Passione medioevo a Napoli:
il genio dei castelli
stregato dal Parco Grifeo

Passione medioevo a Napoli: il genio dei castelli stregato dal Parco Grifeo
di Vittorio Del Tufo
Domenica 8 Maggio 2022, 10:38 - Ultimo agg. 9 Maggio, 06:00
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«La fantasia è un posto dove ci piove dentro» (Italo Calvino)

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Quando mi chiedono in che cosa credo, disse un giorno il grande architetto statunitense Richard Meier, rispondo che io credo nell'architettura, perché l'architettura è la madre di tutte le arti. Mi piace credere, proseguì Meier, autore tra l'altro del Getty Center di Los Angeles, che l'architettura «colleghi il presente con il passato e il tangibile con l'intangibile». Doveva pensarla così anche l'Uomo dei Castelli in Aria, il visionario architetto Lamont Young, autore di progetti che ai suoi tempi furono considerati talmente arditi da restare nel libro dei sogni, come la prima linea metropolitana partenopea e il «rione Venezia», il nuovo quartiere che da Santa Lucia, lungo la costa di Posillipo, avrebbe dovuto collegare Napoli con i Campi Flegrei realizzando un canale navigabile che utilizzasse anche il percorso delle gallerie. E poi ascensori, scale mobili, case girevoli, zone verdi, stabilimenti termali...

Il fatto è che Lamont Young, nato nel 1851, figlio di un possidente scozzese che si era trasferito a Napoli dall'India, era avanti, troppo avanti, avanti di almeno cento anni rispetto ai suoi tempi, e per questo immaginò, in una città che non riusciva a stare al suo passo, opere ardite e visionarie. Negli occhi di Young, che era un suddito dell'impero britannico ma scelse Napoli come teatro delle sue utopie, c'era la visione di una città proiettata verso il futuro.

L'uomo che costruiva castelli scelse un angolo di paradiso tra la collina e il mare, dietro le quinte dell'odierna piazza Amedeo, per realizzare uno dei suoi capolavori, la dimora Aselmeyer, esempio tra i più riusciti di architettura neogotica in Italia, deturpato oggi da oscene sopraelevazioni. L'impronta medievale del castelletto, con i suoi archi ogivali e le torri sporgenti, è ben nota a quanti, da piazza Amedeo, guardano in direzione del parco Grifeo e della collina del Vomero. Young costruì la villa nel 1902 - di fronte allo sbocco sul corso Vittorio Emanuele della via del parco Margherita - come propria dimora; appena due anni più tardi, tuttavia, non seppe opporsi alla risolutezza del banchiere Carlo Aselmeyer, che la voleva per sé. Così il palazzo prese il nome del nuovo proprietario, e il visionario architetto passò oltre, verso nuove utopie.

Ma il primo edificio in stile neogotico creato da Lamont Young risale a parecchi anni prima, e precisamente al 1875, quando l'architetto, che aveva solo 24 anni, ideò per la famiglia Grifeo la Villa Curcio o castello Grifeo: un piccolo castello medioevale in rovina sovrastato da una torre di tufo con una finta lesione, secondo la moda delle false rovine gotiche diffuse fin dalla prima metà del 700. I Grifeo di Partanna, che hanno dato il nome all'intero complesso residenziale che s'inerpica fino alla collina del Vomero, erano un'antica e potente famiglia nobiliare della Sicilia (di origini bizantine, secondo la leggenda). Tra i Grifeo più famosi non possiamo non citare Benedetto, principe di Partanna, che sposò la duchessa di Floridia Lucia Migliaccio. Quando donna Lucia rimase vedova, diventò sposa morganatica del re delle Due Sicilie Ferdinando I, che le donò la splendida villa della Floridiana e Villa Lucia, all'interno del Parco Grifeo.

Tra gli abitanti più illustri del castello Grifeo, la grande coppia del giornalismo napoletano: Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Ci andarono a vivere in affitto, stringendo con l'architetto una robusta amicizia. Lamont Young frequentava spesso casa Scarfoglio-Serao. Fu Paolo Scarfoglio, figlio di Edoardo, a definire Lamont Young il Re dei Castelli in Aria.

Pietra viva lasciata in vista, piani sfalsati adeguati all'andamento naturale del terreno: quello che diventerà il marchio di fabbrica di Lamont Young, l'impronta neogotica che caratterizzerà tutte le sue costruzioni successive, è già evidente nel corpo di fabbrica del castello Grifeo.

