Le lacrime dei Vergini,
il borgo che nacque
da un amore sbagliato

Le lacrime dei Vergini, il borgo che nacque da un amore sbagliato
di Vittorio Del Tufo
Domenica 10 Novembre 2019, 12:09 - Ultimo agg. 12 Novembre, 09:58
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«Era inevitabile: l'odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati» (Gabriel Garcia Marquez, L'amore ai tempi del colera).

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C'è un quartiere che porta impresse nel nome le stigmate di un passato leggendario, un quartiere nato dalle lacrime versate per un amore sventurato. Quel quartiere è il Borgo dei Vergini e il suo nome è legato a una confraternita religiosa greca che un tempo abitava nella zona. La misteriosa fratria degli Eunostidi era una comunità di vergini, dedita alla temperanza e alla castità. Comunità nata, a sua volta, per custodire e diffondere la memoria di Eunosto, che secondo una truce leggenda nata in Grecia era il giovane e bellissimo guardiano di un tempio consacrato agli dei.

Che diavolo di storia è questa? E cosa ha fatto, di tanto memorabile, il giovane Eunosto per essere ricordato a distanza di così tanti anni? Per rispondere a questa domanda bisogna viaggiare nel tempo. Eunosto era il figlio di un potente magistrato di Tanagra, città dell'antica Beozia, regione un tempo prospera e gloriosa. Narra la leggenda, resa celebre da Plutarco, che tale Ocna, figlia di un notabile di Tanagra, perse la testa per Eunosto e cercò di sedurlo. Ci provò in tutti i modi, ma senza successo. Ci rimase talmente male da trasformarsi in una stalker. Una sera, infuriata per i continui rifiuti, decise di saltare letteralmente addosso al suo amato. Ma Eunosto, che per incomprensibili motivi ci teneva moltissimo a rimanere vergine, la cacciò via in malo modo: illibato era e illibato voleva restare. A quel punto l'incazzatissima Ocna si rivolse ai fratelli (Bucolo, Leonte e Ocheno) per vendicare l'onore perduto. Raccontò di essere stata maltrattata e quasi violentata dall'incolpevole Eunosto ottenendo, così, l'omicidio del ragazzo. Poi, però, non resse al senso di colpa e si uccise lanciandosi da una rupe. Fine della triste storia di Ocna ed Eunosto.

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Nel nome di Eunosto, vittima della furia vendicatrice di una donna che si era invaghita di lui, nacque dunque una delle fratrie napoletane. Le fratrie erano associazioni politico-religiose che si costituirono a Neapolis intorno al 470 avanti Cristo. Le principali erano quella degli Eumelidi (che veneravano Eumelo Falero, uno degli Argonauti reduci dalla vittoriosa impresa del Vello d'Oro, che secondo la leggenda avrebbe fondato la città molto prima che la sirena Partenope si arenasse sugli scogli di Megaride), quella degli Artemisi (dedicata alla dea Artemide - o Diana - che aveva sede in via Tribunali dove sorgono, oggi, la Cappella del Pontano e La Pietrasanta) e quella, appunto, degli Eunostidi. Quest'ultima, dedicata al vergine Eunosto, aveva sede proprio nella zona dell'attuale Borgo dei Vergini. Secondo lo studioso Bartolommeo Capasso le fratrie di origine greca a Napoli erano undici e avevano tutte sedi proprie, dove si svolgevano riunioni e riti sacri. Alcune delle fratrie esistenti in città sono identificate proprio con i nomi dei morti scritti sulle pareti affrescate o sulle lapidi trovate negli ipogei. E questo sarebbe proprio il caso degli Eunostidi: i maschi casti della fratria venivano seppelliti in zona, e proprio dalle antiche fratrie della polis greca, e dai loro misteriosi riti religiosi, discenderebbe il culto delle anime dei defunti.

Così, nella città dove le favole, da Partenope in poi, danno il nome ai luoghi, anche il Borgo dei Vergini deve il suo nome a una leggenda: la leggenda di un amore maledetto. «Quando osserverete l'acqua cadere copiosa dal cielo siate certi che tra le gocce si nascondono le mie lacrime», disse Ocna ai fratelli prima di lanciarsi dalle rupe. Quelle lacrime, trasfigurate dalla leggenda, sono diventate lava. La lava dei Vergini.

