Il Pantheon degli dèi, per Giove quanti eroi nella città perduta

Il Pantheon degli dèi, per Giove quanti eroi nella città perduta
di Vittorio Del Tufo
Domenica 24 Febbraio 2019, 18:00 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 15:45
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«Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro, mai cedette all'amore d'Afrodite, dal dolce sorriso. Artemide, così come la natura, è ritrosa» (Omero).

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Dalle profondità della terra al cielo sopra Partenope, dalle viscere di Neapolis al pantheon degli dei. C'è stato un tempo, ed è un tempo di cui non dovremmo disperdere la memoria, in cui l'Acropoli era il punto più alto della città: qui sorgevano templi pagani, si veneravano dei, si combattevano i demoni, si officiavano sacrifici rituali. Nell'area dove oggi sorge la basilica circolare di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta fu edificato, in età greco-romana, il tempio consacrato ad Artemide, dea della Luna, signora della Notte. Fu proprio sulle rovine del sacrario di Artemide-Diana che il vescovo di Napoli Pomponio, nel VI secolo dopo Cristo, fece erigere la maestosa basilica, completata poi dal campanile della Pietrasanta. E dalla Pietrasanta, luogo di antiche leggende, comincia un viaggio che attraversa la nostra storia.

«Sacra Neapolis: culti, miti, leggende» è il titolo della mostra che resterà aperta al pubblico fino al 15 settembre. La maggior parte degli oggetti proviene dai depositi del Museo Archeologico: dai pezzi in terracotta componenti la stipe votiva di Caponapoli alle monete in argento e bronzo con incisi volti femminili; dalle sculture in marmo alle statue di Iside e Nike. L'obiettivo è restituire una traccia, per quanto labile, per quanto parziale, di quel variegato orizzonte mitico e religioso che definisce l'identità stessa dell'antica Neapolis greco-romana.

L'allestimento, frutto della collaborazione tra il Mann e l'Associazione Pietrasanta Polo Culturale Onlus, è un viaggio alla ricerca delle nostre radici: attraverso gli oggetti in mostra si può ripercorrere l'itinerario della Neapolis sacra. Un vero e proprio percorso a tappe, sulle tracce dei nostri padri fondatori. Da Sant'Aniello a Caponapoli, con le offerte votive legate di Demetra e di sua figlia Persefone (Cerere e Proserpina per i Romani) a San Paolo Maggiore, dove sono conservati i resti del tempio dedicato ai Dioscuri, Castore e Polluce, i figli di Zeus condannati a vivere e morire a giorni alterni. Il complesso, costruito nel primo secolo dopo Cristo, è stato poi trasformato in basilica cristiana tra l'VIII e il IX secolo con dedica a San Paolo. Dal complesso di vico Carminiello ai Mannesi, grande isolato abitativo destinato a varie funzioni, dove nel III secolo dopo Cristo alcuni ambienti furono riadattati per ospitare il culto del dio orientale Mitra, all'area di Forcella e del Mercato, quartiere consacrato al culto di Eracle (Ercole per i Romani). E ancora il Corso Umberto, dove, tra tanti tesori del passato, è tornata alla luce anche un'edicola con tanto di altare e iscrizione dedicata ad Afrodite: frammento di un tempio più ampio destinato alla celebrazione dei Giochi Isolimpici, nell'area dell'attuale piazza Nicola Amore. A questo contesto potrebbe essere associata la statua di
Nike in volo esposta nella sezione dedicata all'età imperiale e tardo antica.

Poi ci sono i luoghi di culto solo ipotizzati, oggetto di studi e di appassionate ricerche, mai realmente interrotte: nell'area del Duomo sorgeva probabimente un tempio dedicato ad Apollo, sotto la basilica di Santa Restituta; nei sotterranei della Chiesa dei SS. Apostoli si ipotizza l'esistenza di un tempio dedicato a Zeus, ad Apollo o a Mercurio. La stessa basilica della Pietrasanta custodirebbe le vestigia del tempio di Diana-Artemide, mentre l'area di piazzetta Nilo, dove gli Alessandrini erano di casa, celerebbe il mitico santuario dedicato ad Iside, che tanto appassionò studiosi del calibro di Bartolommeo Capasso. «Stavano sedute avanti alla porta del tempio, e vestite di bianco, le donne che cantavano le lodi della dea salutare, e si trascinavano carponi con la faccia sul pavimento del tempio quelli che pregavano per la salute dei loro cari», scriveva il grande studioso nel suo capolavoro postumo, Napoli greco-romana.

