La padrona crudele
e un misterioso canto
venuto dal passato

La padrona crudele e un misterioso canto venuto dal passato
di Vittorio Del Tufo
Domenica 29 Novembre 2020, 20:00
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«E io responno, co parole accorte
So' lacreme d'ammore e non è acqua»

(Fenesta vascia, autore ignoto)
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Che l'Ottocento sia stato il secolo d'oro della canzone napoletana è noto. Sono germogliati nei primi decenni di quel secolo capolavori come Te voglio bene assaje, a cui hanno fatto seguito Era de maggio, Serenata napoletana, Catarì, O marenariello e tanti altri. Ai primi anni dell'Ottocento Napoli, famosa in tutta Europa per i suoi conservatori, era considerata, già da tempo, la capitale musicale d'Italia. Si deve in particolare a editori del calibro di Guglielmo Cottrau, Bernardo Girard (socio di Cottrau) e Francesco Azzolino, tipografo in via Girolamini, il merito di aver sottratto all'olio innumerevoli canzoni del passato e di averne ispirate altre. Basti pensare a Michelemmà, Fenesta ca lucive e Lo Guarracino. Tra le canzoni salvate da Cottrau, Fenesta vascia è una delle più celebri. E delle più struggenti.
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Fenesta vascia e padrona crudele,
quanta suspire mm'haje fatto jettare!
Mm'arde stu core, comm'a na cannela,
bella, quanno te sento annommenare!
Oje piglia la sperienza de la neve
La neve è fredda e se fa maniare
E tu comme si' tanta aspra e crudele?
Muorto mme vide e nun mme vuó' ajutare?
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Ricostruire la genesi di questo brano, risalente con ogni probabilità al 500, è un'impresa nella quale si sono cimentate generazioni di musicologi. L'unica certezza è che Fenesta vascia è un meraviglioso canto d'amore giunto fino a noi dal passato, portandosi dietro una lunga scia di mistero. L'Uovo di Virgiio ha provato a ripercorrere questo lungo viaggio con il contributo di uno storico della canzone napoletana, Pasquale Scialò. «I versi iniziali di Fenesta vascia - spiega Scialò - derivano da una canzone villanesca di Giovan Nasco del 1556 che recita proprio: «Finestra bella e padrona crudele / quanti sospiri m'hai fatto gittare».

L'autore del testo è ignoto; è opinione diffusa - per quanto probabilmente infondata - che a rielaborarlo, adattando le parole al dialetto napoletano dell'epoca, sia stato il poeta e letterato di Frattamaggiore Giulio Genoino, ma non v'è alcun documento a sostegno di questa ipotesi.

Conosciamo però l'autore della melodia: Guillaume Cottrau, un editore e compositore francese, successivamente diventato cittadino del Regno delle Due Sicilie dopo aver rinunciato alla cittadinanza francese. Cottrau - che nel 1824 pubblicò i Passatempi napoletani - traeva i suoi materiali da molteplici fonti, dall'ascolto diretto di performance urbane ma anche dai cosiddetti fogli volanti, che nei primi decenni dell'Ottocento svolgono un ruolo fondamentale nella diffusione della canzone. «È Salvatore Di Giacomo - spiega Scialò - a pubblicare l'autografo della musica, una interessante calascionata, forma che rinvia all'omonimo strumento cordofono, con la presenza nella parte inziale di interessanti appoggiature e di ampi respiri tra una frase melodica e la successiva. Questi elementi caratterizzanti vengono eliminati nelle edizioni successive del brano, come in quella di Vincenzo De Meglio, ancora oggi la più diffusa e cantata». Tra le interpretazioni più famose, quelle di Roberto Murolo, Sergio Bruni, Massimo Ranieri e Giulietta Sacco.

