Carlo Celano, le mirabolanti avventure dell'esploratore nella Napoli del Seicento

Carlo Celano, le mirabolanti avventure dell'esploratore nella Napoli del Seicento
di Vittorio Del Tufo
Domenica 27 Dicembre 2020, 12:33
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«Sono debitore ai Greci e ai barbari, ai sapienti e agli ignoranti». (La Sacra Bibbia, Lettera ai Romani, Rom. 1,14).


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Un singolare personaggio si aggirava e Napoli nella seconda metà del Seicento. Guardingo, solitario, curioso di tutto, convinto di dover portare a termine una missione culturale mai compiuta prima, innamorato pazzo della sua città. In «rapimento estatico» avrebbe scritto, molto tempo dopo, Benedetto Croce. Apparteneva, questo singolare personaggio, alla categoria degli eruditi non pedanti, appassionato cultore di memorie antiche, autentico arcinapoletano e brillante animatore della vita culturale cittadina. Quante vite ha vissuto don Carlo Celano, autore del monumentale volume Le Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, miniera e fonte d'ispirazione per generazioni di storici, studiosi e appassionati d'arte?
Una vita, tante vite. L'esploratore Carlo era ovunque, nelle oscure catacombe e nelle celle della Vicarìa, nelle piazze a tramare e nelle biblioteche a studiare, immerso tra le carte dei polverosi archivi o seduto nei salotti più importanti della città, come quello dell'avvocato Francesco Valletta. Lo si poteva incontrare nella bottega del pittore Luca Giordano e tra le ombre della chiesa del Carmine, davanti alla grande e tragica piazza Mercato dove Masaniello guidava il suo esercito di straccioni all'assalto del potere vicereale. O lo si poteva vedere in compagnia del cardinale Ascanio Filomarino, che lo nominò canonico della cattedrale. Avvocato, religioso, archeologo, letterato e storico dell'arte, Celano fu soprattutto un grande esploratore urbano, testimone privilegiato dei momenti più esaltanti, ma anche dolorosi, del suo turbolento secolo. La sua biografia è da romanzo: nato nel 1625, dopo gli studi dai Gesuiti si laureò in diritto e intraprese la professione forense. Ma la sua prima vita, quella da avvocato, durò poco: sospettato di aver preso parte alla rivolta di Masaniello, fu incarcerato alla Vicaria e liberato solo dopo l'intervento di un amico influente, il magistrato Giacomo Capece Galeota.


Una vita, tante vite. Da rivoluzionario a canonico: Celano decise di prendere i voti religiosi nel 1660, entrando così nella congregazione delle missioni apostoliche di Napoli. All'indomani del terremoto del 1688, il cardinale Innico Caracciolo, successore di Filomarino, gli affidò i lavori di restauro della basilica di Santa Restituta, che tornò a splendere quattro anni dopo, in quello stesso 1692 in cui veniva pubblicata la sua opera più celebrata: Le Notizie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, dedicata a Papa Innocenzo XII. Una vera e propria guida, ma soprattutto una monumentale ricerca storica che descriveva minuziosamente il ricco patrimonio artistico, architettonico e culturale napoletano. Mappa indispensabile per gli studiosi di Napoli d'ogni tempo.


Due anni fa l'editore Rogiosi ha riunito, in una sola edizione, le tre ristampe del Settecento dell'opera di Celano, pubblicata in origine dall'editore Giacomo Raillard. Un percorso affascinante alla scoperta della Napoli dei secoli passati, nel segno di quella «memoria condivisa» che fa da cemento all'identità collettiva di un popolo. Celano era bulimico di tutto: arte, monumenti, strade, usanze, devozioni religiose, storia e tradizioni della città. Lo studioso Gianpasquale Greco, che ha curato il volume con grande rigore filologico, considera le Notizie del bello... «un'enciclopedia di napoletanità, bella come e più di un romanzo».


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Quando Celano ne scriveva Napoli aveva già duemila anni di storia. Ma era il mondo moderno quello che prendeva forma davanti ai suoi occhi, facendo di Napoli un ponte tra l'Europa e il Mediterraneo. Il lungo viaggio del canonico umanista anticipava quella «novità dello sguardo» che sarebbe stata poi una delle caratteristiche del secolo dei Lumi. Molto più, dunque, di un semplice repertorio di annotazioni.


