La prima volta di Gigi D'Alessio:
«Quando la prof mi disse
di non fare il musicante»

La prima volta di Gigi D'Alessio: «Quando la prof mi disse di non fare il musicante»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 27 Marzo 2020, 20:00 - Ultimo agg. 28 Marzo, 15:22
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La prima volta che Gigi D'Alessio pensò che da grande sarebbe diventato un musicista, aveva poco più di quattro anni. Ne sono passati quasi cinquanta, ma gli sembra ancora ieri, e quel ricordo - anzi, quel suono - è destinato a rimanergli stampato in testa fino a che campa. Tutto cominciò quando suo padre, di ritorno da un viaggio a Caracas, portò in regalo una fisarmonica a suo fratello più grande. Il piccolo Gigi, molto deluso che non fosse per lui, si consolò mettendosi in ascolto ogni volta che il fratello cominciava a suonarla. Una melodia gioiosa e malinconica al tempo stesso, che su di lui aveva un effetto ammaliante. Ancora di più quando si univa sua sorella, che suonava l'Ave Maria di Schubert strimpellando su un Bontempi bianco e rosso, che i nonni le avevano regalato a Natale. Un concerto in piena regola dal quale Gino, così come lo chiamava suo padre, si sentiva un po' escluso.

Avrebbe voluto partecipare anche lei?
«E certo. Ero pronto, ma troppo piccolo; però le idee già le tenevo chiare. La musica mi piaceva assai e quello volevo fare: a dieci anni mi iscrissi al Conservatorio».

Così piccolo?
«Entravo la mattina e uscivo la sera, prima si studiavano le materie scolastiche e poi quelle musicali. Vivevo a casa di mia nonna, abitava a piazza Borsa: alle 7.30 la salutavo e me ne andavo a piedi fino a San Pietro a Majella. Nel tragitto, mi incantavo a sentire le donne dei bassi cantare».

Grande passione per la melodia partenopea, la sua.
«Amavo molto anche la musica leggera, benché per i nostri professori fosse una bestemmia. Se ti acchiappavano a suonare una canzone pop, ti mettevano un rapporto. Ricordo ancora il giorno in cui una delle mie insegnanti, quella di pianoforte, mi disse D'Alessio, scegli: vuoi fare il musicista o il musicante?».

B«Certamente il musicista -tant'è che suonavo Bach, Mozart, Beethoven e Chopin. Ma non le nascosi il mio amore per le canzoni napoletane e più in generale per la musica leggera».

La prof come la prese?
«Non bene, ma dopo qualche anno - neanche troppi - mi sono levato una bella soddisfazione».

Quale?
«Partecipavo a Domenica In. Arrivò una telefonata in diretta, che passarono in studio».

Chi era?
«Maria Valeria Briganti, la mia insegnante del Conservatorio. Fu una sorpresa meravigliosa, si ricordò quella vecchia frase e mi disse che quel musicante era diventato un grande musicista. Mi fece commuovere».

Che ricordo ha dei suoi maestri?
«Ottimo, è anche a loro che devo il mio successo».

A chi in particolare?
«Oltre alla Briganti, penso ad Antonio de Santis, che mi ha insegnato il solfeggio; Annamaria Napolitano, il pianoforte; Rosario Nappa, solfeggio anche lui, con il quale ho anche preso la licenza».

Il solfeggio. Croce e delizia di tutti i giovani che studiano musica.
«Dico sempre che è la matematica della musica: una volta che hai capito la formula, devi solo applicarla. A me il solfeggio è sempre piaciuto, non mi ha mai annoiato».

Ragazzo studioso, Gigi D'Alessio.
«Quando frequentavo io il Conservatorio, era tutto diverso: la musica si studiava sul serio, gli spartiti si scrivevano, e dovevi farlo tu. Oggi, invece, sapete come funziona? Ti metti al pianoforte e il computer scrive e stampa quello che hai suonato. Oppure vai su YouTube, compri una base, ci fai il pezzo su, e il disco è pronto».

Tutto più facile, insomma.
«Troppo, direi. La musica invece la devi conoscere, devi sapere cosa stai suonando, altrimenti resterai sempre un musicante, come diceva la mia cara Briganti. Poi ci sarà chi suona meglio, chi peggio, ma di base lo studio è indispensabile». 

Troppi dilettanti in giro. Questo vuole dire?
«La musica è aperta a tutti, e sapete perché? A suna' non si fanno danni, se fosse la medicina nun se potesse fa'. Per carità, poi scrivono pure cose belle, ma la musica è un'altra cosa». 

A che età il primo show?
«A 11 anni già tenevo il complesso con gli amici: le prove le facevamo in un vecchio deposito, e poi andavamo a suonare a battesimi, comunioni e matrimoni. Eravamo talmente piccoli, che ci accompagnavano i nostri genitori. Una volta ci chiamarono quelli del ristorante Il Transatlantico, e mamma e papà vennero lì a cenare per controllare che fosse tutto tranquillo».

Non la perdevano di vista.
«Eravamo sempre sotto controllo. E poi mamma amava la musica pure lei, mi seguiva volentieri. Ricordo che la sera, a casa, quando mi mettevo a suonare il piano, si veniva a sedere vicino a me e cantava».

Qualche canzone in particolare?
«Quelle napoletane. Le piaceva assai Acquaiola 'e Margellina di Giulietta Sacco, ma anche 'Na sera 'e maggio, Te voglio bene assaje, I' te vurria vasa', Dicitencello vuje... tutte le più classiche». 

Fino a Non dirgli mai. 
«Quella piacque pure a Sofia Loren».

Glielo ha detto lei?
«Sì. La conobbi in occasione del Premio Barocco, a Lecce. Avevo il camerino a fianco al suo. Entrai per presentarmi e che sorpresa, quando mi accorsi che mi conosceva già. Mi disse: Gigi, ma quanto sì bello quando canti Non dirgli mai. Un'emozione enorme». 

Poi, le ha dedicato anche una canzone.
«Esatto. Ho scritto per lei Donna Sofì. Ero rimasto folgorato da quel nostro incontro. Durante il quale, peraltro, ero stato così preso dal suo fascino, da non accorgermi nemmeno che dietro di lei c'era pure Gerard Depardieu».
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