Ma è venuto il momento di abbandonare la leggenda e risalire alle vere origini di un fenomeno - noto, appunto, come lava dei Vergini - assai meno romantico (con tutto il rispetto per il povero Eunosto).

«Quando ero piccolo e venivo a Napoli con mio padre, che andava in pretura o al tribunale, spesso mi toccava aspettarlo in macchina. Non mi annoiavo, mi distraevano centinaia di operai che, a Piazza Cavour o a Porta Capuana, spalavano fango e lo caricavano su carrette trainate da asini, cavalli e buoi. Era la lava dei Vergini, un vero flagello che per millenni ha imperversato su Napoli interrando ipogei, catacombe e cavità, in alcune delle quali, ancora oggi, ne è visibile la stratificazione». Sono i ricordi di Clemente Esposito, grande conoscitore del sottosuolo e decano degli speleologi napoletani. La zona dei Vergini si trovava (e si trova) lungo il percorso dei torrenti che scendevano dalla collina di Capodimonte e dei Colli Aminei. Le acque, attraverso il vallone San Rocco, via Stella, via Fontenelle e via Miracoli, confluivano nella Sanità, fino a piazza Cavour e via Foria, dando origine al fenomeno della lava, che per secoli ha allagato la zona a nord ovest della città interrando case, ipogei e catacombe. Uno spettacolo terribile che costringeva gli abitanti a scappare, oppure a cercare riparo ai piani alti delle case «passandosi a gran voce l'allarme - ricorda la giornalista Eleonora Puntillo - quando la pioggia si faceva intensa e faceva prevedere l'arrivo della piena».

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«Te pozza purtà a lava d''e Virgine» (antica invettiva napoletana).

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Ogni volta che le acque piovane scendevano dai Colli Aminei e da Materdei, invadendo le strade del quartiere di pietre e fango, nel borgo si sentiva la gente urlare a squarciagola: «A lava, a lava». Di padre in figlio, alla Sanità, ci si tramanda il ricordo della festa che si svolse nel quartiere nel 1953, quando il sindaco di allora, Achille Lauro, venne invitato ad assistere alla serata canora finale in piazza della Sanità. Si narra che Lauro si avvicinò a don Luigi Campoluongo, il sindaco del rione Sanità, chiedendogli cosa potesse fare per il quartiere. Il guappo - conosciuto con il soprannome di Naso e cane, amico di Totò e di tanti altri personaggi del mondo dello spettacolo - gli chiese di risolvere, una volta per sempre, il problema della lava dei Vergini.

O sindaco incaricò allora il capo dell'Ufficio Fognature di Napoli, Guido Martone, di trovare una soluzione. Martone era un funzionario tenace, coraggioso, cresciuto nel mito di Guglielmo Melisurgo, il mitico ingegnere del Comune che tanti anni prima, nel 1885, si era calato con il fido pozzaro Nunzio nei labirinti di pietra del sottosuolo esplorando a uno a uno gli antichi acquedotti, e mettendone in luce lo stato pietoso. Anche Martone si calò nelle viscere della terra, ispezionando metro dopo metro l'intera rete fognaria dai Vergini fino a Piazza Carlo III. Quello che vide fu sconcertante: scoprì infatti che la galleria sotterranea costruita per portare la lava dei Vergini verso il mare era bloccata e faceva da tappo. Così l'acqua, anziché defluire, risaliva su provocando l'alluvione. «'A lava, a lava».
Lauro non esitò. «Ingegnè - disse - dobbiamo risolvere sto problema». «Martone - ricorda Eposito - ebbe dal sindaco Lauro l'incarico di progettare e costruire un collettore che regimentasse queste lave. L'ingegnere le captò di fronte al Cimitero delle Fontanelle e all'Ospedale San Gennaro dei Poveri, dove confluivano i valloni che portavano nella Sanità le lave dei Colli Aminei». Si pose così fine al flagello. Anche se ancora oggi le acque piovane provenienti dai Colli Aminei e da Materdei invadono le strade della Sanità trascinando, quando le precipitazioni sono molto intense, pietre e fango. E facendo rivivere, tra gli anziani del quartiere, il ricordo dell'antica lava che nasceva direttamente dal mito, dalla nostra memoria, dalle lacrime versate da un innamorata respinta.
 
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