Il fantasma di Mercede nella reggia sul mare che stregò La Capria

La storia di Palazzo Donn'Anna

Palazzo Donn'Anna
Palazzo Donn'Anna
Domenica 26 Febbraio 2023, 11:11
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Il "bigio" palazzo si erge sul mare: «non cade, non cadrà», scrisse Matilde Serao, poiché la forte brezza marina «solidifica ed imbruna le muraglie: l'onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre, alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero». Il bigio palazzo che «mai cadrà» è Palazzo Donn'Anna e questa è la storia di una leggenda nera, una delle tante ambientate davanti al mare di Posillipo, mare che, come l'intero quartiere, «dà tregua al dolore».

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Erano gli anni dei viceré, erano gli anni del duca di Medina de las Torres, Ramiro Felipe Nuñez de Guzmàn, erano gli anni che precedettero la Grande Peste di Napoli.

Ed erano gli anni di Cosimo Fanzago, uno dei più grandi architetti di tutti i tempi.

Nel 1636, a ventitré anni, la principessa di Stigliano Anna Carafa era considerata il miglior partito d'Europa. Da suo padre, il duca Antonio Carafa della Stadera, e sua madre, la nipote del Papa Elena Aldobrandini, la fanciulla aveva ereditato gli occhi di ghiaccio e una certa brutale disinvoltura. Direttamente dal nonno Luigi - essendo il padre e il fratello morti anzitempo - la principessa ereditò invece un patrimonio da favola: splendide ville, feudi, possedimenti e oltre due milioni di ducati tra beni mobili e immobili. Per questi motivi fu corteggiatissima; tra i suoi pretendenti v'erano i più bei nomi dell'aristocrazia italiana e spagnola: Medici, Barberini, d'Este, l'erede al trono di Polonia, Giovanni Casimiro Wasa.

Per gli interessi politici che implicava, la scelta del marito divenne un affare di Stato: la questione fu risolta direttamente dal re di Spagna, Filippo IV, che lanciò nella mischia il duca di Medina de las Torres, Ramiro Felipe Nuñez de Guzmàn, vedovo della figlia del suo primo ministro. Se Anna avesse accettato di sposarlo - stabilì il sovrano - egli avrebbe nominato Ramiro viceré di Napoli, facendo della principessa la viceregina. L'ambiziosa castellana non se lo fece ripetere due volte.

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Don Ramiro sbarcò a Napoli scortato dalla squadra navale spagnola, e il matrimonio fu celebrato nel 1636 a Palazzo Cellammare di Chiaia, una delle residenze della famiglia Carafa. Per l'insediamento il duca di Medina dovette attendere un anno: entrò nelle stanze del potere il 13 novembre 1637. Era molto religioso, eppure tartassò i sudditi: in sei anni prelevò 44 milioni di ducati, aumentando le gabelle su farina e frutta e introducendo la carta bollata.
Dama ambiziosa, colta, cinica e sprezzante, Anna pretese che venisse edificata per lei una vera reggia, la dimora più bella della città; la residenza fu costruita a partire dal 1642 nella zona di Posillipo, dove in precedenza sorgeva il palazzo della Sirena dei principi Carafa di Stigliano, a sua volta edificato sull'enorme banco di tufo che ospitava, nell'antichità, una villa romana. Il progetto tenne impegnati notte e giorno quattrocento operai agli ordini dell'architetto Cosimo Fanzago, già autore del chiostro della Certosa di San Martino e della cappella di Palazzo Reale. Nacque così la leggenda di Palazzo Donn'Anna, il nero, diruto, grandioso palagio dalle arcate vuote come orbite cieche, i muri cadenti, le stanze disabitate affacciate sul mare. E i sotterranei spettrali, come il rumore del vento quando s'insinua tra le colonne, dove secondo taluni vagherebbe inquieto lo spirito di una giovane, bellissima donna, Mercede de las Torres, sventurata nipote e rivale in amore della padrona di casa.

