La fossa dell'Uomo Lupo e Zì Michele nei guai: storia di una leggenda nera

Dai cunti di Roberto De Simone al presepe de La Scarabattola

La fossa dell'Uomo Lupo e Zì Michele nei guai: storia di una leggenda nera
Domenica 18 Dicembre 2022, 09:07 - Ultimo agg. 19 Dicembre, 19:55
6 Minuti di Lettura

«Miche', nun parti' stasera. Statte cca. Chieste so' serate ca nun se viaggia. A mmezanotte jesceno e lupe menàre» (Roberto De Simone, Racconti e Fiabe per Dodici Giorni di Natale).

* * *

Cupa è il nome delle strade nate da antichi corsi d'acqua. Quando il canale veniva incassato nel terreno formava una cupa e, dove la cupa era più profonda, diventava un cavone. Cupa Fosso del Lupo è il nome di una strada di Secondigliano che secondo un'antica tradizione popolare, di origine contadina, sarebbe legata a una leggenda maledetta. C'è stato un tempo in cui Secondigliano era poco più di un casale ai margini della città. In passato la sua economia si basava prevalentemente sull'agricoltura e la vita quotidiana era regolata da rapporti di tipo feudale; almeno fino agli anni 50 del 900 il quartiere manteneva le caratteristiche di un borgo rurale. Poi, negli anni 60, l'arrivo dell'edilizia popolare, spesso selvaggia, che ha stravolto la fisionomia della zona.

Cupa Fosso del Lupo, stradina dall'origine fluviale, è riportata nelle mappe sin dal Seicento. Di notte, secondo un racconto che ancora oggi si tramanda di padre in figlio, era assolutamente proibito spingersi in direzione del fossato, perché tra i campi, proprio in corrispondenza di quella strada, un uomo era stato sbranato da un licantropo.

La leggenda dell'uomo lupo di Secondigliano è all'origine del toponimo, come racconta anche Romualdo Marrone nel suo libro più noto, Le strade di Napoli, un pozzo della memoria dal quale non si finisce mai di attingere informazioni, aneddoti e curiosità.

Il mostro, a sua volta, sarebbe nato da un gesto di crudeltà: un lupo (vero) era stato catturato e sepolto in un fosso, ancora vivo, da un gruppo di contadini, e da quel momento un licantropo avrebbe cominciato a tormentare gli abitanti di Secondigliano.

* * *

Nella Napoli del 500 il fenomeno della licantropia era al centro di dotti studi ai quali partecipavano autorevoli accademici. Uno di questi era il medico napoletano Donato Antonio Altomare, che alla cosiddetta Insania Lupina dedicò alcuni passaggi del suo trattato De medendis humani corporis malis ars medica (1553). Secondo Altomare, docente universitario a Napoli e apprezzato filosofo e medico, a indurre il licantropo a «imitare l'ululato dei lupi, a circondare le tombe, a disseppellire cadaveri e trascinarne le membra nelle pubbliche strade» sarebbe un morbo. I segni della malattia sono la faccia pallida, ghi occhi secchi, incavati, privi di lacrimazione, così come secca è la lingua, che induce ad una sete estrema e ad un eccesso costante di bava. «Il dottor Altomare - spiega Gianpasquale Greco, che ha dedicato numerosi studi alla Napoli vicereale - consigliava poi i pochi rimedi che potevano escogitarsi al tempo: il consueto salasso e diversi bagni d'acqua dolce». Le osservazioni di Altomare sono integrate anche dal letterato Tommaso Costo, il quale riferì, nel suo Prontuario sulle malattie mentali, di un tale Fornaretto da Lugo, licantropo che una notte disseppellì tale messer Simone, morto fresco di idropisia, dal cimitero ebraico, «e si servì del suo cadavere per giocare a palla davanti a tutta la comunità, costringendo anche i più taccagni a sborsare un obolo per la pulizia dal puzzo degli umori sprigionati dal corpo idropico ad ogni colpo, che chiama minestra».