Geniale l'intuizione dell'architetto anglo-napoletano: la villa è concepita come un edificio in rovina, falsamente lesionato. Come spiega Giancarlo Alisio in uno dei libri più importanti dedicati a Lamont Young e all'urbanistica napoletana dell'800, il modello di riferimento è quello delle «false rovine gotiche che, sin dalla prima metà del Settecento, Sanderson Miller aveva creato per l'aristocrazia inglese». (vedi anche Le ville di Napoli, di Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza). Gli stessi caratteri neogotici sono presenti in un altro edificio, su pianta simmetrica, compreso nel giardino di Villa Curcio. In realtà, come spiega Alisio, «non vi era, a Napoli, una conoscenza diretta delle fabbriche sorte in Inghilterra, dove era presente una continuità costante di ispirazione dalle originarie forme gotiche» (Giancarlo Alisio, Lamont Young, Utopia E Realtà Nell'urbanistica Napoletana dell'Ottocento). Sempre su terreni della famiglia Grifeo fu progettato l'edificio in via Crispi, poi diventato sede dell'Istituto Grenoble.

L'idea del castello medievale non è del tutto isolata nel contesto napoletano di quegli anni. Sono numerosi - come spiegano Alexandra Chavarria e Guido Zucconi in «Medioevo fantastico: l'invenzione di uno stile tra fine 800 e inizio 900» - i restauri di residenze nobiliari, soprattutto fuori città, che tendono a medievalizzare semplici dimore di campagna, come nel caso di Castello Giusso di Vico Equense.

Gli ultimi decenni dell'Ottocento verranno ricordati per sempre come l'epoca d'oro dei sognatori, degli architetti e degli ingegneri visionari. Germogliarono in quel periodo idee innovative, stravaganti, fantastiche. Il contesto internazionale era propizio, il clima irripetibile. Quando, nella Parigi degli anni 80 dell'800, Maurice Koechlin ed Émile Nouguier, due ingegneri alle dipendenze di Gustave Eiffel, immaginarono l'inimmaginabile, e videro nella loro fantasia la futura Tour, una delle meraviglie del mondo moderno, qualcuno li additò come pazzi. Lo scrittore Edmond de Goncourt definì quella torre «un faro abbandonato sulla terra da una generazione scomparsa, da una generazione di giganti». Monsieur Eiffel, invece, si innamorò all'istante dell'idea. Il mondo è di chi osa. Eiffel osò. A Napoli, in quello stesso periodo, l'architetto e urbanista britannico Lamont Young progettava il futuro, perché lo vedeva.

E uno dei luoghi dai quali Lamont Young vedeva il futuro era la collina di Pizzofalcone, dove il genale architetto costruì la sua dimora più iconica: Villa Ebe. L'Uomo dei Castelli in Aria pose fine alla sua vita con una palla in testa; fu lui stesso a tirare il grilletto, in una fredda sera del 1929 sulla terrazza di villa Ebe a Pizzofalcone, forse intuendo che al suo gioiello neogotico abbarbicato sul monte Echia sarebbe toccato in sorte un futuro inglorioso, di degrado e abbandono. L'architetto aveva dedicato la palazzina alla sua giovane moglie Ebe, che continuò a dimorarvi fino al 1970. Alla fine degli anni 90 la villa fu acquistata dal Comune. Vandalizzata più volte, occupata da clochard e balordi, abbandonata dalle istituzioni che avrebbero dovuto (e dovrebbero) tutelarla, la dimora sul monte è stata distrutta nel 2000 da uno spaventoso incendio che ne ha distrutto gli interni e la splendida scala elicoidale. Tutto perduto, tutto dimenticato. Ancora oggi i progetti di recupero arrancano, mentre l'abbandono avanza e il belvedere è sventrato. L'obiettivo del Comune è coinvolgere gli investitori privati. Ma fa rabbia pensare che i progetti di risistemazione del monte Echia e di Villa Ebe - oggi una cicatrice nel cuore della città - risalgono ai primi anni del Duemila e si sono subito arenati nelle sabbie mobili dei veti incrociati, delle varianti, dei ripensamenti. Mister Young si starà rivoltando nella tomba. 

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