Dove volano le poiane,
splendore e morte
nell'Eden dimenticato

Dove volano le poiane, splendore e morte nell'Eden dimenticato
di Vittorio Del Tufo
Domenica 16 Maggio 2021, 09:19 - Ultimo agg. 17 Maggio, 17:00
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«Che io mi fermi qui. E m'illuda di aver visto
(certo che ho visto, in quell'attimo di sosta);
non vittima anche qui dei miei abbagli
dei miei ricordi, dei miei fantasmi di lussuria».

(Konstantinos Kavafis)

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Nel cuore della città obliqua, tra la spianata dell'ospedale Cardarelli e piazza delle Fontanelle, corre via del Serbatoio allo Scudillo: una spettacolare e rapida via d'accesso alla Sanità, un'antica via di deflusso delle acque meteoriche, un luogo magico e segreto dove sopravvive il ricordo degli nobili cavamonti, che hanno forgiato Napoli con le loro mani sapienti.

Intagliata nel tufo tra canyon e vallate immerse nel verde, via Serbatoio allo Scudillo ci parla di un tempo in cui la città non c'era. Un paesaggio remoto come un reperto archeologico che si apre all'improvviso offrendo squarci da togliere il fiato. Ma non lasciatevi trarre in inganno dai panorami da favola: questa è una storia di scempi, di bellezza tradita, mani rapaci e di sversamenti illegali. Come la strada gemella - quella dello Scudillo - via del Serbatoio potrebbe fare da traino allo sviluppo turistico della città collinare; invece è un percorso a ostacoli, tra stracci, pneumatici, materassi abbandonati e amianto. Antica terra da pascolo per i montanari che dalla Sanità, da Materdei, dalle Fontanelle risalivano verso i Camaldoli, oggi è un polmone verde che rischia di perdere la sua identità, storica e geologica, nonostante gli sforzi di quanti - come l'associazione Celanapoli che vi organizza visite guidate - vorrebbero sottrarla a un destino di rovina.

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Centinaia di cittadini prendono parte alle esplorazioni urbane guidate da Carlo Leggieri, appassionato archeologo che in passato ha promosso il recupero e la fruizione della necropoli ellenistica a nord di Neapolis. Un Indiana Jones metropolitano che ha fatto del recupero della memoria la sua missione. Leggieri è un pazzo visionario davvero convinto che la bellezza possa salvare Napoli. Per questo si batte da anni contro il paradigma dell'inciviltà, che rischia di condannare i meravigliosi paesaggi della città collinare a una lunga agonia. Via del Serbatoio allo Scudillo fa parte a pieno titolo di questo paesaggio da salvare. Ai tempi dei romani, quando l'imperatore Augusto era il padrone del mondo, da queste parti sorgeva uno splendido mausoleo, al quale si accedeva lungo l'antico percorso della salita dello Scudillo. Una stampa dell'Ottocento mostra l'ingresso del mausoleo e tutt'intorno un paesaggio incantato: qui la città non era ancora arrivata. Nel 1965 il mausoleo fu fatto saltare in aria. Erano gli anni del sacco di Napoli.

(Vedi L'Uovo di Virgilio del 26/07/2020)

Nella speranza che le scelleratezze del passato possano servire da monito, non resta che lasciarci avvolgere dalla bellezza tradita del Serbatoio allo Scudillo. Una zona ricca di fascino non solo per la sua storia geologica, ma anche per quella urbanistica ed architettonica. La salita che dalla Sanità portava al poggio termina direttamente a villa Castagneto-Caracciolo, chiamata in passato villa Regina Madre. La dimora, costruita interamente in tufo, appare nella settecentesca mappa del duca di Noja. Fu realizzata nel diciottesimo secolo dal celebre ammiraglio Francesco Caracciolo, poi passò al principe di Castagneto Nicola Caracciolo. Il belvedere aperto su Capodimonte, sulla Certosa di San Martino, sul centro storico, sull'intero Golfo di Napoli e sul Vesuvio ne fa uno dei luoghi più panoramici della città, come sapevano bene i pittori della Scuola di Posillipo. Giacinto Gigante, in particolare, immortalò il panorama nel suo celebre quadro Napoli dalla Conocchia, custodito a Capodimonte. Villa La Fiorita, alla salita Scudillo 19, fu voluta invece da una potente famiglia svizzera di mecenati e banchieri: i Meuricoffre, che fondarono la prima colonia elvetica del Regno di Napoli.