* * *

Una credenza che si perde nella notte dei tempi. E che ha alimentato favole nere e tradizioni popolari dure a scomparire. La stampa italiana, intorno agli anni '40, iniziò ad interessarsi di un caso di un presunto «caso di licantropia» ambientato tra Roma e Napoli. La storia di Iolanda Pascucci, meglio conosciuta come la «Lupa Mannara di Posillipo», ha tenuto banco a lungo perché fu proprio lei, Iolanda, nata a Roma nel 1921, a descrivere ai giornali i sintomi che provava «sin dall'età di dodici anni» e quasi sempre durante le notti di luna piena: le capitava spesso - raccontò - di avvertire una forte sensazione di eccitamento che le si percuoteva su tutto il corpo salendole alla gola, procurandole la bava alla bocca e il dilatamento dei bulbi oculari, col bisogno impellente di bere «grandi quantità di acqua per spegnere il bruciore che sentiva in corpo». Jolanda si sposò con un musicista, ma le crisi notturne continuarono a non darle tregua. Anni e anni di cure inutili, poi la separazione dal marito e la decisione di trasferirsi a Napoli. Davanti al cui mare, Jolanda ne era sicura, avrebbe placato il dolore che le montava in corpo.

Napoli, 8 novembre 1948. Sul quotidiano torinese Stampa Sera, in prima pagina, compare la seguente corrispondenza da Napoli:
«Nonostante il mare grosso e sotto l'imperversare di un temporale una giovane signora si era svestita completamente sulla scogliera del Molosiglio e stava per tuffarsi in acqua. Una pattuglia di agenti, ritenendo che la signora volesse tuffarsi a scopo suicida l'ha raggiunta e obbligata a rivestirsi accompagnandola poi in questura. Qui è stata identificata per Iolanda Pascucci, di 29 anni, da Roma, moglie del musicista Francesco Buzzoni, appartenente all'orchestra della RAI, e separata da qualche tempo dal marito. La signora ha due figli. Circa i motivi che l'avevano indotta a svestirsi, la signora ha dichiarato che essendo da tempo affetta dal caratteristico male del lupo mannaro, mentre si trovava in Galleria, presagendo una nuova crisi, aveva ritenuto opportuno recarsi sulla scogliera e tuffarsi in mare, perché il contatto con l'acqua fresca già altre volte le aveva fatto bene».

* * *

Alla figura magico-misterica del Lupo Mannaro il maestro Roberto De Simone ha dedicato uno dei «cunti» raccolti per i suoi Racconti e Fiabe per Dodici Giorni di Natale. Vi si narra di tale zi' Michele, commerciante di frutta e verdura, che per lavoro faceva la spola tra il suo paese e Battipaglia.
La notte di Natale zi' Michele doveva sbrigare una commissione e recarsi a Battipaglia per un carico di mele. La madre, allarmata, lo pregò di non uscire: avrebbe corso il rischio di incontrare Uomini Lupo lungo la strada. Ma il commerciante, nonostante le insistenze materne, si mise in viaggio. E nel tragitto di ritorno incrociò per ben tre volte il famigerato Lupo Mannaro.

* * *

In quel grande teatro della memoria che è il Presepe Favoloso della bottega La Scarabattola, dei fratelli Scuotto, ricco di elementi magici e simbolici, ma anche di motivi legati agli inferi, alla paura, alle angosce dell'antica civiltà contadina, il lupo mannaro è collocato nei pressi del pozzo, dove compare un'altra figura mostruosa che è Maria Manilonga: due braccia lunghissime che fuoriescono dal pozzo per rapire i bambini. Il Lupo Mannaro si aggiunge quindi a tutte le entità demoniache che nei 12 giorni di Natale si muovono, libere se pur dannate, sulla scena, distribuite tra il pozzo e il ponte, dove appare lo spettro di Mafalda, la monaca dannata e dove transitano i 12 monaci carmelitani dal pollice fiammeggiante. Figure sinistre emergono anche nelle acque del pescatore, che si fanno incantate ed infestate da terribili gorgoni come Mamma Sirena, che incatena le vergini con le 7 catene. Sul presepe il Lupo Mannaro è rappresentato dopo la metamorfosi, volto canino, pelo lungo e denti aguzzi, mentre ulula alla luna, pronto a impedire a chiunque di partire alla vigilia di Natale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA