I giorni della Duchesca, una villa da sogno per il re degli incubi

I giorni della Duchesca, una villa da sogno per il re degli incubi
di Vittorio Del Tufo
Domenica 17 Marzo 2019, 18:30 - Ultimo agg. 18 Marzo, 10:29
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«Che io pesi domani sopra la tua anima, che io sia piombo dentro al tuo petto e finiscano i tuoi giorni in sanguinosa battaglia.
Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori»
(William Shakespeare, Riccardo III)

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Quando Carlo VIII scese in Italia per riconquistare la terra dei suoi avi angioini, Alfonso II d'Aragona abbandonò il Regno - vilmente, dissero in tanti - nominando reggente il figlio Ferrandino. Quest'ultimo, non potendo contare sull'appoggio di altri stati italiani, non riuscì a opporsi al nemico e fu costretto a capitolare. Siamo agli sgoccioli del XV secolo, ma anche di una dinastia leggendaria. Esisteva in quei tempi, a Napoli, una villa da favola: si chiamava Duchesca e si ergeva nelle immediate vicinanze di Castel Capuano. Alfonso era diventato Re nel 1494, alla morte del padre Ferrante, e aveva dedicato quella immensa dimora alla moglie, la duchessa Ippolita Maria Sforza, morta però prima del completamento dei lavori.

Ci sono luoghi della città a più strati, che mostrano il loro volto in una nuvola di gas cattivi, e svelano a poco a poco, con ritrosia, i loro angoli più segreti. Occorre un notevole sforzo di fantasia per immaginare che nelle strade dove oggi va in scena il mercato della Duchesca, uno dei poli del falso napoletano, sorgeva una splendida villa con giardini, terrazzamenti e fontane; era la residenza prediletta di Alfonso II d'Aragona e si estendeva da Porta Capuana alla chiesa di San Pietro ad Aram, all'inizio dell'attuale Rettifilo.

L'edificio della Duchesca venne concepito proprio come il giardino grande di Castelcapuano. A quei tempi il castello, circondato da torri e fossati, conservava ancora l'aspetto di una fortezza medievale. Alfonso decise di attrezzare il giardino ispirandosi alla moda fiorentina, e in particolare alle residenze di Lorenzo de' Medici, al quale era particolarmente legato. Va detto che il grande umanista Pontano, proprio in quegli anni, teorizzava che ciascun principe dovesse «possedere giardini, nei quali far passeggiare ed allestire all'occasione un banchetto. Questi giardini avranno poi piante esotiche e rare, disposte con arte e con la debita cura» (G. Pontano,
De splendore). Villa La Duchesca fu progettata da Giuliano da Maiano, famoso scultore, architetto e intarsiatore, figlio di uno scalpellino che aveva ricevuto già l'incarico di decorare la sagrestia del Duomo di Firenze insieme al fratello, e sempre a Firenze aveva realizzato sculture e decorazioni a palazzo Vecchio, palazzo Pazzi e palazzo Antinori. Giuliano da Maiano lavorò a lungo a Napoli: anche le due famose porte rinascimentali della città - Porta Capuana e Porta Nolana - furono commissionate all'architetto-intagliatore.

Il crollo della dinastia aragonese portò al sostanziale abbandono della villa, nonostante fossero passati appena pochi anni dopo la sua realizzazione: il vasto giardino delle Ninfe venne rapidamente inghiottito dall'edificazione privata. Avanzò il degrado, ma, seppur danneggiata, la struttura della villa sopravvisse fino alla seconda metà del Settecento. Per poi scomparire del tutto, senza lasciare alcuna traccia (neppure iconografica).

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Alfonso II regnò poco meno di un anno: divorato dai dubbi, terrorizzato dai cattivi presagi, tormentato dagli incubi e dagli scrupoli religiosi, consapevole dell'impopolarità che circondava la sua figura, approfittò dell'avanzata di Carlo VIII per abdicare (nel gennaio 1495) in favore del figlio Ferrandino. Aveva sollecitato invano, contro i Francesi, l'aiuto turco, ma nessuno mosse un dito per lui. Fuggì in Sicilia e si rinchiuse in un monastero, morendo a Messina alcuni mesi dopo, il 18 dicembre 1495.