Cottrau fu, dunque, uno straordinario mediatore culturale, a cui si deve il merito di aver trasferito molte canzoni napoletane, destinate all'oblio, dalla strada ai salotti.
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È un lungo viaggio nello spazio e nel tempo quello di Fenesta vascia, che può vantare uno degli incipit più belli della canzone napoletana: Fenesta vascia e padrona crudele, quanta suspire mm'haje fatto jettare! Salta agli occhi la ricercatezza delle parole, accorte come quelle pronunciate dall'innamorato respinto, che sospira dietro la finestra vascia (bassa) della sua amata.

Ricercatezza che fa pensare alla mano, e alla tecnica, di un poeta colto. Alla padrona «aspra e crudele» il protagonista consiglia di imitare la neve, che pur essendo gelida come lei, si fa plasmare con le mani, si fa maniare. Ma è una richiesta vana: muorto me vide e nun me vuo aiutare. Per mostrare alla ragazza le lacrime versate, l'innamorato respinto immagina di fingersi un venditore d'acqua, munito di anfora, o mummara, per andare tra le case e gridare «Belli femmene meje, a chi vo acqua». Sono lacrime d'amore quelle che sgorgano copiose dall'anfora dell'innamorato deluso.

Vorría addeventare no picciuotto,
co na langella a ghire vennenn'acqua,
Pe' mme ne jí da chisti palazzuotte:
Belli ffemmene meje, ah! Chi vo' acqua
Se vota na nennella da llá ncoppa:
Chi è sto ninno ca va vennenn'acqua?
E io responno, co parole accorte:
So' lacreme d'ammore e non è acqua!
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La finestra, che spesso è l'unica fonte di luce ad animare i vicoli bui, compare spesso nei testi delle canzoni napoletane. È lo scorcio che conduce verso un mondo privato, intimo, come intime sono le riflessioni e i lamenti di chi in quel mondo vorrebbe entrare, per farvi parte.

Anche Fenesta ca lucive, pubblicata nel 1843 da Guglielmo Cottrau e Girard come Canzone di Positano di anonimo, segue il tribolato percorso di attribuzioni costruite su ipotesi quasi certamente infondate, come quella introdotta da Michele Scherillo nel 1885 che vede in Vincenzo Bellini l'autore del brano. «Il fascino di questa canzone - sottolinea Scialò - resiste al tempo e arriva fino al Festival di Sanremo nel 1966 con una appropriazione indebita da parte degli autori della musica che riprendono tutta la prima parte della melodia, trasposta in tempo binario, per Nessuno mi può giudicare cantata da Caterina Caselli e Gene Pitney».

In questi infiniti labirinti, dove è bello perdersi, si smarrì anche il grande compositore ungherese Franz Liszt, che scrisse delle variazioni sulla melodia di Fenesta vascia. Listz s'era innamorato della melodia in un primo momento a Parigi, dove frequentava il salotto di Lina Freppa, sorella di Cottrau e musicista a sua volta, e poi durante il suo soggiorno in Italia - più che un viaggio, una fuga - con la compagna Marie d'Agoult, che per il musicista aveva abbandonato il marito e le figlie. Da quell'esperienza nacquero tre suite per pianoforte intitolate Années de Pèlerinage, Anni di pellegrinaggio. Una delle suite, Deuxième année: Italie, fu pubblicata nel 1859 con un collage intitolato Venezia e Napoli. Il terzo e ultimo movimento del collage, intitolato Tarantella, oltre alla presenza di frammenti del Guarracino e de Lu milo muzzecato, «contiene proprio un tema con variazioni basato su Fenesta vascia in una versione virtuosistica».

Le «due finestre» della canzone napoletana, con i loro misteri e i loro infiniti giochi di specchi, fanno parte della nostra stora, della nostra memoria. L'ultima loro ripresa può essere rintracciata nella romanza da camera, Un organetto suona per la via, testo di Lorenzo Stecchetti e musica di Mario Costa, il compositore di Era de Maggio. «Qui il musicista - sottolinea Scialò - riprende le melodie di Fenesta ca lucive, in modo minore, e Fenesta vascia, in modo maggiore, come accompagnamento di una nuova canzone di strada con una melodia struggente e melanconica». Proprio come i geniali brani del passato che hanno fatto grande la musica napoletana in tutto il mondo.

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