Il sogno di Eduardo
tra i fantasmi
delle Cappuccinelle

Il sogno di Eduardo tra i fantasmi delle Cappuccinelle
di Vittorio Del Tufo
Domenica 26 Aprile 2020, 20:00
7 Minuti di Lettura
«I bambini di Napoli erano decisi a non morire... Possedevano la vitalità dei dannati»
(John Burns).
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Caro Eduardo, Vi chiediamo di venire qui da noi ad inaugurare il piccolo teatro dell'Istituto. Anche solo per mezz'ora... Venite! La Vostra presenza ci darà fiducia. Vi aspettiamo con ansietà.

Scrissero così i ragazzi del Filangieri. Scrissero, e se ne stettero buoni ad aspettare. Eduardo rispose un mese dopo. Cari ragazzi, verrò in autunno. Intanto fatemi sapere di cosa ha bisogno il vostro nuovo teatrino.
Glielo fecero sapere, attraverso o direttore. Poi scelsero un rappresentante. Quello che avrebbe dovuto recitare, ad alta voce, una poesia di Eduardo. Davanti a Eduardo. Vennero esclusi gli impacciati, i deboli di memoria e gli smargiassi. Scelsero Rafaniello, che però rinunciò. Allora si fece avanti Taralluccio, incarcerato per fatti di miseria.
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Quel nome faceva paura. Le Cappuccinelle. Ti porto alle Cappuccinelle. Si nun faje o bravo ti rinchiudo alle Cappuccinelle. Agli inizi del Novecento l'istituto Filangieri, per molti ragazzi dei quartieri popolari di Napoli, era noto ancora con questo nome: Cappuccinelle. Si chiamava così il complesso conventuale sorto nel 600 a ridosso dei Quartieri Spagnoli, sulla sommità di Salita Pontecorvo, tra via Salvator Rosa e via Tarsia. Il monastero fu fondato in seguito a un ex voto allo scopo di ospitare le ragazze madri. Nel 1809, in piena dominazione francese, la soppressione per ordine di Gioacchino Murat - destino comune a tanti ordini monastici - e la nascita del riformatorio minorile.
Un luogo che metteva i brividi solo a pronunciarlo. O mammone.

Si vedono le vecchie case del Cavone dai grandi terrazzi dell'istituto Filangieri. Solo che il carcere non c'è più, al suo posto ci sono i ragazzi del collettivo Scugnizzo Liberato, che dopo la dismissione del penitenziario hanno sottratto la struttura al degrado con l'obiettivo di restituire quello spazio al quartiere.

Questa, insomma, è una storia di fantasmi. I fantasmi del Filangieri.
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I ragazzi scelsero la poesia O' rraù. Taralluccio prese il compito sul serio, studiava i versi a memoria anche la notte. «Guagliò, mi caco sotto», diceva ai compagni. Poi Eduardo arrivò. Fresco di nomina a senatore a vita. Era il 12 ottobre 1981. Tagliò subito corto con la retorica e la commiserazione. Domandò. Ascoltò. Comprese.
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C'è un prima e un dopo nella storia dell'ex carcere Filangieri. L'anno della svolta è il 1978, quando la direzione dell'istituto viene affidata a Luciano Sommella. Prima di allora i giornali parlavano di «fossa dei serpenti», dove i ragazzi «sono costretti a vivere come bestie, sbranandosi tra di loro». Il 31 dicembre del 77, la notte di Capodanno, scoppiò una rivolta. Venti detenuti incendiarono i materassi, devastarono i mobili, sfondarono le porte delle celle. I capi della rivolta avevano 16 e 17 anni. Un'altra esplosione di violenza avvenne il 31 gennaio del 78. Un mese dopo un insegnante, un funzionario educatore ed un operaio vennero sequestrati dai reclusi.

Il più scatenato è Papele. Quando riescono a bloccarlo, ha il braccio martoriato da ripetuti e insistenti tagli irregolari. Chiamano la mamma. Lei allarga le braccia: «Papele è cresciuto nell'infamità e nella disgrazia. Ma se deve continuare questa disgraziata vita di carcerato è meglio che si abitui ai patimenti... gli serve per quando andrà a Poggioreale».

Entra Sommella - napoletano, sociologo, assistente sociale - e trova il personale demoralizzato. Anzi, incazzato nero. «Direttò, noi qui non resistiamo più». E i ragazzi, come li trova il nuovo direttore? «Uomini prematuri e incompleti, imprudenti e crudeli prima del tempo, appena sotto la dura epidermide si mostrano fragili, perplessi, impauriti...», scriverà in un libro dedicato a quella esperienza. Sommella si fa portare subito nel reparto dei nuovi giunti. Il posto più inaccessibile e tetro dell'istituto. Lo definirà «un avamposto di rifiuti umani». Capisce che quel carcere va rivoltato come un calzino. Gradualmente. Ma senza più indugi. Quella sera stessa, la sera dell'insediamento, gli si avvicina un sottufficiale di servizio. «Diretto', abbiamo pizzicato due minori che si stavano masturbando. Ho disposto di sbatterli in isolamento. Ora decida lei quanto tempo devono restarci». Sommella lo gela: «Li lasci in quel posto per un paio d'ore. Ma d'ora in avanti non disponga più nulla autonomamente».
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Eduardo non perse tempo. Lavorò per i ragazzi disadattati su tre fronti. Per prima cosa fornì un concreto aiuto economico. Recitò insieme a Carmelo Bene al Petruzzelli di Bari e girò l'incasso ai ragazzi reclusi. Donò ai ragazzi del Filangieri i diritti d'autore ricavati dalla commedia La fortuna con la F maiuscola recitata da Aldo e Carlo Giuffrè. Poi preparò un progetto per la costruzione di un villaggio artigianale da destinare a ragazzi liberi, senza lavoro e in difficili condizioni sociali. Propose di «assegnare

