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La notte delle murene e il segreto di Pausylipon che riaffiora dal passato

Nuova campagna di scavi dove sorgeva la villa di Vedio Pollione

Articolo riservato agli abbonati
Domenica 15 Gennaio 2023, 12:09 - Ultimo agg. : 12:47
6 Minuti di Lettura

«La vita dei morti sta nella memoria dei vivi» (Marco Tullio Cicerone)

* * *

Un salone da favola affacciato sul mare di Posillipo, a strapiombo sulle acque del mito e della leggenda. Un raffinato tappeto di mosaico bianco con una doppia cornice nera. Una dimora da Mille e una notte, il cui sfarzo era paragonabile solo a quello della villa di Lucullo, costruita nell'area tra Pizzofalcone e Megaride. Che feste, le feste a casa di Vedio Pollione, il cavaliere romano vissuto nel primo secolo avanti Cristo. Feste alle quali non disdegnava di partecipare lo stesso imperatore Augusto, almeno fino a quando il padrone di casa, lo scellerato Vedio, non lo mise in imbarazzo decretando, davanti ai suoi occhi, la morte di un povero schiavo colpevole di aver rotto un preziosissimo calice. Sparito duemila anni fa, quando la favolosa dimora passò proprio nelle mani di Augusto, il mitico pavimento mosaicato di Pausilypon è tornato ora alla luce grazie a una campagna di scavo condotta dall'università Orientale di Napoli.

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Il lavoro degli archeologi si è concentrato su due aree della dimora imperiale: le terme superiori e un'ampia terrazza, utilizzata durante la seconda guerra mondiale per l'installazione di batterie di difesa bellica. La prima zona era stata già perlustrata in passato, a partire dalla fine dell'Ottocento, quando gli scavi consentirono di recuperare un ambiente termale identificato come calidarium e alcuni apprestamenti di servizio. La seconda zona, interessata da numerosi interventi di epoca moderna, era stata documentata solo parzialmente, evidenziando alcune strutture di epoca romana.

Indagando più a fondo su queste strutture di epoca romana gli archeologi dell'Orientale - guidati da Marco Giglio, direttore scientifico dello scavo e ricercatore di archeologia dell'università L'Orientale - hanno fatto riemergere uno dei tanti tesori ancora nascosti della Posillipo imperale: lo splendido salone del crudele Vedio. «Composto da minuscole tessere bianche, il pavimento di quello che potrebbe essere stato il salone di Pollione - spiega Giglio - si trovava in realtà sotto alle terme fatte costruire presumibilmente dall'imperatore e poi più volte ristrutturate e modificate. I ricercatori ottocenteschi, guidati da un naturalista, lo avevano trovato ma forse non lo avevano capito, così come non erano riusciti ad interpretare fino in fondo le funzioni degli ambienti termali e delle sale di servizio che li affiancavano, tra cui un praefurnium, ovvero il forno in cui ardevano le braci destinate a riscaldare il calidarium».

Le nuove indagini hanno consentito di stabilire che l'ambiente con il mosaico è più antico delle terme e appartiene a un salone che si affacciava sul mare. Manca ancora una datazione stratigrafica, ma il salone, a giudizio degli esperti, potrebbe risalire «all'età tardo repubblicana o al massimo Augustea». Augusto regnò dal 27 avanti Cristo, Pollione è morto dodici anni dopo quella data, nel 15 avanti Cristo, ed è proprio a partire dalla sua morte che la favolosa villa Pausilypon - che diede poi il nome all'intero promontorio - è passata nelle mani dell'imperatore. Che già da qualche tempo però, almeno secondo quanto raccontano Seneca e Cassio Dione, aveva preso le distanze da un amico diventato scomodo proprio per il suo lusso esagerato, i comportamenti riprovevoli e la smodata crudeltà.
Tutto cominciò durante un ricevimento a Pausilypon alla quale partecipò lo stesso Augusto. Una storia che merita di essere raccontata.

