Napoli, dalla Russia con amore: i cavalli della zarina e il mitico signor Papoff

Napoli, dalla Russia con amore: i cavalli della zarina e il mitico signor Papoff
di Vittorio Del Tufo
Domenica 3 Aprile 2022, 11:12 - Ultimo agg. 4 Aprile, 08:58
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«Non invano hanno soffiato i venti
non invano c'è stata la tempesta
Un misterioso qualcuno ha colmato
i miei occhi di placida luce»
(Sergéj Esénin, Non invano hanno soffiato i venti)

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Cosa si può regalare a un re?
Un quadro? Un tabernacolo del Seicento? Una villa a picco sul mare?
A metà 800 lo zar di Russia, Nicola I, si tolse dagli impicci scegliendo come dono, per il re di Napoli Ferdinando II, le due statue equestri esposte ai lati della porta del giardino del Palazzo Reale di Napoli, lato Maschio Angioino. Le due sculture, ribattezzate dai napoletani Cavalli di Bronzo, e raffiguranti due palafrenieri nell'atto di domare i cavalli rappresentano ancora oggi una delle testimonianze più importanti dei rapporti strettissimi che sul piano politico, economico e commerciale intercorrevano tra la Russia degli Zar e il regno borbonico: un ponte tra due culture, ma anche tra due bastioni del conservatorismo europeo di quegli anni.

Cosa si può regalare a un re? La domanda fluttuò per alcuni giorni nella mente della zarina Aleksandra Fëdorovna, moglie dell'imperatore russo, la quale aveva validi motivi per essere riconoscente a Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie soprannominato Bomba per la fortissima inclinazione a reprimere nel sangue ogni anelito di libertà del suo popolo. Aleksandra, più famosa come Carlotta di Prussia, figlia di Federico Guglielmo III e cresciuta durante le guerre napoleoniche, era diventata imperatrice di tutte le Russie nel dicembre 1825, quando il marito Nicola Romanov divenne imperatore con il nome di Nicola I.

Nell'ottobre del 1845, in ossequio alla moda europea, lo Zar e consorte decisero di visitare l'Italia del Sud. Un viaggio dettato da ragioni politiche - cementare l'alleanza tra l'impero russo e il regno delle Due Sicilie - ma prima ancora da motivi di salute. Quella di Aleksandra, infatti, era assai cagionevole: la zarina soffriva di tubercolosi, attacchi di cuore, spasmi nervosi e sembrava molto più vecchia dei suoi 47 anni. Così, su consiglio dei medici, la coppia decise di raggiungere Palermo, dove Nicola e Aleksandra furono ospitati nella splendida villa dell'Olivuzza. Lo Zar fu presto richiamato a Pietroburgo per i suoi affari di Stato, la Zarina decise invece di restare a Palermo, con la figlia granduchessa Olga e numerosi notabili e familiari.

La principesca dimora divenne una succursale della corte di Pietroburgo. La zarina, abituata ai rigidi inverni russi, dovette ricavare enormi benefici dal sole di Palermo, al punto che decise di restare in Italia fino alla primavera dell'anno successivo. Le cronache riferiscono di un prodigioso latte d'asina che un contadino del posto veniva a mungere ogni mattina davanti al medico di corte. La leggenda, invece, narra che Aleksandra Fëdorovna volle portare con sé a Pietroburgo il paziente animale assieme al fortunato contadino che venne ricompensato con gioielli di grande valore.

Il marito, Nicola, la raggiungeva per brevi periodi, e sempre in compagnia dell'amante, una delle dame di compagnia di Carlotta. Aleksandra era al corrente della tresca e con il tempo se ne fece una ragione, anche perché i medici le avevano sconsigliato l'attività sessuale a causa della sua salute cagionevole. L'imperatrice, lentamente, riprese le forze. Al termine del soggiorno Nicola e Aleksandra decisero di visitare Napoli, capitale del regno delle Due Sicilie, per esprimere a re Ferdinando II la loro riconoscenza. I sovrani russi furono ospitati a Palazzo Reale e fu in quell'occasione si cementò ulteriormente l'alleanza e l'amicizia tra i due sovrani, con la firma di un trattato commerciale e di navigazione.

Così, al ritorno a San Pietroburgo, Nicola I fece inviare in dono a Ferdinando II di Borbone due monumentali sculture equestri, copie dei quattro gruppi equestri in bronzo visibili ancora oggi a San Pietroburgo, sui quattro angoli del Ponte Anihkov sul fiume Neva. Erano i famosi Cavalli di bronzo. La scultura raffigura due palafrenieri nell'atto di domare i cavalli. Inizialmente le due statue, opera dello scultore russo Pjotr Klodt von Jürgensburg, vennero poste sul cancello d'ingresso laterale dei giardini reali, su via San Carlo. Successivamente, alla fine del XIX secolo, furono spostate nella zona frontale al Castel Nuovo. Quel cancello d'ingresso si chiama, ancora oggi, Porta dello Zar.

