La Pietà di Spaccanapoli, quel Monte dei poveri che risvegliò le coscienze

Nella città di Pedro

La Pietà di Spaccanapoli, quel Monte dei poveri che risvegliò le coscienze
di Vittorio Del Tufo
Domenica 30 Aprile 2023, 10:00
6 Minuti di Lettura

«Nel caos del mondo, la coscienza è solo una debole luce, preziosa ma fragile. Non si accende un vulcano con una candela. Non si conficca la terra nel cielo con un martello»

(Louis-Ferdinand Céline)

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Tutto ebbe inizio nel 1539. Erano gli anni di Carlo V, sul cui impero «non tramontava mai il sole», e del suo luogotenente napoletano, il mitico don Pedro del Toledo, l'artefice della trasformazione urbanistica della città. Erano gli anni della cacciata da Napoli della comunità ebraica, tradizionalmente dedica al prestito di denaro anche perché altre attività le erano precluse. Fu allora che alcuni gentiluomini napoletani, tra i quali Aurelio Paparo e Nardo di Palma, decisero, per combattere l'usura, di concedere prestiti gratuiti su pegno a persone bisognose, cominciando a ricevere anche depositi e dando così vita, nella seconda metà del secolo, all'attività bancaria vera e propria. Un modello-Napoli che sarebbe stato presto esportato altrove, in tutto il continente.

Cominciò così, in quel 1539, la straordinaria avventura del Monte di Pietà, che avviò le sue operazioni nell'abitazione di uno dei suoi fondatori, Nardo di Palma, in via della Selice, presso la Giudecca, non lontano dalla attuale piazza Nicola Amore. Sede piuttosto angusta. Così, cinque anni più tardi, il Monte occupò un piccolo locale nel cortile della Casa Santa dell'Annunziata e qui rimase fino al 1592, anno in cui, per le pressioni dei governatori della Casa, che nel frattempo aveva aperto banco, dovette traslocare nel palazzo dei duchi d'Andria Carafa in piazza San Severino. Per il trasferimento nella sede definitiva - in via San Biagio dei Librai 114 - bisognerà attendere il 1597, quando il banco comprò, per 16.300 ducati, da Delizia Gesualdo, vedova di Girolamo Carafa, il prestigioso edificio di Spaccanapoli, che fu demolito e ricostruito su disegno dell'architetto Giovan Battista Cavagna.

Con il nuovo palazzo venne costruita anche una cappella, vero gioiello d'arte, a cui lavorarono i maggiori artisti del tempo: da Cosimo Fanzago a Michelangelo Naccherino, da Fabrizio Santafede a Belisario Corenzio.

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«Forsan abest misero signata pecunia civi Atque illum interea tempora sæva premunt, Nummorum huic operi ingentes cumulamus acervas, Pignore deposito, quod petit inde damus».

«Può darsi il caso che il denaro manchi a un infelice cittadino e nel frattempo tempi crudeli lo opprimano: per questo servizio accumuliamo ingenti quantità di monete. Dopo aver deposto un pegno, diamo ciò che ci si chiede».

(Iscrizione sulla facciata della Carità, una delle due statue di Pietro Bernini che adornano il portale d'ingresso del Monte di Pietà).

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A quei tempi il divario tra poveri ed aristocrazia era immenso, molti quartieri della città erano un tappeto di stracci, la ricchezza era concentrata nelle mani di poche famiglie: tutti gli altri, lazzari e disperati, si dividevano i resti. Il Monte di Pietà, per gli ultimi, per i deleritti, era l'unica alternativa allo strozzinaggio. L'erogazione del prestito avveniva in cambio di un pegno: quest'ultimo doveva valere almeno un terzo in più della somma ricevuta in prestito. Se, trascorso il periodo di un anno, la somma non veniva restituita, il pegno veniva venduto all'asta. Oltre che del prestito senza interesse, l'istituzione si occupava del riscatto dei prigionieri, della scarcerazione dei debitori insolventi e delle doti delle fanciulle povere. La Pietà di Spaccanapoli tracciò, per certi versi, il cammino verso il riscatto delle fasce più deboli della popolazione, risvegliando la coscienza di un'intera città.