al Filangieri uno spazio in una località ridente su cui costruire un villaggio con abitazioni e botteghe dove i giovani, già avviati a mestieri e all'artigianato antico, possano abitare e lavorare... recuperando la speranza e la fiducia di una vita nuova che restituisca loro quella dignità cui hanno diritto».

Infine avviò un'intensa opera di sensibilizzazione culturale e politica. Nel giro di tre anni il Filangieri potè contare su un fondo esterno di circa 16 milioni di lire. Quel fondo servì soprattutto per migliorare la difesa legale per i ragazzi più poveri.
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Al Filangieri, in quegli anni, prendono forma nuove modalità di trattamento dei minori reclusi e nuove forme di organizzazione del carcere minorile. Occorrono anni di lavoro duro per imprimere una svolta. Ma la svolta arriva e il Filangieri finalmente vive una stagione di tranquillità. Diventa un modello di socializzazione e di efficienza attirando l'ammirazione e la simpatia di intellettuali, artisti, sindacalisti, giornalisti, uomini di teatro. Sono gli anni di Maurizio Valenzi: tutta Napoli vive una stagione di fermenti intellettuali e culturali, una spinta verso il rinnovamento soprattutto nel campo delle politiche sociali. I temi delle classi svantaggiate, dei ceti marginali, del sottoproletariato diventano centrali, si moltiplicano gli studi sul lavoro nero minorile, sulla devianza, sulle baby gang prima che imparassimo, tutti, a chiamarle baby gang.

I ragazzi che finiscono al Filangieri possono andare a scuola e frequentare laboratori di ceramica, di falegnameria, di scenografia teatrale. I giornali parlano di istituto pilota, idoneo per la sperimentazione dei nuovi modelli di rieducazione minorile. Modelli di cui hanno fatto tesoro coloro che dirigono oggi, con uguale passione, istituti di pena minorili come quello di Nisida (e l'intero difficile settore della giustizia minorile).
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Eduardo tornò, un pomeriggio di primavera. In punta di piedi. Esortò i ragazzi a creare, a costruire, a inventare. Ad aguzzare l'ingegno, anche se rinchiusi in prigione. A studiare per diventare artisti. Ma imparando la disciplina. Citò Goethe: «Il genio è disciplina». Il 23 marzo dell'82 parlò al Senato. Parlò degli adolescenti inquieti di Napoli. Disse che, anche se sporcati dall'abbrutimento, dagli errori, dai delitti, hanno il sacrosanto diritto di denunciare al Paese ingiustizie, abbandoni, soprusi, miserie. Parlò a nome di tutti loro. Parlò di poesia e di speranza. Mai nessuno aveva parlato al Senato con tanta passione. Il ministro di Grazia e Giustizia, Darida, gli rispose in burocratese. Il Di pi erre seicentosedici del ventiquattro luglio millenovecentosettantasette. Cose del genere.
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Oggi, 38 anni dopo il discorso di Eduardo al Senato, le parole del grande drammaturgo restano attualissime. Il Filangieri è stato dismesso nel 95. Nel 2000 l'istituto è stato acquistato dall'Università Navale per adibirlo ad uso accademico ma i lavori non sono mai partiti. Oggi l'ex carcere Filangieri è occupato dagli attivisti del collettivo Scugnizzo Liberato che, autofinanziandosi per migliorare le condizioni dello stabile, provano a restituire lo spazio al quartiere. Il villaggio non è mai nato.

Dai terrazzi a strapiombo sul Cavone si affacciano solo i fantasmi. Perciò questa è una storia di fantasmi.
Il fantasma di Aniello, che un giorno per protesta si arrampicò su un ponteggio alto quindici metri minacciando di farla finita con la galera e con la vita. Il fantasma di Totore, acerbo e malinconico. Aveva ammazzato suo padre per vendicare antiche prepotenze e si sentiva insieme falso eroe e falsa vittima. La notte era divorato da spaventosi incubi. Il fantasma di Cicerchia: lo portarono in prigione zoppo e balbuziente. Stroppiato per uno scippo finito male, infiacchito dalla droga. Parlava da solo nel cesso. Il fantasma di Core ngrato, gregario dentro e fuori dal carcere, dipendente dalla matrigna, dall'assistenza, dalla banda, dalla malavita.
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Eduardo morì il 31 ottobre 1984. In silenzio davanti alla tv nel teatrino del Filangieri i ragazzi assistettero al suo funerale. Muti. La tv inquadrò la bara. «Ehi guardate - urlò uno dei reclusi - quello lì è Gennarino. Sta vicino a Luca De Filippo». Gennaro P, diciassette anni, era uno di loro. Entrato e uscito già quattro volte. Era uscito l'ultima volta proprio all'alba del funerale di Eduardo. Voleva salutarlo per l'ultima volta, prima di tornare in famiglia. 
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