Terremoto in Irpinia, il grido del Sud:
da «Fate presto» a «Fate bene»

Terremoto in Irpinia, il grido del Sud: da «Fate presto» a «Fate bene»
di Vittorio Del Tufo
Venerdì 9 Ottobre 2020, 21:00 - Ultimo agg. 28 Ottobre, 14:08
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Questa è la storia di un grido. Che risuonò a lungo, e risuona ancora, nella coscienza di un popolo. Quel grido lo lanciò il Mattino due giorni dopo la scossa che avrebbe cancellato dalla carta geografica interi paesi, seminato distruzione e morte, innalzato altari di rabbia e dolore. Lo lanciò da via Chiatamone 65, oggi un luogo della memoria, allora la casa di tutti i napoletani. Non fu una supplica, ma un monito, ancora oggi attualissimo.

Il 25 novembre del 1980, alle 17, il direttore del Mattino Roberto Ciuni convocò l'ennesima riunione di quella lunga giornata.

Attorno ai due lunghi tavoli fatti sistemare da Ciuni nella sua stanza, erano riunite quattordici persone. Avevano i volti stanchi, segnati dalla tensione: alcuni di loro non dormivano da due giorni. Quelle quattordici persone erano lì per impostare prima pagina del giornale e, soprattutto, per deciderne il titolo: un altro titolo a tutta pagina sul terremoto che due giorni prima, domenica 23, aveva bloccato la vita in una morsa di terrore.

Il Mattino, in quei giorni drammatici, interpretò al meglio la missione di giornale di territorio. Ciuni spedì 53 inviati, tra i quali molti giovanissimi cronisti, nel cuore dell'apocalisse. Fu uno sforzo gigantesco, ma soprattutto uno straordinario lavoro di gruppo. Quasi dappertutto i cronisti arrivarono prima dei soccorritori. E contarono i morti: aggiornando, tendopoli per tendopoli, l'elenco dei sopravvissuti.

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La sera del 25 novembre, nella stanza di Ciuni - alcuni in piedi, altri seduti - ci sono alcuni dei protagonisti di una stagione irripetibile del giornalismo napoletano. Il vicedirettore Franco Angrisani; i redattori capo Massimo Donelli, Ernesto Auci, Giacomo Lombardi (l'altro redattore capo, Arturo Fratta, era fuori Napoli); l'inviato Gaetano Giordano; il capocronista Ciro Paglia. E ancora Pietro Gargano, al quale era stato assegnato il compito di fare da imbuto d'arrivo, raccogliere le segnalazioni, valutare le notizie, concordare i servizi. E poi altri uomini-chiave di quel periodo: Gerardo Guerra, Mario Caruso, Carlo Franco, al quale Ciuni diede l'incarico - come ricorderà, tempo dopo, lo stesso direttore - di «memorizzare tutto per per farne una sintesi intelligente».

Chi decise, quella sera, il titolo di prima pagina? Chi ebbe per primo l'idea di riassumere in quella invocazione l'urlo di rabbia e dolore che saliva dai territori sventrati dal sisma? Tempo fa L'Uovo di Virgilio ha dato voce ai protagonisti. Ecco il ricordo di Gargano: «All'ultima riunione del tardo pomeriggio Ciuni ascoltò i resoconti e chiese: Avete suggerimenti per il titolo della prima?. Bisogna fare presto - dissi io - altrimenti là sotto non troveranno vivo nessuno e scoppieranno epidemie. Il direttore sollevò il taccuino e lo mostrò, c'era scritto Fate presto. Rimasi senza parole. Nessuno osò replicare, Ciuni aveva già deciso. Completammo insieme il titolo, decidendo il catenaccio: per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla». Il ricordo di Carlo Franco coincide con quello di Gargano. «Ciuni arrivò con il titolo già in tasca. Quella frase nasceva dalla rabbia, una rabbia civile fortissima. Eravamo tutti indignati per il ritardo nei soccorsi. Ma Ciuni lo era più di tutti. Quando decise il titolo, aveva davanti agli occhi la straordinaria foto di Felice Santosuosso, le macerie di Sant'Angelo dei Lombardi riprese dall'aereo noleggiato dal Mattino».

 

Dal titolo a caratteri cubitali partorito quel giorno - FATE PRESTO - Andy Warhol realizzò un'opera d'arte che avrebbe fatto il giro del mondo e che, ancora oggi, è conosciuta in ogni angolo del pianeta. In tutto il mondo è stata lodata l'opera, ovvero il «corpo» dell'installazione. Ma dietro l'opera vi è l'anima, ovvero il contributo di un giornale che in quei giorni toccò il sangue vivo di un territorio e lo fece suo. Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi.

Quel titolo, FATE PRESTO, è stato ripreso a più riprese anche da altri giornali, a testimonianza del suo potere evocativo e simbolico. Nel novembre del 2011 lo prese in prestito il Sole 24 Ore per raccontare il dramma di un Paese sprofondato, in quei mesi, nell'abisso della crisi economica, con lo spread alle stelle e un «terremoto» finanziario globale che minacciava di scuotere le fondamenta stesse del Paese. Quel grido d'allarme resta attualissimo. Oggi andrebbe trasformato in un monito altrettanto pressante: fare bene. Spendere bene, con trasparenza e rigore, i soldi in arrivo grazie al Recovery Fund, per esempio. Perché le macerie di oggi sono i numeri, gelidi ed eloquentissimi, di un divario economico che rischia di precipitare il Sud del Paese in uno sprofondo rosso che non può essere compensato né dalle sue bellezze artistiche e naturali né dai suoi talenti e dalle sue eccellenze. Fate presto vuol dire, oggi, ricordare a tutti noi che, come nei drammatici giorni del terremoto, il Sud può e deve rialzare la testa.

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