due cavalli, lo accompagnavo in Rai. Poi, la sera andavo a riprenderlo, in attesa che si aprisse qualche spiraglio per farmi avanti».

Aspettava l'occasione, insomma.
«Che arrivò ad agosto quando, dopo una selezione, riuscii a sostituire uno speaker per un mese. Forse, è stato quello il momento in cui mi sono davvero reso conto che la sala operatoria non sarebbe mai stata il mio posto».

Quindi, si mise a fare l'annunciatore?
«Fu un primo approccio. Ad Avellino, nel palazzo di mia madre, c'era la redazione de Il Mattino. Mi dissero che il numero di pagine sarebbe aumentato e erano alla ricerca di nuovi collaboratori. Intanto, a Radio Irpinia, già leggevo il radiogiornale delle 14.15».

Un po' alla volta, abbandonava l'idea di fare l'attore per il mondo del giornalismo.
«Mi piaceva e andavo anche bene, al punto che il direttore Roberto Ciuni, che era alla ricerca di giovani, mi assunse come praticante. Chiesi di andare in forze alla redazione romana, il mio pallino era sempre quella città e il lavoro in Rai. Invece, mi spedirono a Benevento, dove il capo era Enrico Marra». 

Dalla capitale alla provincia campana.
«Per modo dire, in verità. Nel frattempo, avevo ottenuto dal direttore del Mattino l'autorizzazione per la conduzione di un programma Rai che si registrava a Venezia. Si chiamava Dieci foto una storia - una rubrica all'interno di un contenitore pomeridiano, andavo fin lì per dieci minuti di trasmissione. Così, comprai una Golf e giravo come un pazzo».

Benevento-Venezia e ritorno.
«Benevento, Venezia, Avellino, Napoli e anche Roma. E la Rai, che poi era il mio vero obiettivo».

Alla fine ce l'ha fatta.
«Eh, sì. Un po' alla volta, ho lasciato tutto per viale Mazzini».

E torniamo a Mezzanotte e dintorni.
«Che fu un successo, benché all'inizio venne criticata e denigrata da molti. Con il risultato di farmi solo una gran pubblicità. Così, nel '94, con la presidente Moratti, inventammo Sottovoce - stesso format, con l'aggiunta di un pianoforte e delle foto amarcord dei protagonisti».

Grande intuizione.
«Sono 25 anni che vado avanti, e la trasmissione ancora funziona. Insieme con il resto: prima Cinematografo e poi Applausi, Milleeunlibro. E adesso c'è anche Fazio, un programma che mi diverte molto e al quale partecipo volentieri».

Torniamo alla domanda.
«Quale?».

La solita.
«Scelgo direttamente una risposta. La più spiritosa che ho ricevuto. Quella che mi diede Sabina Guzzanti: Si faccia una domanda e si dia una risposta le dissi. Fatto, rispose». 
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