Dalle magie di Diego al cimitero dei ricordi: è il Paradiso perduto

La Natura nasconde la Storia, anzi la mastica e la risputa: benvenuti a Soccavo, Paradiso della memoria

Quel che resta del glorioso campo Paradiso di Soccavo
Quel che resta del glorioso campo Paradiso di Soccavo
di Vittorio Del Tufo
Domenica 13 Novembre 2022, 20:00
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«Sotto l'occhio ironico del sole, spregiatore di ogni umano pensiero, la qui dolcissima ma non per questo meno feroce Natura, nemica della Storia, inizia la sua opera paziente»
(Raffaele La Capria, Ferito a morte).

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La Natura nasconde la Storia, anzi la mastica e la risputa: benvenuti a Soccavo, Paradiso della memoria. Un cancello arrugginito, una spianata piena di sterpaglie, un cimitero buio dove un tempo c'era il campo di allenamento del Napoli di Maradona. Uno dei simboli della città svilita, ma anche un luogo identitario, che resterà per sempre legato alla memoria di Diego e dei suoi incantesimi. Quando la favola del Pibe finì, il campo Paradiso di Soccavo scivolò nell'inferno con la squadra e con la società. E oggi che la squadra vola in classifica e colleziona primati anche in Europa, è l'intera città a chiedere che la vecchia casa degli azzurri - chiusa nel 2004 dopo il fallimento del club - venga salvata da un destino di fango e rovina.

I ragazzi dell'associazione Paradiso ci accolgono davanti alle rovine del campo di allenamento dove Diego palleggiava con le bottigliette d'acqua minerale, esercitandosi nell'esoterica impresa di fare gol tirando a effetto da dietro la porta. Il comitato è nato ufficialmente nel 2021, ma i suoi componenti storici (Salvatore Cierro, Gemma Grossi, Pierluca Nardone, Raffaele Marande) si battono da anni per riportare alla luce questo pezzo di storia azzurra. La struttura è passata per alcuni anni di mano in mano; qualche mese fa Dalma Maradona, la figlia di Diego, ha girato qui alcune scene del docufilm

La Hija de Dios. Ora l'auspicio è che si facciano avanti investitori pronti a scommettere sul rilancio del campo, dopo gli anni dei vandali, dei ladri di ferro e di memorabilia, e delle procedure burocratiche per il recupero dei vecchi crediti. Il Centro è ufficialmente sul mercato e l'associazione Paradiso, in contatto con il club, sogna di realizzare una Fondazione che metta insieme la società e i tifosi, anche grazie allo strumento dell'azionariato popolare, per fare di nuovo del Paradiso un punto di riferimento sul territorio. Un simbolo del diritto allo sport in una città dove troppo spesso lo sport è negato: un tempio laico, come il museo diffuso dei Quartieri Spagnoli, in memoria del fuoriclasse argentino.

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«Le pareti degli spogliatoi cadevano a pezzi, sembravano quelle di casa mia a Villa Fiorito. C'era una tettoia di lamiera per parcheggiare quattro macchine e il terreno del campo ti rompeva i tendini. Per questo dico sempre che a Salvatore Carmando, massaggiatore e tutto il resto, spetta il 50 per cento del merito per ogni trofeo che abbiamo conquistato». (Diego Armando Maradona, Yo Soy El Diego)

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Diego è seduto sul pallone, una bambina ai suoi piedi - la piccola Dalma - infila dolcemente una margherita nel calzettone azzurro del padre. È il frame di un vecchio video diventato indelebile grazie al murales realizzato da Mario Casti Farina, che ha fermato nel tempo quel gesto di tenerezza. Alle spalle del disegno, e delle cancellate, lo spettacolo è desolante. Quello che non è stato rubato cade a pezzi, a stento si riconoscono le gradinate del campo e il cancello dove la Ferrari nera di Maradona, dopo l'allenamento, scivolava nel buio. Per molti anni il terreno di gioco è stato crocevia di spaccio e luogo di ricettazione. Un mondo di ragnatele e cocci. Il Centro Paradiso era nato nel 1975 con il presidente dei trionfi azzurri, Corrado Ferlaino, che con i soldi ricavati dalla vendita di un terreno adiacente costruì la tribuna, la sede, il ristorante e gli spogliatoi. Finiti gli anni d'oro, il campo fu venduto a Giorgio Corbelli - presidente dal 2000 al 2002 - insieme alla società: da allora l'abbandono, il degrado, l'oblìo. L'assurda diceria della sfiga e una complicatissima curatela fallimentare di cui per anni è stato impossibile riannodare i fili.

