I luoghi di «Nostalgia»,
la lava dei ricordi
nel ventre della Sanità

I luoghi di «Nostalgia», la lava dei ricordi nel ventre della Sanità
di Vittorio Del Tufo
Domenica 19 Giugno 2022, 09:54 - Ultimo agg. 21 Giugno, 06:00
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«Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga»

(Konstantinos Kavafis)

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Lì dove il tufo s'inerpica alla ricerca del cielo sui fianchi della collina di Capodimonte, Felice Lasco s'inoltra cercando le tracce del suo passato. Ma a riaffiorare, con i ricordi d'infanzia, ci sono anche reminiscenze terribili, legami oscuri e antichi conti che reclamano di essere saldati. Felice corre in motocicletta lungo le strade percorse in passato con l'amico del cuore, Oreste Spasiano, diventato il boss della Sanità, rione nel quale si aggira di notte incappucciato come un fantasma. Rintracciare i luoghi della memoria è spesso un'operazione dolorosa, come riannodare i fili della propria esistenza. Non a caso il film di Martone - «Nostalgia», tratto dalle potenti pagine di Ermanno Rea - si apre con un verso tratto da «Poesie in forma di rosa» di Pasolini: «La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso non possiede».

Banchetta con i suoi ricordi, Felice Lasco, rientrato a Napoli dopo quarant'anni trascorsi tra Beirut e Il Cairo. È diventato musulmano e imprenditore di successo, ma non ha dimenticato le proprie origini. Anzi vuole riscoprirle e lasciarvisi risucchiare. Così si riappropria, o almeno prova a farlo, della Napoli caotica e (ormai) multietnica del borgo Vergini e dei Cristallini, tra le strade di un quartiere che ormai ha cambiato pelle, lingua, colore. La Sanità è protagonista dalla prima all'ultima scena del film, come lo è del libro di Rea: mare in eterna tempesta, ventre e cuore della città-mondo.

Il luogo dove Felice, interpretato da un magistrale Pierfrancesco Favino, incontra per la prima volta il coraggioso don Rega, modellato sui panni di padre Antonio Loffredo, prete del quartiere, è la Basilica di Santa Maria alla Sanità, che domina il rione con la sua cupola maiolicata. Chiesa capolavoro, considerata uno dei progetti più ardimentosi dell'architetto domenicano Vincenzo Nuvolo, più conosciuto come fra' Nuvolo. Ma nel rione la Basilica è conosciuta come chiesa di San Vincenzo o Munacone (il monacone), perché custodisce una famosa statua di San Vincenzo Ferrer. La statua, secondo la tradizione, fu portata in processione nel 1836, quando la città venne colpita dall'ennesima epidemia di colera. Dietro l'altare maggiore c'è l'ingresso delle Catacombe di San Gaudioso, dove il chierichetto Antonio de Curtis, che sarebbe diventato il grande Totò, vide per la prima volta l'affresco, raffigurante uno scheletro, che molti anni dopo avrebbe ispirato la sua poesia più famosa, A livella. Ombre, giochi di specchi. La chiesa del Monacone è il teatro dell'esperimento comunitario di don Rega, il prete-coraggio che combatte la camorra a viso aperto e strappa i giovani dalla strada. 

La speranza e la disperazione in un fazzoletto di strade. Il nuovo appartamento, luminoso come un eden, nel quale Felice conduce l'anziana madre Teresa (una straordinaria Aurora Quattrocchi) per farle vivere lì l'ultima stagione della sua vita, è in via Foria 153. Ma quando Felice, ormai estraneo nella sua stessa terra, riabbraccia la donna, il primo incontro avviene in un vascio di via Cristallini 133, nel cuore più autentico del rione. È lì che Teresa, la «migliore sarta della Sanità», accoglie il figlio che credeva perduto per sempre, quel figlio che anche nel contatto fisico con la vecchia madre cerca di ritrovare il proprio posto nel mondo.

Via Cristallini 133 non è un indirizzo come gli altri: è il luogo dove risiede la memoria di pietra della città. È lo stesso luogo, lo stesso numero civico, dove, a dodici metri di profondità, sorge l'antico Ipogeo dei Cristallini, ricco di iscrizioni greche e suggestive decorazioni. Ambienti spettacolari sopravvissuti alla colata di fango della «lava dei Vergini», ovvero le alluvioni provocate dall'intasamento delle fogne ottocentesche che hanno devastato il quartiere fino al 1960.

La casa dell'usuraio, il cui omicidio fa da motore all'intera vicenda, è in via Santa Teresa degli Scalzi 156, mentre l'albergo dove Lasco-Favino prende alloggio appena rientrato a Napoli è l'Holiday Inn, tra i grattacieli di un Centro Direzionale mai realmente integratosi con il corpo di Napoli.