Al Monte di Pietà, e a quel lontano 1539, risalgono le origini del Banco di Napoli, una delle più antiche e importanti banche del mondo. Radici solide, robuste, che secondo numerosi studiosi affonderebbero in un passato ancora più remoto: più esattamente al 1463, quando a Napoli già operava la Casa Santa dell'Annunziata. Ancora oggi il palazzo Girolamo Carafa dei Duchi d'Andria, in via San Biagio dei Librai 114, è conosciuto come il Banco dei Pegni, sebbene l'edificio sia utilizzato prevalentemente per uffici e agenzia del Banco di Napoli.

Secoli di storia in un cortile di Spaccanapoli. Nel 1647, durante i moti di Masaniello, l'edificio di via San Biagio dei Librai scampò alle fiamme. A salvarlo fu il giurista, presbitero ed "eletto del popolo" Giulio Genoino, che convinse Masaniello a risparmiare quel Banco dei Pegni tanto caro agli ultimi, ai deboli, ai disperati. Il palazzo non ebbe altrettanta fortuna nel 1786, quando a causa di un incendio andarono distrutti l'archivio del Banco e numerosi oggetti pignorati. Era la notte del 31 luglio 1786: le fiamme si levarono altissime da via San Biagio dei Librai cogliendo di sorpresa gli abitanti che, increduli, si riversarono in strada nel tentativo di arginare il fuoco. Grazie ai documenti dell'Archivio Storico del Banco di Napoli è stato possibile ricostruire nei dettagli gli avvenimenti di quei giorni, i provvedimenti concitati, le voci e gli interventi di chi si impegnò a limitare i danni, ricopiando i volumi danneggiati. Si puntò sin dall'inizio sulla pista dolosa. Ma chi poteva aver interesse a incendiare il più antico degli istituti bancari? Mistero. Non si escluse la responsabilità di qualche impiegato colpevole di malversazione e preoccupato di nascondere le tracce dei suoi misfatti.

Nel primo pomeriggio del 3 aprile 1984 il Monte di Pietà diventò teatro di un clamoroso episodio di cronaca nera. Una banda di rapinatori che faceva capo al gruppo Misso fece irruzione nell'edificio sequestrando una sessantina di dipendenti e razziando oro e gioielli custoditi nel caveau. Nella sede del Banco dei Pegni i rapinatori arrivarono scavalcando dal terrazzo del palazzo adiacente, quello dell'Archivio di Stato.

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Sventato il pericolo della vendita ai privati, è tempo di decidere cosa fare di questo luogo ricco di storia e monumenti, immerso nel dedalo di vicoli di Spaccanapoli (5.600 metri quadrati, 4 piani). Il ministero dei Beni Culturali ha quasi perfezionato l'acquisto dell'edificio, che sarà destinato a funzione culturale museale. C'è chi propone, come l'associazione Palazzi Napoletani presieduta da Sergio Attanasio, di affidare il sito all'Archivio di Stato e alla Soprintendenza Archivistica che hanno sedi limitrofe e confinanti con l'edificio. E l'ipotesi di destinare l'edificio a sede del museo di Totò? «Non ci convince: per quest'ultimo il luogo più idoneo è senz'altro il palazzo dello Spagnuolo alla Sanità. All'attuale vincolo di bene monumentale la nostra Associazione - continua Attanasio - chiede in ogni caso di aggiungere anche un vincolo di destinazione, per una struttura così legata alla storia della città».

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La Cappella della Pietà si staglia nel cortile di palazzo Girolamo Carafa dei Duchi d'Andria come un tempio greco. Due coppie di lasene con capitelli ionici cingono altrettante nicchie dove sono alloggiate le statue allegoriche della Carità e della Sicurtà, scolpite da Pietro Bernini, padre del più famoso Gian Lorenzo. Nel frontone una Pietà di Michelangelo Naccherino e due angeli di Tommaso Montani. Tante le opere d'arte custodite all'interno, a cominciare dalla volta affrescata da Belisario Corenzio con il ciclo dei Misteri della Passione e dal sepolcro del cardinale Ottavio Acquaviva, opera del grande architetto Cosimo Fanzago. Un luogo della memoria che merita di tornare a nuova vita, speriamo sia la volta giusta. 

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