Ha ospitato Mozart e lo scultore Francesco Jerace, che impreziosì i giardini e i grandi saloni con le sue opere. Ribattezzata Villa Domi, la dimora oggi ospita meeting e cerimonie. Nello scudo inciso sul pozzo di piperno della villa compare l'emblema di famiglia dei Meuricoffre: una testa di moro sormontata da una piuma trattenuta sulla fronte da una benda.

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In via del Serbatoio si condensano secoli di storia geologica della città. La strada si snoda attraverso il pendio che collega la sommità dei Colli Aminei con la Sanità, nell'ampio vallone delle Fontanelle, che separa la collina di Capodimonte da quella del Vomero. «Le colline tufacee, i versanti, gli alvei fluviali, le conche e le piane costiere della città - ci spiega il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo - sono tutte riconducibili alla complessa attività vulcanica dei Campi Flegrei, che per decine di migliaia di anni ha modellato il territorio congiuntamente agli eventi di sprofondamento del suolo e di erosione e rideposizione dei sedimenti ad opera delle acque meteoriche». Dalle colline (oggi Colli Aminei) partivano gli impluvi che, incidendo il tufo, creavano dei veri e propri valloni. Qui scorreva la celebre Lava dei Vergini: colate di fango e detriti provenienti dall'erosione della coltre piroclastica che ammanta le colline circostanti.

Lungo il percorso costeggiamo la stazione di sollevamento dell'acqua, disegnata da Nicola Pagliara. Qui sorge il Museo dell'Acqua gestito dall'Abc, l'azienda Acqua Bene Comune nata dalla trasformazione dell'Arin in azienda speciale, nell'aprile 2013: una vera e propria cittadella scelta dal Fai come «luogo del cuore». L'affascinante storia dell'acqua che bagna Napoli, dall'acquedotto del Serino alla moderna centrale di telecontrollo. Il museo dell'acqua propone un itinerario virtuale a ritroso, dal rubinetto alla sorgente, con esposizione di strumenti, attrezzi e utensili d'epoca. Infine il percorso sotterraneo all'interno delle gallerie e degli impianti di sollevamento dell'acqua, alla scoperta di una parte preziosa e sconosciuta dell'acquedotto della città.

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Via del Serbatoio allo Scudillo attraversa il grande vallone delle Fontanelle, dove ancora volano le poiane. Uccelli rapaci, come le mani che hanno asportato le grate fognarie sostituendole con strutture lignee malcionce e precarie. Il paradiso si affaccia sull'inferno. Tra i fiori e le essenze arboree tipiche della macchia mediterranea avanzano gli scarti di lavorazione industriale. Proprio sotto il viadotto della tangenziale, all'altezza dell'uscita Arenella, ci imbattiamo in una discarica di amianto. «Si tratta di luoghi nascosti e facili da raggiungere per commettere reati ambientali», denuncia Mariano Peluso, geologo ambientalista. Dagli anni 80 questi valloni sono un luogo prediletto per lo smaltimento abusivo di rifiuti di ogni tipo che vengono progressivamente interrati nelle cave di tufo a pozzo e in quelle verticali, che oggi sono ricoperte sotto la folta vegetazione. Da anni Peluso, con i volontari del vicino Vallone San Rocco, si batte per il recupero del Parco Metropolitano delle Colline di Napoli.

Via Serbatoio allo Scudillo termina a poche centinaia di metri dal cimitero delle Fontanelle. «È un luogo magico, che sembra essere stato inciso dal grande Piranesi. In qualsiasi posto del mondo civile - afferma Carlo Leggieri - questo sarebbe un luogo protetto, trattato con amorevoli cure». Splendore e morte di un paradiso fragile, scolpito nel tufo che è la nostra storia, la nostra memoria di lava e pietra. 

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