Un golpe, un re furioso e una sinfonia di pietra: i segreti di piazza del Gesù

Un golpe, un re furioso e una sinfonia di pietra: i segreti di piazza del Gesù
Domenica 20 Novembre 2022, 09:28
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«La storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione».

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Questa è la storia di un palazzo che diventò una chiesa, di una meravigliosa dimora dove si ordivano congiure e di un nobile che scappò da Napoli travestito da mulattiere.

È la storia di una piazza - l'attuale piazza del Gesù - dove un tempo sorgeva il giardino più bello e rigoglioso della città: il giardino dei Sanseverino principi di Salerno.

Ed è una storia che ci riporta ai tempi di re Ferrante d'Aragona e al celebre complotto ordito dai Baroni che, nel 1485, avrebbero voluto assassinarlo. E invece, fregati da una soffiata, dovettero subire la feroce vendetta del sovrano, che privò i congiurati di ogni bene.

I Sanseverino erano una delle famiglie nobiliari più potenti della città, stirpe dalla lunghissima storia, più volte arbitri dei destini del Regno. Il loro capostipite fu il cavalier Turgisio, dei duchi di Normandia. I Sanseverino furono al fianco di Carlo I d'Angiò durante la battaglia per la conquista del Regno. Si racconta che a Benevento, dove si svolse la battaglia decisiva, Ruggiero Sanseverino legò alla spada la camicia intrisa nel sangue di un capitano nemico, formandone una bandiera che li portò alla vittoria. Da allora questa famiglia fu avvolta in un alone piuttosto leggendario. Era talmente forte il debito di riconoscenza nei loro confronti che Carlo d'Angiò, ricordando l'episodio della bandiera insanguinata, volle inserire nello scudo argenteo dello stemma di famiglia una fascia rossa.

Sangue del nostro sangue. Un altro Sanseverino, il brutale Tommaso, partecipò al fianco degli Angioini alla sanguinosa guerra civile contro i Durazzeschi, preludio dell'avvento al trono di Re Ladislao. E i Sanseverino restarono in prima fila anche nei caotici anni delle lotte dinastiche, quando i capovolgimenti di fronte in favore dell'una o dell'altra fazione erano all'ordine del giorno.

Anche durante il periodo aragonese conservarono potere, feudi e privilegi. Roberto Sanseverino, uno dei baroni più potenti del reame, fu autorizzato da re Ferrante d'Aragona a costruire la dimora più bella della città, in fondo alla vecchia Spaccanapoli, di fronte alla cittadella di Santa Chiara. In città si favoleggiava sui meravigliosi giardini del principe di Salerno. L'area di proprietà della famiglia Sanseverino confinava con l'antica Porta Reale, fatta costruire alla fine del 200 da Carlo II d'Angiò detto lo Zoppo, figlio del più famoso Carlo d'Angiò, nei pressi dell'attuale liceo Genovesi.

Questi ed altri luoghi della memoria sarebbero stati poi stravolti dalla rivoluzione urbanistica voluta da don Pedro de Toledo nell'epoca del vicereame spagnolo. Don Pedro allargò la cinta muraria e fece spostare la Porta Reale angioina più avanti, verso l'inizio della nuova strada da lui ideata e che da allora porta il suo nome: Toledo. Nasceva così Porta Reale Nuova detta anche Porta dello Spirito Santo dal largo su cui si apriva.

Ma torniamo a piazza del Gesù e al grande palazzo costruito da Roberto Sanseverino sotto Ferrante d'Aragona. Palazzo realizzato dall'architetto Novello di San Lucano e la cui facciata, con il bugnato a punta di diamante, sopravvive nella chiesa rinascimentale del Gesù Nuovo. La dimora dei Sanseverino principi di Salerno fu completata nel 1470, ma il proprietario non fece in tempo a godersela, essendo passato a miglior vita pochi anni prima. Così il palazzo passò al figlio di Roberto, Antonello Sanseverino. E da quel momento per la splendida dimora di piazza del Gesù, cominciò un'altra storia. Una storia piena di intrighi, complotti, doppi giochi, riunioni segrete e tradimenti.