Si possono leggere i luoghi di Diego come un paesaggio dell'anima, una toponomastica della memoria dove si intrecciano fili, si rincorrono voci, si incrociano destini.

La folla che aspettava l'uscita degli azzurri a fine allenamento. Gli spalti pieni per le partite del Napoli Primavera, che su questo campo, con l'allenatore Mario Corso, nel 1979 vinse lo scudetto: tra i calciatori c'erano ragazzi che avrebbero giocato in prima squadra, tra cui i futuri campioni d'Italia 87 Volpecina, Di Fusco e Caffarelli.

E ancora. Il rombo delle auto di Diego. Il presidio permanente davanti al cancello d'ingresso. Le feste di compleanno del magazziniere Tonino d'Iglio, che (come il massaggiatore Carmando) festeggiava il 29 ottobre, il giorno prima di Maradona. Ogni volta era Diego a comprare la torta, ma voleva sempre che fosse Tonino a prendersene il merito: «Pago io ma diciamo a tutti che hai offerto tu».

E ancora. La brigata dello chef Raffaele Maresca, sorrentino, che prima di cucinare per gli azzurri era stato cuoco sulle navi di Achille Lauro. La simpatia travolgente del capo-magazziniere Tommaso Starace, entrato nel club come aiuto dello chef Maresca e poi passato dalla cucina al magazzino, con Gaetano Masturzo e Tonino D'Iglio. Le banconote distribuite dal brasiliano Alemao ai bambini poveri del quartiere.

E ancora. Gli allenamenti della Nazionale italiana quando giocava a Napoli. L'assalto ultrà del novembre 92 - il Napoli andava male in campionato - quando furono aggrediti Policano, Bresciani, Filardi e Corradini. E poi la foto esposta all'ingresso della Foresteria: venne scattata il 10 maggio dell'87, il giorno del primo scudetto. Fabio Cannavaro, che all'epoca aveva 13 anni, giocava nelle giovanili e faceva il raccattapalle, con il dito indice della mano destra alzato al cielo insegue l'azzurro Carnevale, autore del gol in quella storica giornata. Destini incrociati. Ricordi che appartengono a tutta la città. Li stiamo lasciando marcire.

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Erano i giorni di Diego: il campione inarrivabile, e l'uomo fragile, sul quale i napoletani riversarono (e riversano ancora) un affetto soffocante, considerandolo, allora come oggi, una sorta di vendicatore venuto da un altro pianeta per riparare torti antichi. Poi c'erano le notti, dove Diego si rifugiava come in un liquido amniotico, forse per scappare dalle proprie ombre. E infatti i Paradisi di Diego furono due: il campo di Soccavo dove il campione metteva a punto le sue prodezze e l'hotel Paradiso di via Catullo dove si chiudeva in camera spesso con due ragazze per volta e con i suoi fantasmi. Maradona frequentava la movida di Chiaia e Posillipo quando la parola movida non la usava nessuno. La Stangata di via Martucci, la Cachassa di via Petrarca, ma anche i vicoli neri di Forcella, la Forcella dei boss Giuliano (Carmine, soprattutto) che individuarono nell'asso argentino la gallina dalle uova d'oro, e non lo mollarono mai, nemmeno un istante.

E ancora, la casa dove Diego abitò: la famosa palazzina su due livelli in via Scipione Capece, a Posillipo, davanti alla quale si appostavano tutte le sere gli 007 dell'agenzia Az-Investigazioni di Antonino Restino, pagati da Luciano Moggi che si presentava all'hotel Majestic di Chiaia con una valigetta piena di contanti, e dove ci appostavamo anche molti di noi, giovani cronisti, probabilmente non del tutto consapevoli che la parabola di Maradona a Napoli stava prendendo una piega tragica.

Vite che sono anche le nostre, potremmo dire parafrasando Carrère. Quelli di Diego sono diventati luoghi della memoria, eppure tutti indissolubilmente legati al corpo-feticcio di Diego, divenuto una sola cosa, verso la metà degli anni 80, con il corpo della città. Il Paradiso di Soccavo oggi è uno di questi luoghi: qualcuno lo salvi dalla nuvola di macerie e polvere nella quale è da troppo tempo e scandalosamente immerso. Potrebbe diventare il Museo che la città ancora non riesce a dedicare al suo campione più grande; oppure una scuola di calcio per i bambini poveri del quartiere.

Sì, a Diego sarebbe piaciuto. 

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