Miti e culti definiscono l'identità di un popolo, raccontano la storia di una comunità, il suo percorso culturale: ritrovarne i segni non è impresa facile in una città ricoperta di veli, stratificata come poche al mondo. E proprio il complesso della Pietrasanta, con il suo Lapis Museum, è al centro in questi mesi di uno straordinario percorso di manutenzione della memoria. In questo lungo viaggio alla ricerca delle nostre radici un capitolo a parte è dedicato agli eroi e alle eroine della Napoli sacra. Ecco Apollo, divinità oracolare, che ha guidato i primi Greci nel loro viaggio nel Tirreno fino alla fondazione di Cuma - madrepatria di Neapolis - con il volo di una colomba. A Neapolis Apollo è una delle divinità patrie, insieme a Demetra e ai Dioscuri; la sua testa compare per la prima volta sulla moneta cittadina, alla metà circa del IV secolo avanti Cristo. Ecco Demetra: culto dalle radici cumane, divinità preposta al ciclo della vita insieme alla figlia Persefone che, rapita da Ade, ne diventa la sposa e la regina degli Inferi. Al corteo di Persefone partecipavano anche le Sirene che chiesero a Demetra di donare loro le ali, così da poter ritrovare più facilmente la figlia rapita. Ed ecco i mitici Dioscuri: i gemelli Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda e nati da un Uovo magico. Godevano di un culto molto diffuso in città, soprattutto tra i giovani atleti che partecipavano ai Giochi Isolimpici, e che facevano impazzire di passione gli imperatori romani; ne sono testimonianza le numerose iscrizioni dedicatorie e l'unico tempio documentato dai resti monumentali. Ed ecco Hera, sorella maggiore e moglie di Zeus, regina dell'Olimpo, di cui rimane solo un'incerta testimonianza in una testa in marmo inserita nella facciata della Cappella Pappacoda. Il culto di Afrodite, dea dell'amore e della vita, è invece testimoniato da un'epigrafe e da qualche testa femminile in marmo, tra cui la famosissima Marianna a capa e Napule la cui interpretazione rimane del tutto incerta.

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«Parthenope non è morta, Parthenope non ha tomba, Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene» (Matilde Serao)

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Il percorso espositivo nella cripta della Basilica si propone, insomma, di ritessere le fila della originaria memoria storica cittadina. E di farlo attraverso il recupero delle fonti primarie, come le monete. Le prime emissioni di monete in argento compaiono assai precocemente, subito dopo la fondazione della «città nuova» intorno al 470 a.C. Sin dall'esordio della sua monetazione, Neapolis adotta come emblema la testa della Sirena Parthenope, circondata da una corona di ulivo. Il volto (e il culto) della Sirena rappresenta la continuità con Palepoli, la città vecchia, il primo nucleo urbano di Parthenope, posto sul colle di Pizzofalcone. Intorno al 460-450 a.C., sul dritto dei primi didrammi di Neapolis, compare saltuariamente anche Athena al posto della testa di Parthenope, associata alla civetta, uccello sacro alla dea, facendo intuire lo stresso legame che univa Neapolis ad Atene, a cui viene attribuita l'istituzione della corsa delle fiaccole in onore di Partenope. Nell'immaginario collettivo sono ancora profondamente radicati i simboli che portano alla sirena da cui tutto nacque: tra le numerose leggende che la vedono protagonista, di cui l'Uovo di Virgilio si è occupato a lungo, c'è quella che la lega al dolce più famoso della cucina napoletana, la pastiera. Si racconta, infatti, che i napoletani, per ottenere la benevolenza e la protezione della Sirena, offrissero ogni anno al mare sette doni portati da sette fanciulle: farina, uova, ricotta, acqua di arancio e rosa, grano, spezie e zucchero, che Partenope restituiva ai napoletani sapientemente rimescolati nel dolce divenuto simbolo della città.
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