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Nella festosa reggia sul mare, la viceregina organizzava ricevimenti e spettacoli di cui il giorno dopo si parlava in tutta la città. Fu proprio al termine di uno di questi ricevimenti, e dopo una furibonda lite con la padrona di casa, che dalla dimora posillipina scomparve senza lasciare tracce la giovane e bella nipote di Anna Carafa, Mercede de Las Torres. Pare che le due dame si fossero invaghite dello stesso uomo, Gaetano di Casapenna. E furono guai, poiché, come racconta Matilde Serao, durante uno spettacolo nel teatrino di palazzo Donn'Anna il nobile si ritrovò a interpretare la parte di un cavaliere, e Mercede quella di una schiava innamorata del suo padrone.

«Giovane, bruna, dai grandi occhi lionati, dai neri capelli: una spagnuola vera», donna Mercede dovette entrare fin troppo bene nella parte, se è vero che baciò con tanta foga Casapesenna, da far scoppiare l'intera sala di applausi e da far crepare Anna d'invidia e di gelosia. Tra l'arrogante zia e la spregiudicata nipote iniziò una guerra feroce, fino a che un giorno, d'improvviso, Mercede sparì.
Invano Gaetano da Casapesenna la cercò in Italia, Francia, Spagna, Ungheria. Donna Anna fece girare la voce che, presa da un'improvvisa vocazione religiosa, la nipote avesse scelto la pace del convento. Era tuttavia un ben crudele tipo di clausura quello cui la principessa l'aveva condannata facendola rinchiudere - ma c'è chi dice, addirittura, murare viva - in una delle segrete del palazzo. Fatto è che della spagnuola non si seppe più nulla.

La felicità, per Donn'Anna, era comunque destinata a durare poco. Nel 1644 il marito fu richiamato a Madrid - per difendersi davanti al re di Spagna dall'accusa di sperpero - e la principessa, da un giorno all'altro, si ritrovò sola. I lavori furono abbandonati, e la padrona di casa, rinchiusa nel palazzo flagellato dalle onde, si ammalò di malinconia. Il bel mondo che l'aveva tanto corteggiata le voltò le spalle e Anna Carafa, «afflitta per la perdita dell'altissimo rango», si ritirò a Portici, nella villa di Pietra Bianca, dove abortì e si ammalò. Morì il 24 ottobre 1645, a soli trentotto anni, abbandonata da tutti.

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Qualcuno disse che la maledizione colpì anche Cosimo Fanzago, uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, che non riuscì mai a completare l'opera. Così le facciate di questo capolavoro della Napoli barocca, un trionfo di arcate e nicchie scavate nel tufo, presto caddero in rovina, al punto che il palazzo divenne «ricettacolo di gufi, civette e murene».

Eppure, come ha sottolineato Renato De Fusco, il rudere è perfettamente inserito nell'atmosfera della collina che calma il dolore. «Il palazzo del viceré è più vicino ai resti della villa di Pollione, del cosiddetto Tempio della Fortuna, soprattutto della Casa degli Spiriti a Marechiaro, anch'essa elevandosi per tre piani dal mare, che a tutte le ville e casini neoclassici ottocenteschi disseminati sul litorale». (Renato De Fusco, Posillipo). Saccheggiato durante la rivolta di Masaniello nel 1647, il Palazzo fu poi gravemente danneggiato dallo spaventoso terremoto del 1688, quello che rase al suolo Benevento.
Lo scrittore Raffaele La Capria, all'età di dieci anni, si ritrovò a occupare con la famiglia l'appartamento della famosa soprano Gemma Bellincioni, amica di D'Annunzio e «bell'esemplare dannunziano lei stessa».

In un volumetto interamente dedicato al diruto palagio, l'autore di Ferito a morte descrive lo stupore che in lui destavano i «cupi rimbombi che facevano tremare le fondamenta quando c'era tempesta». O di come quelle viscere oscure del palazzo, che dorme sul mare, «intrico di corridoi, androni, cunicoli, atri, vestiboli, attraversati dal volo dei pipistrelli», abbiano esercitato su di lui una malia tanto forte che - per anni, quando andò a vivere a Roma - si ritrovò a confondere nel dormiveglia i rumori del traffico con quello, ora sommesso ora infuriato, del mare che scivola, scorre e s'infrange tra gli scogli innanzi a Posillipo.

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