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Molti luoghi, in città, sono legati alla Congiura dei Baroni, ovvero alla celebre cospirazione ordita dai grandi feudatari del regno contro Ferrante d'Aragona, che con la sua politica autoritaria aveva fatto piazza pulita dei loro privilegi, risalenti all'epoca angioina. Uno di questi luoghi è il giardino della chiesa della Disciplina della Croce, a Forcella, sede della più antica confraternita napoletana, punto di ritrovo dei nobili ribelli. L'altro è Castel Nuovo, è più precisamente la stanza dove si svolgevano fino a qualche anno fa le riunioni del Consiglio comunale: qui i congiurati, convinti di essere stati convocati per siglare la pace con il re, furono invece colti di sorpresa e arrestati. Ma un terzo luogo, anch'esso leggendario, è legato a quegli intrighi di corte, il Trono di Spade della Napoli aragonese: il palazzo di Antonello Sanseverino a piazza del Gesù.

Gli incontri tra i congiurati - tra i quali il principe di Bisignano, il regio segretario Antonello Petrucci e il conte di Sarno - avvenivano, tra una festa e l'altra, proprio a casa Sanseverino. I complottisti accedevano, in gran nascosto, da una porta laterale che dava verso l'attuale via San Sebastiano: una porta segreta che immetteva direttamente agli appartamenti del principe. Quando la congiura fu scoperta, la vendetta del Re fu terribile. Approfittando del matrimonio di una sua nipote, Ferrante riunì i Baroni nella sala grande di Castelnuovo splendidamente addobbata. Qui, tra brindisi e balli, scattò la trappola del sovrano e dei suoi sgherri. I congiurati furono colti di sorpresa e arrestati. Petrucci fu decapitato nella cittadella davanti al maniero, i Baroni subito rinchiusi nelle segrete di Castel Nuovo. E Antonello Sanseverino? Privato di tutti i suoi beni, riuscì a salvarsi uscendo dalla città travestito da mulattiere. Scappò in Francia, tornando a Napoli solo dieci anni più tardi al fianco del re Carlo VIII, partito alla conquista del Regno.

Anni dopo, con la caduta degli Aragonesi, il figlio di Antonello, che si chiamava Roberto come il nonno, riuscì ad ottenere il perdono dal re di Spagna. La famiglia poté così tornare nel palazzo di piazza del Gesù che divenne sede di celebri accademie e cenacoli ai quali partecipavano personaggi del calibro di Pietro Aretino, Scipione Capece e Bernardo Tasso, padre di Torquato e poeta come il figlio. Quando, nel 1547, don Pedro de Toledo provò a introdurre l'Inquisizione spagnola a Napoli, il nuovo padrone di casa di Palazzo Sanseverino, Ferrante, decise di sostenere la rivolta popolare. Mal gliene incolse: il temutissimo viceré lo inquadrò nel mirino e il barone ribelle dovette fuggire in Francia, dove visse, in esilio, fino alla morte.

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Addio alle sale affrescate, allo splendido giardino, alle feste sfarzosissime. Tutto finito, tutto perduto. I beni dei Sanseverino principi di Salerno passarono al fisco e furono messi in vendita per volontà del re di Spagna in persona, Filippo II: si consumava la vendetta del terribile don Pedro. Sarà il successore di Toledo, don Pedro Girón, duca di Osuna, a convincere i gesuiti ad acquistare il palazzo, con i suoi giardini. Nasceva così la chiesa del Gesù Nuovo, capolavoro dell'arte barocca, che da allora fa da contraltare al gotico monastero di Santa Chiara. tutt'intorno, l'insula gesuitica, ovvero il complesso di edifici ospitanti la compagnia di Gesù. Dal Palazzo delle congregazioni, l'attuale liceo Genovesi, alla Casa Professa dei Padri Gesuiti. Del fu palazzo dei congiurati (e dei letterati) non è rimasto che il leggendario bugnato della facciata, con i misterioso codice armonico inciso sul piperno. Un meraviglioso enigma che ha appassionato generazioni di studiosi ed esperti di simboli. Lette in sequenza da destra a sinistra, guardando la chiesa, e dal basso verso l'altro, le incisioni, tradotte in note, compongono una musica della durata di quasi tre quarti d'ora: un pentagramma di pietra nel cuore di Napoli magica.
 

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