* * *

Pausilypon, villa di Vedio. Tra il 25 e il 15 avanti Cristo.
La serata volgeva al termine, e intorno all'enorme piscina gli invitati si affastellavano in un girotondo confuso. La cena era stata squisita, le pietanze abbondanti. Gli schiavi avevano servito i piatti più rari e gustosi: semi di mirto e ruta, pasta di fichi e garum, fagiani e pavoni; scorreva il Falerno, l'aria era tiepida sotto la falce di luna che puntava la sua lama verso Trentaremi. Fu quella sera che il padrone di casa decise di buttare uno dei servi in pasto alle murene.

Era un uomo assai discusso, Publio Vedio Pollione. Nunquam vidi hominem nequiorem, diceva di lui Cicerone. Ai tempi in cui la Repubblica stava per cedere il passo all'Impero questo ex liberto dalle fortune accumulate in fretta era additato per la sua condotta dissoluta, tanto nei pubblici costumi che nei contegni privati. Girava voce che in una sua bisaccia, sfuggita al controllo dello schiavo cui era stata affidata, fossero stati trovati cinque medaglioni dipinti, con i ritratti di altrettante matrone: forse pegni d'amore incautamente donati, a ricordo di notti di passione finite in scandalo, o in commedia. Vedio, infatti, aveva fama di smargiasso.

Prima ancora di infilarsi al dito l'anello d'oro di cavaliere, e poi divenire governatore della provincia d'Asia, aveva già accumulato milioni e milioni di sesterzi. Con quali mezzi, leciti o illeciti, furono in molti a chiederselo prima e dopo la sua morte: e tra quei molti Ottaviano Augusto, che già prima del banchetto innanzi a Trentaremi aveva deciso di prendere le distanze dal suo fedele ma imbarazzante partigiano. Di cancellare la macchia di quell'antico legame.

Occorreva solo aspettare l'occasione giusta. Nella villa di Vedio, quella sera, alla presenza dell'imperatore, uno schiavo maldestro aveva fatto cadere a terra un prezioso vaso di pietra dura, un pezzo della sconfinata collezione del padrone di casa. La cena si era svolta fino a quel momento in un'atmosfera di eccitante euforia: ora però nessuno fiatava, e gli occhi di ogni commensale vagavano dallo schiavo al padrone di casa, e da questi all'imperatore.

Quel vaso doveva valere davvero molto, o forse il padrone di casa intendeva usarlo a pretesto per dare libero sfogo alla sua crudeltà: era noto come avesse il vizio di rimpinguare le murene con sangue umano, per il semplice gusto di farlo. Non occorreva macchiarsi di colpe gravi, per essere puniti in quel modo orrendo; bastava una minima mancanza.

Il carnefice si voltò a cercare lo sguardo di Augusto, mentre ordinava che ancora una volta un innocente fosse gettato vivo nella piscina, perché le murene lo divorassero; era una morte atroce, quella che attendeva lo sventurato. Prima che il suo orrendo fato si compisse, tuttavia, questi riuscì a divincolarsi, e si gettò carponi ai piedi dell'imperatore.
Non chiedeva di essere risparmiato, ma solo una morte diversa. Non voleva diventare cibo per le murene.

* * *

Augusto fu scosso da quella supplica, almeno quanto era disgustato dalla crudeltà del suo anfitrione. Si sforzò di cercare le parole giuste, prima di rivolgersi a Pollione. «Perdona questo infelice - disse infine - e dimostra così che la tua tolleranza è pari alla tua magnificenza». La replica di Pollione, tra lo stupore degli altri commensali, fu invece raggelante: la decisione era stata presa, l'ordine andava eseguito.

Fu allora che ad Augusto tornarono in mente le parole di Cicerone; e in quel momento esatto che, con una determinazione improvvisa, decise di sbarazzarsi una volta e per sempre dell'imbarazzante amicizia con il suo partigiano. Ordinò allo schiavo di rialzarsi e mandò gli altri servitori a raccogliere, uno per uno, tutti i vetri e i calici preziosi che componevano la collezione del padrone di casa; quindi ordinò che venissero fatti a pezzi, lì sotto gli occhi di Pollione. Lui stesso contribuì a infrangerne una dozzina e lanciarne i cocci nelle peschiere.

(1/continua)

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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