La Specola e altri sogni,
le sfide impossibili
degli architetti visionari

La Specola e altri sogni, le sfide impossibili degli architetti visionari
di Vittorio Del Tufo
Domenica 14 Febbraio 2021, 10:01 - Ultimo agg. 19:09
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«Chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te»

(Edoardo Bennato).

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Gli ultimi decenni dell'Ottocento verranno ricordati per sempre come l'epoca d'oro dei sognatori, degli architetti e degli ingegneri visionari. Germogliarono in quel periodo idee innovative, stravaganti, fantastiche. Il contesto internazionale era propizio, il clima irripetibile. Quando, nella Parigi degli anni 80 dell'800, Maurice Koechlin ed Émile Nouguier, due ingegneri alle dipendenze di Gustave Eiffel, immaginarono l'inimmaginabile, e «videro» nella loro fantasia la futura Tour, una delle meraviglie del mondo moderno, qualcuno li additò come pazzi. Lo scrittore Edmond de Goncourt definì quella torre «un faro abbandonato sulla terra da una generazione scomparsa, da una generazione di giganti». Monsieur Eiffel, invece, si innamorò all'istante dell'idea.

Il mondo è di chi osa. Eiffel osò. A Napoli, in quello stesso periodo, l'architetto e urbanista britannico Lamont Young progettava la prima linea metropolitana partenopea e il «rione Venezia», la nuova città fatta di canali, giardini e palazzi residenziali a bassa densità abitativa, che nelle intenzioni di Lamont il Genio doveva sorgere tra Santa Lucia e l'area flegrea, e invece non vide mai la luce.

Della famiglia dei progettisti visionari, che hanno dato lustro a Napoli, faceva parte Giuseppe Mannajuolo, noto per aver promosso e reso possibili, assieme agli ingegneri Ricciardi e Borrelli, gli interventi progettati da Giulio Ulisse Arata: l'architetto piacentino che, grazie a questo irripetibile sodalizio, realizzò quasi l'intero asse stradale di via Filangierivia dei Mille, nel cuore borghese della città. Un intervento urbanistico che declinava al meglio il gusto della Belle Époque, esemplificato dallo scenografico palazzo Mannajuolo, la cui scala ellittica rappresenta uno dei più significativi esempi di architettura floreale italiana. Alla stessa compagine di ingegneri e architetti si deve anche il complesso delle Terme di Agnano, che meriterebbero ben altra sorte dell'oblio in cui sono precipitate.

Famiglia eclettica e dai molteplici talenti, quella dei Mannajuolo. Se al capostipite, Giuseppe, è legato il maestoso edificio liberty con cupola e grandi finestre di vetro scelto da Orzan Ozpetek per ambientarvi le scene più suggestive di «Napoli velata», al figlio Ugo fanno capo numerosi progetti di ville da fiaba tra Capri, Ischia e le due Costiere. Fu Ugo a progettare negli anni 30, in uno dei luoghi più ameni della città, l'ospedale Principe di Piemonte, che nel 1973 mutò il nome in Monaldi. Mannajuolo jr lavorò anche al restauro e all'ampliamento dell'Ospedale degli Incurabili. Il fratello di Ugo, Guido, nell'immediato dopoguerra inaugurò in via Filangieri la prima galleria «Al blu di Prussia», vera fucina d'arte, dal quale sono passate le più ambiziose avanguardie artistiche degli anni Cinquanta, gruppo Sud in testa (Montefusco, Barisani, De Stefano, Tatafiore, De Fusco, Tarchetti, Causa, Florio, De Veroli). Nello storico palazzo costruito dal nonno abitano oggi Giuseppe e Patrizia Mannajuolo, cinefili coltissimi e animatori della Fondazione Mannajuolo, nata alle soglie del secondo millennio con l'intento di promuovere e sostenere iniziative nell'ambito dell'arte, dell'architettura, della letteratura, del cinema e del teatro. Con la pronipote Ambra, scultrice, un'autentica famiglia d'arte.

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All'inizio del 900 molti dei progetti firmati da Mannajuolo padre furono considerati troppo arditi per essere approvati. Lo ricordano Alessandro Castagnaro (docente di Storia dell'Architettura alla Federico II) e Florian Castiglione (studiosa di storia e conservazione dei beni architettonici) nel bel volume delle edizioni Paparo dedicato alla figura di Giuseppe Mannajuolo e del figlio Ugo. Scopriamo così che se le istituzioni cittadine avessero avuto più coraggio, se fossero state più lungimiranti, i napoletani avrebbero potuto godere appieno, per esempio, della bellezza (e dell'altezza) della Galleria Umberto, realizzata nell'ambito degli interventi del Risanamento.