Fëdor Dostoevskij definì Napoli una «nuova Gerusalemme», un luogo «dove la Terra respirava il mistero». E negli stessi anni in cui la zarina Aleksandra Fëdorovna sceglieva con il marito Nicola un dono che facesse colpo sull'alleato Ferdinando II, molti pittori russi sceglievano Napoli per dipingere i loro tramonti e le loro visioni notturne. Senza scomodare il fascino che Capri esercitò su Lenin e sugli intellettuali del suo paese va ricordato che Napoli è stata una meta ambitissima dai pittori russi dell'800. Dalla Crimea partì per Napoli nel 1840, il pittore Ivan Konstantinovi Ajivazovskij, di origini armene: si stabilì in città per oltre un anno, descrivendo la «struggente bellezza» del Golfo in un famoso dipinto del 1841. «Qui è impossibile non dipingere: ora vi è una luna incantevole, ora il sole tramonta sulla sfarzosa Napoli». Nelle principali pinacoteche russe sono visibili i quadri di Sil'vestr Shchedrìn, che visse tra Napoli e la Costiera tra il 1825 e il 1830 entrando in contatto con gli artisti della Scuola di Posillipo (van Pitloo, Gigante, Palizzi). La luce di Napoli lo conquistò al punto di dedicare alla città dove aveva scelto di vivere uno dei suoi quadri più famosi, la Notte di luna a Napoli, esposto alla Galleria Tret'jakov di Mosca.
 


Al seguito di Nicola I, nel 1845, arrivò a Napoli anche il diplomatico e interprete Andrej Popov. L'uomo di fiducia (nonché cugino alla lontana) dello Zar, capostipite della famiglia Popov (diventato Papoff per traslitterazione) faceva parte della folta delegazione che aveva il compito di trasportare in città i Cavalli di Bronzo, che ornano l'ingresso dei giardini di Palazzo Reale. Il primo signor Papoff su suolo italico si innamorò di Napoli e ancor più di una bella dama francese conosciuta alla corte partenopea: Helene Darsel. Tornare in Russia? Neanche a parlarne. I due convolarono a nozze e dall'unione nacquero tredici figli. Esiste ancora una foto di Andrej ed Helene, anziani: lui è un omone dagli occhi di ghiaccio e folti basettoni bianchi, seduto in poltrona, sullo sfondo un giardino dipinto, e lei, che gli sta accanto, in piedi, da un lato, una donna minuta e graziosa.

È Alessandra Papoff, 57 anni, discendente della storica famiglia di origine russa, artigiana del plissé, a sfogliare l'album di famiglia. I discendenti di Andrej crearono a Napoli un piccolo impero nel campo delle lavanderie dando lavoro a centinaia di napoletani. In Francia era scoppiata la moda del plissé, l'antica arte del tessuto in pieghe, e il giovane Alberto Papoff, ai primi del Novecento, si recò a Parigi per carpirne i segreti e le tecniche. Tornò a Napoli carico di stampi e con in mano un progetto per costruire una macchina pieghettatrice che ha resistito fino agli anni 80.

Negli anni Venti il plissé iniziò a declinare, e così all'attività principale di pieghettatura si cominciò ad affiancare la lavanderia, la stireria, la tintoria. Le redini dell'azienda passarono ai figli di Alberto, in particolar modo al primogenito Luigi, che ne curò l'espansione, fino a farla diventare un'importante realtà industriale cittadina e non solo. I Papoff abitavano a Chiaia, tra la Riviera e via Crispi. Ancora negli anni 60 la Lavanderia Papoff S.p.a. poteva contare su oltre un centinaio tra operai ed impiegati nella sede principale, più una sessantina di negozi e punti di raccolta dislocati fra Napoli e provincia.

Dalla Russia con amore. I Papoff erano imparentati con lo Zar e un loro discendente, titolare di uno studio fotografico a Chiaia, per anni si fregiò dello stemma dei Romanov. Una meravigliosa storia russo-napoletana durata fino agli anni 90, quando il colosso si è sgretolato tra divisioni interne, morti premature e vicende ereditarie, sparpagliandosi in mille rivoli. Recentemente Alessandra e Stefania Papoff, nipoti di Luigi, hanno fatto rinascere il progetto «Plissé Papoff», con un'associazione culturale nata nel 2018.

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