La prima volta della Vitale:
«Io, chef stellata bruciai
la salsa di pomodoro»

La prima volta della Vitale: «Io, chef stellata bruciai la salsa di pomodoro»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 21 Dicembre 2019, 08:43 - Ultimo agg. 6 Gennaio, 11:56
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La prima volta che cucinò per qualcuno, Marianna Vitale - una stella Michelin dal 2011, Miglior cuoca d'Italia per la guida de L'Espresso, vincitrice del premio Identità Golose e ospite di una finale di MasterChef con Bastianich, Cracco, Barbieri e Cannavacciuolo - bruciò tutto. Sotto gli occhi di suo fratello, affamatissimo, che aspettava con avidità quel piatto di spaghetti al pomodoro. 

Non fu un bel debutto.
«Il sugo sarebbe venuto anche bene, se non mi fossi messa al telefono con la nonna».

Con la nonna?
«Era il mio riferimento culinario, la chiamai per spiegarle quello che stavo facendo e, presa dall'emozione del mio primo piatto, dimenticai il pomodoro sul fuoco». 

Tutto bruciato?
«Irrimediabilmente. Tra le proteste di mio fratello, che rimase digiuno».

Il suo talento non si era ancora espresso.
«Ho cominciato presto a cucinare, quel sugo l'ho bruciato che avevo circa otto anni».

Una bambina.
«A sei anni, la nonna, con la quale passavo molto del mio tempo, mi concesse la preparazione di un brodo vegetale».

Una ricetta facile facile.
«Soprattutto, economica. Sapeva che sarebbe stato tutto da buttare e allora scelse gli ingredienti che costavano meno: acqua e un po' di verdura».

Primi passi ai fornelli con la nonna, quindi.
«La mia maestra. Abitava a Porta Capuana, casa sua era un porto di mare, si mangiava a tutte le ore. Il nonno faceva il muratore, appena rientrava voleva mettersi a tavola. Lui finiva di mangiare, e arrivava mio zio - e la nonna ricominciava».

Bella palestra.
«Quando non andavo a scuola, la accompagnavo pure al mercato, quello di Porta Capuana: allora era straordinario - zuppa 'e cozze, brodo 'e purpo... la tradizione e la veracità napoletane insieme».

E lei intanto sognava di fare la cuoca.
«In realtà, ero piuttosto combattuta. Amavo molto la cucina, è vero, ma anche lo studio e la ricerca mi appassionavano: nel 2004 mi sono laureata in Lingua e letteratura spagnola, con una tesi sul mito del convitato di pietra».

Dall'università alle ricette.
«Nel frattempo, mangiavo - una mia caratteristica. Ero bambina e avevo sempre fame. Sarà stato anche per questo che adoravo la cucina. Preparavo spuntini per tutti: dalla mia borsa uscivano panini, palle di riso, frittatine di maccheroni».

Ottime provviste.
«Mai senza cibo era il mio motto. All'università, i colleghi mi aspettavano, sapevano che avrei portato da mangiare per tutti. E sempre cose buone».

Ma a casa sua, chi cucinava, lei?
«Avrei voluto, ma non mi veniva concesso spesso».

Perché rinunciare a una cuoca così talentuosa?
«Il punto è proprio questo: a casa mia, ai fornelli, erano tutti bravissimi; di conseguenza, nessuno mi riconosceva particolari abilità. Cucinavo bene, ma non più degli altri».

Quindi?
«Cominciai a fare la guida. Come primo impiego, accompagnavo i turisti tra i vicoli e le bellezze dei Decumani. E proprio a piazza San Domenico, nel 2008, si materializzò la svolta».

Quale?
«Mi proposero uno stage ai fornelli di Palazzo Petrucci. Conoscevano il mio amore per la cucina. E un anno dopo, a maggio del 2009, nel cuore dei Campi Flegrei, tra i venti di zolfo di Pozzuoli e lo scetticismo generale, aprii il ristorante Sud. Sapevo che la strada sarebbe stata dura, ma non immaginavo quanto».

Però, la aspettavano grandi soddisfazioni.
«A novembre 2011, arrivò la stella Michelin».

Un trionfo.
«Ero al computer, leggevo le e-mail, quando mi accorsi che ce n'era una della Michelin: quasi non ci credevo, una gioia indescrivibile».

Il primo piatto che ha creato?
«La minestra di mare con frutta e verdura di stagione».

Quella che ha portato a MasterChef 5 e che i concorrenti hanno dovuto replicare?
«Cinquanta ingredienti tra pesce, verdure, polveri vegetali disidratate, emulsione di acqua, limone e olio, decori di insalata e erbe aromatiche. Lo so, detta così sembra un minestrone, ma vi assicuro che invece è un piatto molto elegante: ogni boccone è diverso dall'altro».

Il suo primo menu?
«Di quello ormai non è rimasto più nulla. Anzi, no, solo un piatto: la cheesecake di baccalà. Mi continua a piacere, perché mette insieme tre ingredienti della tradizione - baccalà, ricotta e ceci - lasciando i sapori ben distinti, semplici e preparati in modo naturale».

Il segreto? 
«La scelta del baccalà».

Il consiglio?
«Bagnare il pesce a casa: bisogna tenerlo per tre giorni in frigo, in acqua - che deve rimanere la stessa, ma si può cambiare in base al gusto più o meno intenso. Il procedimento è un po' lungo, ma il baccalà ha un altro sapore».

E per Natale?
«Ho fatto il panettone: il logo è il volto di nonna Angelina, che poi è lo stesso del take-away di Sud, che ho aperto a Bacoli. Quando mia madre lo ha visto, si è divertita assai: Avessa sape', 'a nonna, ca è juta a ferni' 'ncoppa 'o panettone!». 
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