L'abitazione del boss Oreste Spasiano, un paranoico, demoniaco, rabbioso, crudele Tommaso Ragno, si trova invece a Salita Capodimonte, e più esattamente al numero 10, anche se le scene ambientate nella veranda del Malommo sono state girate in un palazzo di via Arena alla Sanità 16.

Per conoscere (e riconoscere) realmente Napoli bisogna percorrerla a piedi; nel film di Martone Favino alterna invece le sue camminate e lunghi tragitti in motocicletta, cercando i ricordi d'infanzia e i suoi luoghi oscuri. Salita Capodimonte fa da fondale a questa operazione di ricostruzione della memoria. A sagliuta d'o presepe, la chiamano nel rione, antico alveo d'acqua piovana, trincea di lave remote come quella che sommergeva i Vergini, lingua di strada che s'inerpica fino a Capodimonte costeggiando abissi e labirinti di tufo, il ventre della città di pietra, grotte spettacolari come quella di vico Tronari, alla quale anche Rea ha dedicato pagine e pagine nel suo prezioso romanzo. Percorrendola viene da chiedersi, citando Baudeleire: «Vieni, o Bellezza, dal profondo cielo o sbuchi dall'abisso?».

O Malommo, nel film di Martone, abita a Salita Capodimonte 10, nel palazzo Santoro. Lo stesso indirizzo compare anche nel libro di Rea, ancora un gioco di specchi tra film e romanzo. La strada dove il regista colloca l'abitazione del malavitoso è la stessa dove il protagonista riannoda i fili della propria esistenza, cercando i fantasmi della sua adolescenza. Rea conosceva bene quei luoghi, ne era affascinato, forse ossessionato. Ecco la descrizione che ne fa nel romanzo: «Entrando dal portale al numero civico 10 avrebbe potuto accedere a una galleria a imbuto scavata nel tufo che si apre su una lunga gradinata diritta, illuminata da un finestrino aperto a sua volta, chissà quando, nel masso tufaceo». È la pietra di Napoli, il tufo, che diventa carne. «Lì - scrive Rea - la Sanità sa come nessun'altra parte di ventre materno, primogenitura, principio di un lunghissimo passato mai passato, silenzio e tumulto di un fuoco che continua a covare sotto la cenere».

Il passato non è mai passato del tutto, ogni uomo sperimenta la nostalgia di continuo, perché le voci che gli giungono dal suo passato, scrive l'autore, hanno sempre un fascino irresistibile. Vorrebbe tenere tutto unito, Felice Lasco. Vorrebbe non disunirsi, per usare l'espressione adoperata dal regista Antonio Capuano nel film di Sorrentino «È stata la mano di Dio». Nel riscoprire i luoghi, e i codici del quartiere dal quale era fuggito quarant'anni prima, Felice deve fare i conti con un passato che lo divora. Ed egli stesso vuole farsene divorare, credendo forse ingenuamente che gli sarà possibile trovare un equilibrio, un'armonia, tra la vecchia e la nuova vita, tra le ombre del passato che gli danzano vorticosamente intorno, i personaggi scorticati di ieri, e il nuovo rione, cosmopolita, aperto al futuro, impegnato per il riscatto, rappresentato dai volti delle ragazze e dei ragazzi che don Rega raduna ogni giorno davanti al chiostro di frate Nuvolo, sventrato dai giganteschi piloni che sorreggono il napoleonico ponte della Sanità. 

Nel Cimitero delle Fontanelle, il luogo che forse più di tutti incarna la doppia anima della città-corpo, il giorno e la notte, la città di sopra e quella di sotto, Felice trova un ritratto della Madonna modellato sulla fisionomia di una donna africana. Più giù ecco la mitica Cantina del Gallo di via Telesino. E ancora Porta San Gennaro, le Catacombe di San Gennaro e San Gaudioso, il mercato del Borgo Vergini e il Tondo di Capodimonte sono solo alcune delle altre location utilizzate da Martone per aiutare il pubblico ad immergersi nelle atmosfere della Sanità. Tra i luoghi che Mario Martone ha scelto come set per il suo film c'è anche uno storico guantificio del Rione Sanità: la fabbrica Omega, in via Stella 12. Qui tra aghi, fili, vecchie macchie Singer e cusutrici il regista ha reso omaggio a un mestiere profondamente cambiato, e a quei vecchi operai (operaie, soprattutto) delle calzature che in passato furono al centro di tante battaglie, soprattutto ai tempi di Papà Kemali, ovvero Rashid Kemali, lo storico segretario della sezione Stella del Pci, di origine libica, e sempre da parte degli ultimi, dei poveri, dei disperati, tanto da guadagnarsi il titolo di Sindaco del Rione Sanità, proprio come il protagonista della celebre commedia di Eduardo. 

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