Napoli, il mito di papà Kemali nei vicoli della Sanità: «Era il nostro sindaco»

Napoli, il mito di papà Kemali nei vicoli della Sanità: «Era il nostro sindaco»
di Vittorio Del Tufo
Domenica 5 Dicembre 2021, 10:34 - Ultimo agg. 18:23
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«Un'idea, un concetto, un'idea/ finché resta un'idea è soltanto un'astrazione/Se potessi mangiare un'idea/avrei fatto la mia rivoluzione» (Un'idea, Giorgio Gaber)

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Il 12 settembre 2002 un lungo corteo attraversò le strade della Sanità, da via Stella ai Vergini, per accompagnare il feretro di un musulmano che aveva scelto di vivere in quel quartiere. Anzi, aveva scelto di vivere per quel quartiere. Alla Sanità la politica, quella buona, quella vera, ha avuto per moltissimi anni il volto di Rashid Kemali, figura storica del partito comunista locale, per tutti semplicemente Papà Kemali, il militante di origine libica sempre da parte degli ultimi, dei poveri, dei disperati, tanto da guadagnarsi il titolo di Sindaco del Rione Sanità, proprio come il protagonista della celebre commedia di Eduardo.
Se la politica è cura degli altri, soprattutto di quelli che la vita lascia indietro, nei quartieri malandati che trascinano i loro affanni sperando in un riscatto possibile, allora la politica deve molto a questa figura di missionario laico che per oltre mezzo secolo ha intrecciato la propria vita a quella del rione Sanità, guidando la sezione Stella del Pci e facendo di essa un punto di riferimento per l'intero territorio, come sarebbe accaduto, molti anni dopo, alla chiesa del Monacone guidata da padre Antonio Loffredo: un faro (e un vulcano di iniziative) in un quartiere troppo spesso dimenticato dalle istituzioni.

Rashid, nato a Tripoli nel 1924, era il figlio di un funzionario del governo turco e di una dottoressa che alla morte del marito scelse di vivere a Napoli, facendo affidamento su una borsa di studio vinta dal figlio più grande, Dargut.

Per aiutare il fratello a sostenere la famiglia, Rashid scaricava sacchi di farina nel porto di Napoli. Nel 1944 la decisione di iscriversi al Partito Comunista, «per stare vicino a chi soffre», come spiegò alla madre. Erano gli anni di Togliatti e della disciplina stalinista. E delle retate: in quello stesso anno Rashid entrò e uscì di galera più volte perché sospettato di «azioni sovversive». Protagonista assoluto delle battaglie dei lavoratori, che vedevano in lui un punto di riferimento irrinunciabile, Kemali strinse amicizia con Maurizio Valenzi e si espose pubblicamente per difendere i diritti degli operai delle calzature e dei guantai: a quei tempi, alla Sanità, vi erano fabbriche più o meno piccole in ogni palazzo. Non esistevano orario di lavoro né ferie, non esisteva copertura previdenziale, lo straordinario nemmeno a parlarne. A causa delle malsane condizioni di lavoro, molti operai si ammalarono di tubercolosi; per tutto il tempo in cui fu alla guida della storica sezione Stella, Rashid fu sempre al loro fianco.

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«Rashid lo conoscevo bene. Era venuto da un paese straniero per predicare la legalità nei vicoli del nostro rione, ma è rimasto sempre profondamente legato alle sue radici, anche alla sua religione. Essere compagno, ripeteva spesso, significa condividere il pane. Cum panis». (Francesco Romeo, vecchio militante della sezione Stella Amendola, affacciato sull'uscio della sua casa al Vico Lammatari, proprio di fronte al sagrato della maestosa basilica di Santa Maria della Sanità).

«A Rashid volevo bene come a un fratello. Ricordo le battaglie per gli operai della fabbrica Valentino... Ma soprattutto ricordo i cortei del primo maggio, quando scendevamo dai Colli Aminei e lui ci aspettava con la banda musicale. Con Rashid era difficile parlare solo del partito o della classe operaia. Il discorso poteva cadere sui grandi classici della letteratura, sull'Iliade, sui grandi poeti dell'800...» (Sino Pignalosa, storico animatore - con Salvatore Di Maio, Olimpia Ammendola, Silvia Coppola, Ricciotti Antinolfi - di tante battaglie nel quartiere Stella-San Carlo all'Arena negli anni a cavallo del terremoto del 1980).