Il coraggio non era certo la sua principale dote, ma Alfonso II amava ugualmente fare le cose in grande. Il sovrano aveva un notevole gusto per l'eleganza e le sue dimore furono chiamate delizie alfonsine. Il Poggio Reale, con il suo splendido parco che arrivava fino al mare; La Duchesca, per la cui costruzione furono mandate via con la forza le suore del convento della Maddalena; La Conigliera, di cui sopravvive qualche traccia in via Luperano 7, al Cavone; e la Ferrantina, nella zona dell'attuale liceo Umberto, a Chiaia. La dimora più amata era il Poggio Reale, che fu per la zona dove oggi sorge il camposanto quello che la splendida villa Pausilypon di Vedio Pollione fu per Posillipo.
La Duchesca si chiamò così per celebrare l'amore tra Alfonso II e Ippolita Maria Sforza, figlia di Francesco Sforza, il primo duca di Milano appartenente alla celebre dinastia. In realtà fu un matrimonio politico quello celebrato il 10 ottobre 1465. Donna Isabella, proveniente dal raffinato mondo culturale lombardo, aveva fatto il suo ingresso trionfale a Napoli il 14 settembre. Quel giorno, come riportano numerosi storici, ci fu un eclissi di sole, che il popolo interpretò come un cattivo augurio. Attraversò la Porta del Carmine sotto un baldechino de drappo d'oro, affiancata a destra dal legato pontificio e a sinistra dal sovrano aragonese. Donna Isabella fu da tutti additata quale esempio di fedeltà e di «inaudita pudicizia»: morì nel 1488, prima che il marito diventasse re di Napoli (1494).

Per realizzare Villa Duchesca il figlio di Ferrante d'Aragona non badò a spese. Per ingrandire la proprietà non si fece scrupolo di imporre alle monache del convento della Maddalena di sloggiare, e pure alla svelta. «E poiché le monache resistevano esprimendo tutta la loro opposizione - ricorda Marcello Orefice nel libro Napoli aragonese - Alfonso provvide a farle trasferire a viva forza nel vicino convento di Santa Caterina a Formiello». Alla Duchesca alloggiò Carlo VIII dopo essere entrato a Napoli attraverso Porta Capuana. Il crollo dell'edificio aragonese - come annotò Antonio Ghitelli nella sua Storia di Napoli - si consuma nel giro di pochissimi anni e «la corona, in una specie di tragicomica partita di rugby, passa da Alfonso II a Ferrantino, da Carlo VIII a Federico III e finalmente, non senza qualche precipitoso e provvisorio recupero, dall'ultimo aragonese a Ferdinando il Cattolico».

Cosa rimane, oggi, di quell'incanto? Un nome - Duchesca, appunto - e niente più. Oggi, dove un tempo sorgeva la splendida dimora dedicata a Donna Ippolita, le cronache raccontano storie di ordinario degrado. Gran parte dei capi contraffatti che finiscono sul mercato del falso viene confezionata proprio nei laboratori della Duchesca. Il giardino di delizie di Alfonso II ha lasciato il posto ad attività fantasma che non risultano in nessun registro mentre, all'ombra della statua di Garibaldi, il mercatino del falso gestito dagli extracomunitari, uno dei più grandi della città, continua a prosperare.

Al pari della Duchesca, anche dell'altra splendida villa di Alfonso II, il Poggio Reale, non resta che la memoria tramandata dal nome. La memoria di un poggio che ospitò sovrani e guerrieri, principesse e poeti, ambasciatori e filibustieri di corte. Conobbe anni di gloria, ma poi le sue grotte, durante la terribile peste del 1656, furono riempite di salme: sulle rovine di quel giardino di delizie fu costruito il primo nucleo del cimitero di Poggioreale.
 
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