Monteoliveto, che storie: la statua del Re Stregato e un misterioso tesoro

Monteoliveto, che storie: la statua del Re Stregato e un misterioso tesoro
di Vittorio Del Tufo
Domenica 20 Febbraio 2022, 11:03 - Ultimo agg. 15:40
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«Molte persone mi dicono che io sono stregato e lo credo bene: queste sono le cose che io provo e che soffro» (Carlo II di Spagna)

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Napoli, è il 1668. La rivolta di Masaniello (1647) è alle spalle, sono gli anni del viceré Pedro di Aragona. Che da buon viceré decide di rendere omaggio al suo Re, Carlo II di Spagna, asceso al trono all'età di quattro anni. La storia della fontana di Monteoliveto - monumento che meriterebbe ben altra cura, fortuna e decoro - comincia così, con un gesto di devozione del buon Pedro (da non confondere con il ben più importante, e monumentale, Pedro de Toledo) nei confronti del suo sovrano, quel Carlo II che fu l'ultimo Asburgo di Spagna e venne soprannominato il Re Stregato, perché collezionò una serie di sfighe che la metà basterebbe.

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Se le statue potessero parlare, la statua di Monteoliveto, in piazzetta Trinità Maggiore, racconterebbe la triste parabola di un Re che per tutta la vita fu tormentato da acciacchi, malanni e sventure di ogni genere, per poi morire, a 39 anni, in preda a crisi epilettiche. Lo stesso monumento di Monteoliveto ha avuto una storia lunga e travagliata. I lavori andarono avanti più a lungo del previsto e quando la base della fontana venne consegnata ci si accorse che era troppo piccola per fare da piedistallo a una statua di grosse dimensioni. Così il viceré - pare incazzatissimo - dovette ripiegare su una statua molto più piccola, dalle dimensioni di un bambino ma con il volto di un adulto. Ironia della sorte, lo stesso destino che, in vita, sarebbe toccato al povero Carlo II di Spagna: sgraziato e deforme. Per la sua intera e breve esistenza il sovrano fu avvolto in un'aura di maledizione.

Il popolo, infatti, riteneva che all'origine del suo aspetto macilento, e della sua deformità, vi fosse una sorta di stregoneria. Così l'ultimo Asburgo di Spagna passò alla storia come el Hechizado, il Re Stregato. Egli stesso non fece mai mistero della maledizione che sembrava incombere su di lui: «Molte persone mi dicono che io sono stregato e lo credo bene: queste sono le cose che io provo e che soffro».

Appena pochi mesi dopo la nascita dell'infante, l'ambasciatore francese presso la corte di Madrid scrisse a Luigi XIV descrivendo così le condizioni di salute del nuovo sovrano: «Il principe sembra essere estremamente debole. Ha un'eruzione erpetica sulle guance. La testa è completamente coperta di croste. Per due o tre settimane si è formato sotto l'orecchio destro una sorta di canale di drenaggio o di scolo». E a vent'anni l'aspetto fisico del sovrano fu descritto così dal nunzio apostolico in Spagna: «Il re è più basso che alto, malformato, ha il viso sgraziato, il collo lungo e il viso allungato e piegato verso l'alto, il labbro tipico della casa d'Asburgo, occhi molto grandi, di colore turchese ed una pelle fine e delicata. I capelli sono lunghi e biondi, portati all'indietro in modo da esporre le orecchie. Non è possibile raddrizzare il suo corpo ma, quando cammina, si appoggia su di un tavolo a muro, o qualcosa d'altro. Il suo corpo è debole come la sua mente. A volte dà segni di intelligenza, memoria e di vivacità, ma non ora, sembra lento e non risponde, maldestro, pigro, con l'espressione stupita. Si può fare ciò che volete, non ha volontà propria».

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Carlo II flirtò per tutta la vita con la morte. A segnare per sempre la sua esistenza vi sarebbe stata la consuetudine di casa d'Asburgo di contrarre matrimoni tra consanguinei. Fatto sta che il Re Stregato - a quanto tramandano gli storici - non riuscì a pronunciare una sola parola fino all'età di quattro anni, né a camminare fino a otto anni: la sua principale attività era quella di rimpinzarsi di dolci al cioccolato e i suoi tutori evitarono di sottoporlo a qualunque sforzo sia fisico sia intellettuale, fino al punto di non prestare attenzione nemmeno all'igiene personale del ragazzo, tanto che stufo di tanto olezzo pare che il fratellastro, don Giovanni d'Austria, gli abbia imposto di lavarsi e di curare i capelli.

