Una pagoda a Posillipo
e le feste eccentriche
del duca imbalsamatore

Una pagoda a Posillipo e le feste eccentriche del duca imbalsamatore
di Vittorio Del Tufo
Sabato 27 Marzo 2021, 23:00 - Ultimo agg. 28 Marzo, 19:35
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La pietra ricorda tutto. Conserva la memoria degli uomini e del loro passato, miti e leggende di cui oggi non resta che un’eco lontana, cartoline sbiadite che continuano a parlarci di un mondo che non conoscemmo, ma che ci appartiene. La pietra conserva un respiro lontano e potente, come il battito ancestrale dei vulcani. A Posillipo, in particolare, il passato si spalanca davanti ai nostri occhi come un libro aperto: la stratificazione della memoria è densa e porosa come il tufo di una città magica.

A Posillipo un luogo, più di altri, conserva nel nome (ma solo per una fortuita combinazione, come vedremo) la memoria delle antiche grotte sulle quali già i Romani vollero realizzare le loro dimore da favola. Villa Roccaromana sorge proprio sulle grotte scavate nel tufo: i numerosi reperti archeologici rinvenuti nell’area testimoniano la presenza di antiche costruzioni di epoca romana; frammenti di colonne, finanche la statua di una divinità barbuta con i piedi caprini, probabilmente Pan. Poi, dopo la decadenza dell’impero, i lunghi secoli dell’abbandono, con i tesori sommersi dalla vegetazione, sepolti dalle colmate. Destino comune a quello di tante altre costruzioni di epoca romana, come la più famosa di tutte, la villa Pausilypon a strapiombo sulla baia di Trentaremi appartenuta a Vedio Pollione e poi allo stesso imperatore Augusto.

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A Villa Roccaromana l’anno della svolta fu il 1814.

Quello che si presenta oggi come un condominio di lusso all’altezza dei civici 38 e 38A di via Posillipo - nel tratto di strada tra Palazzo Donn’Anna e Piazza San Luigi - è stato a partire da quell’anno la leggendaria residenza del duca Nicola Caracciolo di Roccaromana (1777-1862), che la costruì dopo aver acquistato un terreno di due moggi e poco più da Giuseppe Pucci e Michele Fiorillo, che all’epoca erano proprietari di buona parte della collina di Posillipo, compreso il fondo su cui sarebbe stata poi costruita villa Mazziotti. Don Nicola di Roccaromana, che aveva lo sguardo lungo, volle approfittare della nuova strada di Posillipo per realizzare la sua villa di delizie. Appassionato di scienze naturali, raccolse nel giardino piante esotiche di ogni tipo, realizzò un vero e proprio orto botanico e un piccolo zoo che ospitava animali che egli stesso si divertiva ad imbalsamare. Animali che il tempo ha ridotto in cenere, forse per la poca esperienza del tassidermista.

L’eccentrico duca era il fratello del più celebre Lucio, il generale borbonico che dopo aver combattuto in Russia con Murat si riconciliò con re Ferdinando. Massone, maestro venerabile della loggia militare «Les Mars d’Italie», Lucio Caracciolo di Roccaromana è ricordato ancora oggi, più per il congelamento degli arti che subì durante la Campagna di Russia, per il suo irresistibile fascino. «Propenso a femminili lascivie», scrisse di lui Pietro Colletta nella «Storia del Reame di Napoli».

Altrettanto gaudente era il fratello Nicola, proprietario della villa sul mare, che alle battaglie e al potere preferiva di gran lunga l’incanto della collina «che dà tregua al dolore». A un certo punto la villa con vista sul Paradiso non gli bastò più; si fece costruire anche una suggestiva pagoda a picco sugli scogli, che divenne allora, ed è ancora oggi, uno dei punti caratteristici della costa. Fu un vezzo, secondo le usanze orientaleggianti dell’epoca, e doveva servire da «casino di caccia» per gli uccelli migratori. La pagoda, a più piani, incorona dall’alto la dimora. Alla parte più alta - il pagodino - si accedeva un tempo attraverso una scala a chiocciola che si avvolgeva al tronco di un albero. La discesa a mare, attraverso le antiche grotte, giungeva (e giunge) fino ad un’autentica piscina naturale, con attracco privato. Un dipinto realizzato nell’Ottocento raffigura, ai piedi della pagoda, un bacino artificiale, forse un ninfeo, ornato da statue e colonne. Dal pennacchio è stato poi ricavato uno studio con una sola finestra, circondato solo dal terrazzo e dal mare.

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Sontuose feste, di cui parlava tutta la città, si svolgevano nelle grotte di Roccaromana ma anche negli ambienti della villa, a cui si accedeva anche dal mare. Poi i bei tempi finirono. Come ricorda Domenico Viggiani nel suo bel libro «I tempi di Posillipo» il duca donò la villa a tale Lorenzo Vigliotti. La moglie di quest’ultimo, rimasta vedova, sposò in seconde nozze nel 1873 il compositore e pianista di Torre Annunziata Costantino Palumbo che trascorrerà parecchi anni della propria vita - fino alla morte, nel 1928 - a Villa Roccaromana. La dimora passò poi alla baronessa Grisolia, «una distinta signora, che ricordiamo anziana e sola e che traeva un certo reddito dagli appartamenti che erano stati ricavati nella villa» (Viggiani). Anche la Grisolia fu costretta a alienare gradualmente la proprietà. Dapprima ne cedette una parte all’ambasciatore Romano Avezzana (che fu senatore del Regno d’Italia nel 1934), poi man mano, ad altri, tutto il resto. 

Nel 1949, con la divisione in lotti della proprietà, le due porzioni (la villa e la discesa a mare) furono separate. La prima continuò a chiamarsi villa Roccaromana con ingresso da via Posillipo 38a, la seconda (la discesa a mare) diventò dapprima uno stabilimento balneare e poi, gradualmente, un condominio (Grottaromana, con ingresso da via Posillipo 38) che attualmente ospita una serie di abitazioni indipendenti affacciate sulla baia e sovrastanti le grotte. Negli anni ‘50 lo stabilimento balneare era tra i più accorsati della città: lo frequentavano re Faruk d’Egitto, famoso per le sue scorribande tra Capri e via Veneto, una giovane Gloria Christian, Totò, moltissimi americani. 

Del luogo di delizie ottocentesco resta poco, se non la memoria tramandata dalla pietra e arrivata fino a noi attraverso le testimonianze di chi ha avuto in sorte di vivere davanti al mare più bello del mondo. La villa più in alto, Roccaromana, ha subito innumerevoli lavori, trasformazioni e passaggi di proprietà. Quando fu acquistata da Hele Anne de Gemmis, baronessa di Castel Foce, prese il nome di villa Gemmis; oggi è frazionata in appartamenti di lusso con diversi proprietari. 

La Pagoda, che un tempo faceva parte della dimora del «duca imbalsamatore», è diventata a sua volta una villa autonoma di 220 metri quadrati. Da oltre cinque anni è in vendita alla cifra di 3 milioni e 950mila euro. Il livello più alto, un piccolo studiolo denominato «il pensatoio», è un piccolo faro proteso sul mare e affacciato sulle grotte del mito e della leggenda. Qui sono ancora molti i tesori del passato da riportare alla luce, come sanno bene gli archeologi impegnati da anni nella ricognizione dei fondali, dove sono tuttora sepolti molti frammenti della Posillipo romana: è la nostra memoria di pietra, trattiamola bene.

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