Nel 1656 Carlo Celano fu testimone diretto dei terribili giorni della grande peste: «Non vi era più luogo da seppellire - scrisse - né chi seppellire; videro questi occhi miei questa strada di Toledo, dove io abitavo, così lastricata di cadaveri, che qualche carrozza, che andava a palazzo, non poteva camminare se non sopra carne battezzata».
Dunque l'esploratore Carlo abitava a Toledo, anche se non sappiamo esattamente dove.

Possiamo immaginare però che la sua non fosse una casa ricca: morì indebitato, lasciando alla povera sorella il compito di pagare i creditori.


Tra le sue ossessioni vi fu la misteriosa scomparsa del Sebeto, il mitico fiume che un tempo bagnava Napoli e che forse ancora scorre, ma chissà dove, forse nelle viscere della città capovolta, di certo nel sottosuolo della nostra memoria. Secondo Celano fu il grande maremoto del 15 novembre 1343 a sconvolgere il corso del fiume, causandone l'ingrottamento, cioè trascinandolo nel sottosuolo. Di quel maremoto, tre secoli prima, era stato testimone diretto Francesco Petrarca, che in quei giorni era ospite a Napoli del convento di San Lorenzo. Così Petrarca aveva descritto, in una lettera all'amico Francesco Colonna, la terribile tempesta: «Che gruppi d'acqua! Che venti! Che tuoni! (...) Lo mare feo montagne de acque... non vi fu nave che potesse resistere e percotendosi tra loro si fracassarono...».


Per Celano il Sebeto «scorreva presso le mura del quartiere Mercato (...) Ma nel memorabile uragano e tremuoto del 15 novembre 1343 tutta questa bassa regione mutò d'aspetto, dove alzandosi e dove soppozzandosi il suolo, bastandoci notare che le terre ed i ciottoli salirono all'altezza di quasi ventiquattro palmi, restandone acciecato il Porto Angioino (...). Per la qual cosa le acque sottostanti ebbero a trovar vie e scoli da scendere a mare, onde non più si videro». E così il nostro leggendario Sebeto, tanto ricco d'onor, povero d'onde, sparì nel sottosuolo.


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Benedetto Croce, che attribuì al Celano l'appellativo di «innamorato di Napoli», accostò al vecchio canonico del 600 un'altra figura di erudito a noi cara: quella di Bartolommeo Capasso, il grande storico della Napoli greco-romana che dedicò pagine memorabili soprattutto al labirintico intrico di vicoli del centro antico. «A don Bartolommeo - scrisse Croce - non dispiacerà di vedersi appaiato con quel vecchio canonico di due secoli fa, innamorato come lui della bella Napoli. Questi sono amori senza gelosia».


Non v'è mito o leggenda di Napoli che non sia citata nelle Notizie del bello... Celano s'intrigò anche delle origini della città, attribuendo al mitico Falero, che prese parte alla spedizione degli Argonauti per la conquista del Vello d'Oro, la primogenitura della «scoperta» di Megaride: «Essendo dipoi capitata nella nostra Falere, molti anni dopo della fondazione, Partenope greca... volle fermarcisi; e cominciò ad ampliarla: in modo che la città non più di Falere si disse, ma di Partenope». E insomma, così va il mondo: per quanto tu possa avere la pretesa di aver scoperto (o fondato) qualcosa, accidenti, c'è sempre qualcuno che l'ha scoperta (o fondata) prima di te!


Carlo Celano, l'uomo dalle mille vite, trovò anche il tempo di scrivere commedie, che vennero rappresentate con successo. Nella sua satira più feroce, Degli avanzi delle Poste, immagina di pubblicare lettere mai recapitate e accumulate come avanzi nei depositi postali.
I resti mortali di don Carlo finirono nella sepoltura comune dei canonici del suo tempo, in Santa Restituta, vicinissimo al Battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte. Ma al di là della figura di religioso, preferiamo ricordarlo, anche noi, come un «innamorato della città». Un esempio per generazioni di studiosi che provano, come l'esploratore Carlo, a seguire le tracce del passato per riannodare i fili dell'affannoso presente.

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