Un progetto straordinario, quello di Mannajuolo. A partire dal titolo:

In Aerostata Specola-Sirena sulla Cupola della Galleria. Nella fase finale della costruzione della Galleria - a cui lavorarono Emanuele Rocco, Antonio Curri ed Ernesto di Mauro - Giuseppe Mannajuolo svolse il ruolo di tecnico di fiducia dell'impresa appaltatrice Esquilino di Roma.

Conclusi i lavori, l'ingegnere presentò al segretario generale del Comune di Napoli, il commendatore Carlo Cammarota, un'idea per la realizzazione di un ascensore che avrebbe condotto in cima alla cupola della Galleria. Possiamo solo immaginare lo stupore di Cammarota quando si vide consegnare quel progetto dal titolo così ambizioso e altisonante. La prima parola (Aerostata) conteneva un riferimento esplicito alla velocità con cui sarebbe stato possibile trasportare in ascensore le persone a circa 80 metri di altezza. La seconda - Specola, dal latino specula - si riferiva all'osservatorio scientifico che Mannajuolo aveva intenzione di impiantare sulla sommità della Galleria, e dalla quale sarebbe stato possibile ammirare tutta Napoli: ovvero la città della Sirena Partenope, genius loci e mito fondativo della città antica. Va detto che a quell'epoca, in tutto il centro di Napoli, punti alti e panoramici come quello ideato da Mannajuolo erano inesistenti, a eccezione dei campanili. Motivo per cui, come spiega Florian Castiglione, «la vista a 360 gradi ammirabile da questo ardito belvedere sarebbe stata un forte attrattore turistico in quegli anni di grande fermento culturale». Negli stessi anni, l'ingegnere Adolfo Avena progettò un sistema di risalita per la cupola di San Pietro a Roma, rimasto anch'esso sulla carta.

Dobbiamo calare i progetti di Mannajuolo nella cultura dei piani di risanamento concepiti per il riscatto di una città che era uscita a pezzi dall'epidemia di colera del 1884. Il Risanamento stava modificando il volto della città, con il tracciato di Corso Umberto I e quello di corso Garibaldi e l'ampliamento dell'attuale via Duomo. Interventi di enorme impatto sul tessuto urbano, che seguivano ed emulavano l'esperienza della Parigi imperiale del barone Haussmann, sulla cui scorta ogni grande città europea perseguiva programmi di ammodernamento e di riqualificazione urbana con la realizzazione di Grands Boulevards. In questa cornice, come spiega Castagnaro, la bonifica del centrale rione di Santa Brigida, eseguita tra il 1885 e il 1890 con la costruzione della Galleria Umberto I, era certamente uno degli interventi di maggior rilievo. Fa piangere il cuore vedere, oggi, quel progetto mai realizzato. E misurarne l'ambizione in rapporto al triste declino di uno dei monumenti più importanti della città, lasciato marcire nel degrado.

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Poco si sa anche di un altro visionario progetto firmato da Mannajuolo padre, stavolta nel 1926: una rete di cunicoli sottostradali per far viaggiare i rifiuti destinati allo smaltimento. Il progetto prevedeva un circuito di trenini sotterranei per portare i rifiuti in discarica, ciascuno composto da un'automotrice elettrica con dieci carrelli. Insomma un vero e proprio «metrò della monnezza» che avrebbe viaggiato da Poggioreale al Porto, da via Duomo a Fuorigrotta, da piazza Amedeo al Vomero, raccogliendo a monte i rifiuti attraverso brevi cunicoli. E tutto questo senza ostacolare il percorso della futura metropolitana - che d'altra parte avrebbe visto la luce solo molti decenni più tardi - e la rete fognaria principale esistente.

Un progetto analogo era stato proposto alla fine dell'800 da Lamont Young, che disegnò per Napoli un'avveniristica metropolitana ispirata al modello londinese. L'uomo di Villa Ebe e del Castello Aselmeyer aveva ideato delle gallerie sotterranee per i binari ferroviari, in modo da coinvolgere gli stessi treni anche per la raccolta dei rifiuti organici. Ma Young, com'è noto, era troppo avanti: Napoli e i suoi amministratori non erano al suo passo.

I gerarchi fascisti invece presero in considerazione il progetto di Mannajuolo. Lo stesso Mussolini, a quanto pare, se ne dichiarò entusiasta, al punto da proporlo al podestà di Milano, De Capitani D'Arzago. Ma non se ne fece niente perché nel sottosuolo di via Toledo (allora via Roma) si presentò un ostacolo insormontabile: la preesistenza di importanti impianti, la cloaca massima e l'antico cunicolo delle acque del Carmignano, resero impossibile la realizzazione delle gallerie e il «trenino dei rifiuti» finì nel dimenticatoio. Mentre ancora oggi, a novant'anni dalla prima proposta di Mannajuolo, Napoli non ha trovato soluzioni efficaci per risolvere il problema dello smaltimento. 

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