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La figura di Rashid è rievocata in alcune tra le pagine più belle del romanzo Nostalgia di Ermanno Rea, il sofferto omaggio dello scrittore scomparso nel 2016 alla Napoli dolente e ribelle della Sanità, ai suoi eroi, alle sue vittime. Romanzo che si apre con la morte di un figlio del rione, Felice Lasco, ucciso con due colpi di pistola alla salita dei Cinesi da colui che, in giovinezza, era stato il suo amico del cuore. In Nostalgia Rea scava dentro le ragioni di questo delitto, che affondano le radici in un lontano e oscuro passato. Nel rievocare quei tempi, intrecciandoli con il presente - dai Vergini, mare in eterna tempesta, ai Cristallini, lì dove il tufo s'inerpica alla ricerca del cielo sui fianchi della collina di Capodimonte - lo scrittore fa rivivere e danzare nelle sue pagine personaggi di fantasia e persone realmente esistite (o esistenti, come Antonio Loffredo, il don Luigi Rega del libro) e ormai innervate nel ventre e nel cuore del rione.
Uno di questi è Rashid Kamali, che così, al pari di padre Giuseppe Rassello, predecessore di don Loffredo alla guida della basilica del Monacone, può essere annoverato a pieno titolo tra i co-protagonisti del romanzo di Rea. Nel descriverlo lo scrittore si affida a ricordi personali e a ricordi filtrati, definendolo «quasi un angelo per la sua sconfinata bontà: paffuto, pacioso, ma con lo sguardo penetrante come un trapano».

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Altri tempi, e altro modo di fare politica. L'amendoliano Kemali spediva i suoi attivisti, che frequentavano la storica sezione PCI di via San Vincenzo, all'ombra del ponte napoleonico, nelle case delle famiglie più bisognose. Insomma arrivava lì dove non arrivava lo Stato, e nemmeno gli assistenti sociali. Per questo gli abitanti del rione cominciarono a chiamarlo Papà. La sera riuniva il comitato direttivo della sezione, in via San Vincenzo, e si faceva raccontare di cosa avessero bisogno quelle famiglie, in modo tale da organizzare gli aiuti, quasi sempre sotto forma di cibo e medicinali. Nel quartiere rosso per eccellenza, organizzò una rete di medici dei poveri, che svolgevano volontariato affiancando, il più delle volte, l'attività del principale ospedale del rione, il San Gennaro. Le cellule del partito, a quei tempi, operavano soprattutto nei luoghi di lavoro. Rashid raccoglieva in grossi faldoni le denunce degli operai e delle operaie che lavoravano nei laboratori di pelletteria, come i loro padri, i loro nonni e i loro bisnonni, e conducevano quasi sempre una vita d'inferno, senza alcuna garanzia né assistenza.

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Quando il parroco Giuseppe Rassello, il 2 giugno 1990, venne arrestato con l'infamante accusa di aver abusato di un quattordicenne che frequentava la chiesa della Sanità, Rashid fece pubblicare un manifesto di solidarietà nel quale il parroco del rione era presentato come la vittima designata di una macchina del fango ordita da elementi della camorra e potentati politici legati alla Democrazia Cristiana. Dieci anni dopo Rassello morì, non ancora cinquantenne. I funerali, officiati dal cardinale Michele Giordano, si svolsero nella basilica del Monacone e dopo la cerimonia la bara fu condotta all'esterno, a spalla, sotto la pioggia. Quel giorno, sul sagrato ad applaudire la bara, c'era anche il comunista Kemali, che di padre Rassello era stato amico e assiduo frequentatore. «Aveva messo al collo - scrive Rea nel suo libro - una cravatta nera: ricordo il suo sorriso appassito, quasi tragico».

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Per anni Papà Kemali (al quale i militanti della sezione Stella-Amendola hanno dedicato tempo fa un prezioso libricino) ha pranzato con i compagni della sezione Stella e con gli operai delle piccole fabbriche del rione nella storica Cantina del Gallo, in via Telesino, dove partono i gradoni che s'inerpicano fino a Materdei. Lo ricorda bene don Rosario, titolare della taverna, che descrive Rashid sempre avvolto nel fumo del suo immancabile sigaro oppure assorto (come scrive anche Rea in Nostalgia) in un'espressione di permanente severità, una sorta di goffo cipiglio.

Le battaglie di Papà Kemali avevano una posta in gioco che andava al di là delle rivendicazioni di tipo salariale. Ai poveri del quartiere, e ai lavoratori sfruttati, Rashid parlava di legalità, di rispetto delle regole, di civiltà e di diritti costituzionali. Per il comunista Rashid, che proveniva da una famiglia di educazione laica, era motivo d'orgoglio far confluire nell'attività politica tanto gli insegnamenti della religione cattolica quanto i precetti di quella musulmana. Possedeva esperienza, umanità e carisma. Le stesse qualità oggi ereditate, a giudizio della gente della Sanità, da Antonio Loffredo, parroco del quartiere dal 2001. Il quale, al pari di Papà Kemali, sa bene che anche la religione, come la politica, per essere buona e vera deve svolgersi a contatto con la gente, e dare una speranza a chi non ce l'ha. O l'ha perduta nei vicoli.
 

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