La torre del re d'Angiò
e il molo fantasma
che riaffiora dal passato

La torre del re d'Angiò e il molo fantasma che riaffiora dal passato
di Vittorio Del Tufo
Domenica 11 Settembre 2022, 11:44 - Ultimo agg. 12 Settembre, 07:04
6 Minuti di Lettura

«Le città di mare
Affacciate alle stelle come donne al balcone
Quando l'onda ricama sottili collane
Quando la tempesta
Le fa ancora più belle»
(Eugenio Bennato, Le città di mare)


Ha resistito a terremoti, guerre e tempeste, oggi è uno dei luoghi simbolo del waterfront partenopeo: per restituirlo alla città il Comune ha impiegato fondi per sei milioni di euro. Soldi ben spesi, se si considera che il molo San Vincenzo, con le sue memorie e con la sua storia ultracentenaria, è un ponte con il nostro passato, con le nostre radici.

Nella città che «porge da ogni parte il suo seno ai commerci e stende da ogni parte le sue braccia al mare», come scrisse Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, il molo San Vincenzo è un luogo fortemente identitario, e di struggente bellezza, che ha rischiato per lungo tempo di finire in rovina, come altri simboli di Partenope. È l'unico luogo che consenta di vedere la città - la sua linea di costa, i suoi castelli, la collina del Vomero, la Certosa di San Martino - dalla stessa prospettiva della Tavola Strozzi, il famoso dipinto del 400 conservato nel Museo nazionale di San Martino.

In origine la Torre di San Vincenzo, costruita sotto Carlo d'Angiò come baluardo difensivo del Castel Nuovo, sorgeva su un isolotto: deve il suo nome a una chiesetta di proprietà del monastero di San Vincenzo al Volturno di Isernia. Formidabili quegli anni, potremmo dire oggi. La morte di Corradino di Svevia, decapitato a Campo Moricino (l'attuale piazza Mercato) nel 1268, segnò l'inizio di un'epoca nuova. L'ambizioso Carlo I, il sovrano secondo il quale «per un uomo veramente forte il mondo intero è poca cosa», mise mano al nuovo Duomo, al nuovo Palazzo di Città e ad altri importanti interventi destinati a cambiare il volto della capitale del Regno. Convocò i migliori manovali, cavapietre, artigiani, architetti e grandi artisti, tra cui personalità del calibro di Giotto e Pietro Cavallini. La Torre di San Vincenzo, presso l'antico molo, fu costruita con l'obiettivo di facilitare l'approdo delle navi. «In quel periodo - racconta all'Uovo di Virgilio Amedeo Feniello, storico del Medioevo - viene ampliata la cinta muraria. Crescono l'una dopo l'altra chiese straordinarie, come San Lorenzo e Santa Chiara, che modificano in profondità il tessuto urbano. Si comincia a lavorare al Duomo. Ma l'opera che colpisce di più l'immaginario cittadino è l'edificazione della reggia-castello di Castelnuovo, la novità più eclatante di un mondo urbano in trasformazione: maestosa sul mare, a spiegare a tutti che ora, nel Mediterraneo e in Occidente, era sorto un nuovo, grande Stato, guidato dagli Angiò. Simbolo di una metropoli che stava crescendo a velocità sorprendente».

La Torre di San Vincenzo rientrava quindi in un piano di ammodernamento più complessivo, voluto dai sovrani angioini. Poi vennero gli anni della dinastia aragonese e quelli del vicereame spagnolo, che cambiarono per l'ennesima volta, soprattutto sotto il pugno di ferro di don Pedro da Toledo, il volto della città. Alla fine del 500, con il progetto di ampliamento e sistemazione del porto, l'isolotto venne unito alla terraferma. A dare la spinta ai lavori fu una disastrosa tempesta che nel 1597 si abbatté sulla costa.

«Il mare era per tutto il molo, dove si sommersero cinque galere, tre navi grosse et altri legni minori; molte colonne del molo, dove stavano legate le stesse navi, si spiantarono, e molti pezzi di marmo di smisurata grossezza ivi sbarcati, furono dalle violenza delle acque sbalzati dentro il porto...» (da una cronaca del 1597).