Insomma la sventura fatta trono. Eppure la maledizione del Re Stregato non distolse il viceré di Napoli Pedro de Aragona dal proposito di rendergli omaggio, con una superba fontana che ne magnificasse le gesta. Il progetto venne affidato ai marmorari Bartolomeo Mori e Pietro Sanbarberio, sotto la direzione dell'ingegnere Donato Antonio Cafaro. Le spese, ovviamente, ricaddero sui cittadini, che vennero tassati e tartassati. Ne sa qualcosa il duca di Gravina, che abitava nell'attuale Palazzo di Architettura (di fronte al monumento) e che dovette versare gran parte dei fondi. Purtroppo per Pedro, per Carlo II di Spagna e per noi la statua di Monteoliveto deve aver assorbito almeno una parte della maledizione che aleggiava sul Re. Infatti, quando si scoprì che la base della fontana era troppo piccola per ospitare una statua grossa, «Pedro d'Aragona cacciò il marmorari, con i quali finì in causa, allungando ancora di più i tempi del monumento» (Domenico Quagliuolo, Storie di Napoli). A queste dispute se ne aggiunse un'altra: nell'area prevista per la costruzione vi furono problemi di approvvigionamento e «fu necessario - come ricorda Aurelio De Rose ne Le fontane di Napoli - tenere a bada le proteste dei cittadini, i quali temevano di veder ridotta, a causa del monumento, la propria fornitura d'acqua».

Alla fine la statua venne realizzata, in bronzo, da Francesco D'Angelo su disegno di Cosimo Fanzago. Purtroppo, anziché ritrarre il sovrano a cavallo, ci si dovette accontentare (viste le dimensioni della base) di rappresentarlo in figura eretta e in età adulta, nonostante la statura ridotta.
Disgraziato in vita, sgraziato in statua.

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Narra un'antica leggenda che lo sguardo del re maledetto indicherebbe il luogo dove sarebbe nascosto un favoloso tesoro. Ora, se consideriamo che la statua venne ultimata nel 1673, dovremmo trarne la conclusione che quel tesoro sarebbe ancora nascosto (da 350 anni!) dalle parti di via Sant'Anna dei Lombardi (lo sguardo del re, piuttosto vacuo in verità, è rivolto in quella direzione). Tendiamo ad escluderlo, anche perché il viceré don Pedro d'Aragona, anziché nascondere i tesori, aveva piuttosto il vizietto di portarli via. Quando lasciò Napoli si portò via un'intera fontana, quella dei Quattro del Molo, caricandola a bordo di un vascello pieno di opere d'arte trafugate. I napoletani si legarono l'affronto al dito e da allora lo chiamarono il Viceré Mariuolo, dedicandogli un affettuoso commiato sulla statua del Gigante al Largo di Palazzo, famosa per le sue pasquinate: «Se n'è ghiuto lo mbroglione, è arrivato lu cuglione!». Lu cuglione era il successore di Pedro di Aragona, ma questa è un'altra storia...

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Diceva Matilde Serao tutte le fontane di Napoli sono lacrime. Quella di Monteoliveto «è formata dalle lagrime di una pia monachella che pianse senza fine sulla Passione di Gesù». Qualche lacrima per la fontana di Monteoliveto la versò anche Achille Lauro, che da sindaco provò, senza riuscirci, a trasferire il monumento in piazza Trieste e Trento, incontrando la strenua opposizione dei critici dell'Accademia di Belle Arti. Don Achille si vendicò facendo installare nello stesso slargo la Fontana del Carciofo. In anni più recenti, furono i napoletani a piangere per gli atti di vandalismo che a più riprese colpirono la fontana del Re Stregato, costringendo il Comune a costruire una rete di recinzione per limitare i danni. Con tutto il rispetto per l'illustre personaggio che vi è raffigurato sulla sommità, l'unica maledizione, per la statua di Monteoliveto, è il degrado, anticamera dell'oblio.
 

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