Quando Dio era femmina: le madri di tufo e il segreto di Capua

La madre divinità principale del bacino del Mediterraneo

Una delle madri di Capua
Una delle madri di Capua
Domenica 12 Marzo 2023, 10:57 - Ultimo agg. 13 Marzo, 07:10
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«Così a un'ora fissa Matuta soffonde con la rosea luce
dell'aurora le rive dell'etere e spande la luce»
(Lucrezio, De rerum natura)

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Il 9 settembre 1943 un violento bombardamento aereo si abbatté su Capua, riducendola a un ammasso di rovine. Il Museo Campano di Palazzo Antignano, definito dal grande archeologo Amedeo Maiuri «il più significativo della civiltà italica della Campania», seguì la sorte di molti altri edifici rasi al suolo. Fortunatamente tutte le collezioni erano state preventivamente messe al sicuro e custodite dal direttore, Luigi Garofano Venosta, e così potettero essere salvate. Un patrimonio della memoria e della nostra identità collettiva: tra le gemme sottratte alla devastazione e all'oblìo v'erano le Matres Matutae, sculture in tufo raffiguranti donne sedute con in grembo uno o più bambini in fasce: lo scrigno più singolare e potente del Museo Campano.

Possiamo solo immaginare lo stupore degli archeologi che quasi due secoli fa si imbatterono nelle Madri di tufo. Perché quelle Madri erano la testimonianza di un culto antichissimo, celebrato dalle grandi civiltà del passato e radicato soprattutto nel bacino mediterraneo. I resti di una grande ara votiva con fregi architettonici e iscrizioni in lingua osca vennero alla luce nel 1845, accidentalmente, durante uno scavo eseguito per lavori agricoli in località Petrara, in un fondo appartenente all'architetto Carlo Patturelli. In quell'occasione cominciarono a riemergere dalla terra anche decine di Madri scolpite, le Matres Matutae dell'antica Capua. Dal 1873 al 1887 si effettuarono nuove ricerche, stavolta con finalità archeologiche: vennero così definitivamente alla luce numerose statue in tufo riproducenti quasi tutte una donna seduta con uno o più bambini tra le braccia, a riprova della presenza, in quel luogo, di un tempio antichissimo. Ma una Madre differiva da tutte le altre: invece di reggere un neonato tra le braccia aveva nella mano destra un melograno (l'ultimo frutto della stagione, che alla maturazione si spaccava lasciando scorgere i suoi semi) e nella sinistra una colomba, simboli della fecondità e della pace. Lei, e solo lei, doveva rappresentare qualcosa di diverso: la vera dea tutelare del tempio dedicato alla maternità. La dea era la Mater Matuta, antica divinità italica dell'aurora e della nascita e le Madri rappresentavano altrettanti ex voto; un'offerta propiziatoria ma anche un simbolo di gratitudine per la concessione del sommo bene della fecondità.

Le statue in tufo delle Matres, dunque, furono trovate attorno ai resti di una grande ara: un templum orientato secondo i quattro punti cardinali e dedicato, si pensa, alla Grande Madre, la Dea Italica preromana risalente al matriarcato: un culto antichissimo (le tracce condurrebbero al 1.500 a.C.) che nella mitologia greca si identifica con Leucotea e in quella romana viene identificata con Cerere, dea della crescita, con riferimento alla fertilità non solo della donna ma anche della terra (e non c'è da stupirsi che un tempio dedicato alla Dea Madre sorgesse a Capua, capitale della feconda Campania Felix).

Un meraviglioso labirinto di culti e di civiltà lontane: su tutto questo, la figura imperiale e maestosa della Mater Matuta (o propizia) chiamata anche Grande Madre o Dea Bianca, nell'antica Roma onorata con una festa - i Matralia - che veniva celebrata l'11 giugno.

Nel 1930 Amedeo Maiuri - nominato, nel 1924, sovrintendente alle Antichità di Napoli e del Mezzogiorno, e anche direttore del Museo Archeologico di Napoli - richiamò sulle sculture ritrovate a Capua l'attenzione degli studiosi di tutto il mondo. Germogliarono, così, nuovi studi e nuove ricerche sulle Madri oggi custodite, come il più prezioso dei tesori, nel Museo di Capua. Le Madri formano un complesso unico nel suo genere e un raro documento in Campania di scultura pre-imperiale: memoria di pietra e testimonianza di un culto con il quale gli antichi campani onoravano il mistero della vita considerando la maternità come un dono divino e avvolgendo di spiritualità l'evento della nascita ritenendolo cosa sacra, come tutto ciò che di vitale esce dal seno della natura.

Cronologicamente, le Matres Matutae di Capua si collocano in un arco di tempo che va dal VI al II sec. a.C. Ma il VI secolo, avvertono gli esperti, non può essere considerato il periodo di inizio, poiché alcuni esemplari posseduti sono da attribuirsi ad epoche precedenti, paragonando la loro arcaicità a quella dei monumenti preistorici, tali da essere definiti i prodotti più ingenui della scultura di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

«I più antichi culti conosciuti dall'umanità furono tributati a una Grande Dea, Madre della natura e degli uomini», scrisse Jean Varenne, orientalista e storico delle religioni, tra i più importanti studiosi delle religioni dei popoli indoeuropei. Tra i prodotti più singolari della scultura di tutti i tempi, le matres di Capua sono simulacri votivi raffiguranti donne sedute, rivestite da una tunica o un lungo mantello e che reggono in braccio e sul grembo uno o più bambini in fasce. Ciascuna di queste donne offre sé stessa e la sua prole alla divinità tutelare nel tempio, la Grande Madre. Le matres più prolifiche sono rappresentate con dodici figli ciascuna. Tre, invece, sono accovacciate, forse in procinto di partorire. Alcune sono scolpite con forme più primitive, altre meglio definite e in migliore stato di conservazione.

«Io sono colei che è venerata e disprezzata,
Io sono colei che è prostituta e santa,
Io sono sposa e vergine,
Io sono madre e figlia,
Io sono le braccia di mia madre,
Io sono sterile, eppure sono numerosi i miei figli,
Io sono donna sposata e nubile,
Io sono Colei che dà alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io sono colei che consola dei dolori del parto.
Io sono sposa e sposo,
E il mio uomo nutrì la mia fertilità,
Io sono Madre di mio padre,
Io sono sorella di mio marito,
Ed egli è il figlio che ho respinto.
Rispettatemi sempre,
Poiché io sono colei che da Scandalo e colei che Santifica».
(Inno a Iside, rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto, risalente al III-IV secolo a.C.)

La natura, diceva Baudelaire, è un tempio in cui «viventi colonne lasciano talvolta sfuggire confuse parole; l'uomo vi passa, attraverso foreste di simboli, che lo guardano con sguardi familiari». Le Matres Matutae di Capua sono la più singolare stipe sacra che sia mai emersa dai depositi di un santuario italico ma un complesso unico in Italia. Prima che le popolazioni nordiche, con i loro dèi maschi e guerrieri, ne distruggessero la memoria ed i templi, le Dee Madri, simboli di nascita, fertilità e sessualità, erano considerate la divinità principali nel bacino mediterraneo. Divinità femminili primordiali, oggetto di culto presso civiltà e popolazioni di varie aree del mondo, risalenti alle antichissime società matriarcali. Un lungo passaggio di testimone che, di civiltà in civiltà, è arrivato fino all'epoca greca e poi a quella romana. Così, grazie alle Matres Matutae di Capua, ripercorriamo millenni di storia della nostra terra. La memoria di pietra che diventa identità collettiva.
 

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