Così, su disegno del grande architetto Domenico Fontana, nacque il piccolo lembo di terra tra il Castello e l'isolotto di San Vincenzo.

Cominciava a delinearsi il molo nella sua forma attuale, ma l'opera ebbe una vita travagliatissima e fu interrotta più volte. Nell'800 il molo San Vincenzo fu il simbolo della potenza navale borbonica. Nel 1836 Ferdinando II riprese il progetto di Domenico Fontana e lo portò a termine. Ferdinando non si limitò a completare l'opera ma fece recingere con cancelli in ferro tutto il complesso e radunò nella zona musici e cantastorie che raccontavano le gloriose gesta di Rinaldo e dell'Orlando, Furioso o Innamorato, o del guapo spagnolo, antenato del guappo napoletano. Attorno ai cantastorie si riuniva gente di ogni risma, schiere di perditempo e nugoli di scugnizzi. Il molo divenne un luogo di intrattenimento ed è forse anche in virtù di queste reminiscenze storiche che ancora oggi viene considerato un sito adatto a ospitare la movida napoletana.

Ombre. Fantasmi del passato. Delle vestigia di ieri oggi rimangono sbiadite tracce. La Torre di San Vincenzo - un luogo che conserva anche ricordi macabri: vi furono rinchiusi e vi trovarono la morte alcuni dei Baroni che parteciparono alla famosa Congiura del 1486 contro re Ferrante d'Aragona - è stata ricostruita nel 1950; l'attuale Faro del molo San Vincenzo, con tecniche al led di ultima generazione, illumina le notti del Golfo. L'antica Lanterna del Molo, costruita da re Ferrante d'Aragona nel 1487 (da non confondere con la vecchia Torre di San Vincenzo) per indicare la via ai naviganti ed accoglierli a Napoli sopravvive invece nei dipinti che la raffigurano, maestosa, sullo sfondo di innumerevoli panorami. Quella che si vede nella famosa Tavola Strozzi - generalmente riconosciuta come la prima immagine realistica di Napoli, raffigurante la flotta aragonese mentre rientra vittoriosa nel porto di Napoli dopo la vittoria riportata il 7 luglio 1465 al largo di Ischia contro il pretendente al trono Giovanni D'Angiò - non è la Lanterna del Molo ma la Torre San Vincenzo.
Nel 1900 il molo San Vincenzo raggiunse 1.500 metri di lunghezza e a partire da quell'anno venne utilizzato per navi da guerra e mercantili in attesa di accesso allo scalo commerciale. Nel 1903 il ministero dell'Interno realizzò una stazione di disinfezione passeggeri. Nel 1930 le banchine del San Vincenzo vennero destinate all'ormeggio di piroscafi in disarmo. Poi il declino, l'abbandono, l'oblìo.

Un cammino in mezzo al Golfo con la veduta di Napoli dal mare. E un luogo identitario della città, rimasto troppo a lungo in attesa di riqualificazione. Dal molo, al quale si accede dalla base navale della Marina del Molosiglio, partivano gli emigranti diretti in America, alla ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.

Con l'investimento di sei milioni il Comune punta ora a rilanciare, anche sul piano funzionale, questo antico sito affollato di memorie e fantasmi del passato. Dare una nuova vita alle botteghe borboniche, dove un pubblico di marinai e giocatori di bagattelle si raccoglieva attorno ai cantastorie, e allestire un molo per l'attracco dei grandi yacht, con la creazione di luoghi di intrattenimento per i cittadini. Spritz, musica e spettacoli dal vivo dove un tempo si celebravano le gesta degli eroi, ai piedi della statua di San Gennaro, che saluta il Vesuvio all'estremità del molo. Perché le città di mare, come cantava Eugenio Bennato, «son fatte apposta per non far capire se la storia più bella deve ancora venire o se si allontana sera per sera...».

© RIPRODUZIONE RISERVATA