Una Toledo a Firenze:
la figlia di don Pedro
nel labirinto dei Medici

Una Toledo a Firenze: la figlia di don Pedro nel labirinto dei Medici
di Vittorio Del Tufo
Domenica 27 Febbraio 2022, 20:00
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«Io sono nata da una conchiglia diceva
la mia casa è il mare e con un fiume no non la posso cambiare»

Ivan Graziani, Firenze (Canzone triste)

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La chiamavano Granduchessa, ma Granduchessa non diventò mai. Donna Eleonora Álvarez de Toledo, figlia del monumentale viceré di Napoli don Pedro, morì prima della creazione del Granducato di Toscana. Così la nobildonna, figlia di cotanto padre, dovette accontentarsi del titolo di duchessa consorte di Firenze, avendo impalmato Cosimo I de' Medici nella primavera del 1539, all'età di diciassette anni.

Eleonora non diventò Granduchessa, ma di Palazzo Vecchio è la vera regina. Questa donna dai lineamenti dolci, educata a non mostrare in pubblico il minimo turbamento, altezzosa e austera al punto che i fiorentini dicevano di lei che «se ne stava in un tabernacolo», durante i periodi di assenza o di malattia del marito assunse la funzione di reggente del Ducato di Firenze. Fu la capostipite, assieme a Cosimo de' Medici, della seconda dinastia medicea, famiglia che diede papi alla Chiesa e regine alla Francia. Ma soprattutto fu una vera protagonista del secondo Rinascimento fiorentino. Fu Eleonora a portare a Palazzo Vecchio artisti del calibro di Bronzino e Benvenuto Cellini. E fu lei a suggellare per sempre, proprio grazie al matrimonio con Cosimo de' Medici, il legame tra Napoli e Firenze, come un secolo prima, nell'inquieto 400, avevano fatto Lorenzo il Magnifico e Ferrante d'Aragona. Culture antiche che si incrociarono anche nell'arte, dando vita a capolavori senza tempo.

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Molti luoghi, a Firenze, parlano di Napoli: della sua storia, della sua arte, del suo Rinascimento. E delle ombre che si affacciano dal suo passato. Uno di questi luoghi è Palazzo Vecchio, monumento simbolo del capoluogo toscano e, da oltre sette secoli, sede del suo governo. Entrare nelle splendide sale affrescate dal Vasari e dal Bronzino a Palazzo Vecchio, molte delle quali occupate oggi dagli uffici amministrativi del sindaco, significa compiere un viaggio nello spazio e nel tempo non solo di Firenze ma anche di Napoli, e in particolare nel secolo di don Pedro: il Cinquecento. È un viaggio che vale bene una trasferta per l'Uovo di Virgilio, che nei giorni scorsi ha raccontato lo splendore ritrovato della basilica di San Giacomo degli Spagnoli, che dopo gli anni del degrado (ci pioveva dentro) sta tornando alla vita grazie a un ambizioso restauro.

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San Michele Arcangelo torce il corpo e sguaina la spada per rimandare Lucifero nell'inferno. San Girolamo, dottore della Chiesa, è ritratto durante la sua ascesi nel deserto. San Francesco è rappresentato con il saio, accanto a un suo confratello. Sono alcuni dei personaggi sacri che si alternano nel soffitto della Cappella di Eleonora di Toledo, minuscola ed elegantissima, affrescata da Agnolo Bronzino. Se Palazzo Vecchio è uno scrigno di tesori, la Cappella di Eleonora è una delle sue gemme più preziose. Leonor Álvarez de Toledo y Osorio aveva a disposizione un intero quartiere al secondo piano del palazzo. Si trova qui l'ingresso al passaggio sopraelevato più famoso del mondo, il Corridoio Vasariano realizzato da Giorgio Vasari, talento poliedrico del Cinquecento, in soli cinque mesi. Quel Corridoio, facendosi strada nel groviglio di vicoli, correndo al fianco dell'Arno e scavalcando le casette medievali di Ponte Vecchio, permetteva ai Medici di spostarsi liberamente e in tutta sicurezza tra la sede del Governo in Palazzo Vecchio e la loro residenza in Palazzo Pitti, attraversando gli Uffizi. Cosimo, che al pari del suocero don Pedro governava con la paura, poteva quindi passare da un palazzo all'altro evitando la plebe, i complotti, le intemperie e i tumulti. Oggi il Corridoio di Vasari offre la collezione di autoritratti più nota e prestigiosa al mondo.

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L'altera Eleonora de Toledo non fu, per il discendente di Lorenzo il Magnifico, la prima scelta. Cosimo, che era alla ricerca di una sposa che potesse aiutarlo a rafforzare la sua posizione politica, inizialmente aveva puntato gli occhi sulla figlia di Carlo V, il potente sovrano a capo dell'impero sul quale «non tramontava mai il sole».

Ma ottenne in cambio un secco rifiuto e ripiegò sulla figlia del viceré di Napoli, che oltre a essere uno dei uomini più potenti della penisola (era di fatto il vero uomo forte di Carlo V in Italia) gli garantiva anche un'immensa dote e straordinarie ricchezze.

I documenti dell'Archivio di Stato di Firenze, Fondo Mediceo del Principato, rivelano che prima di Eleonora don Pedro de Toledo provò a piazzare presso la Corte medicea un'altra figlia, la primogenita Isabella. Ma Cosimo non ne volle sapere e motivò così il suo rifiuto: «È brutta e di cervello il ludibrio di Napoli. Intendo che il Vicerè ha spedito costà per impetrare da S.M.ta di appiccarmi addosso la sua prima figliuola. Non credo che quella permetta cosa tanto sproporzionata e disconveniente: che quando altrimenti fussi, confesserei ingenuamente di tenermi molto male satisfatto di tal cosa, iudicando che al prefato Viceré debbi parre di darmi la seconda».

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E la seconda fu: donna Eleonora, di cui quest'anno ricorre il cinquecentenario della nascita. La figlia di Pedro portò a Firenze il gusto, il fasto e l'atmosfera napoletana respirata alla corte paterna. La coppia fu affiatata e generò undici pargoli. Dieci anni dopo il loro matrimonio, grazie al tesoro di donna Eleonora fu terminata la costruzione di Palazzo Pitti, nuova residenza dei signori di Firenze e furono acquistati i terreni adiacenti che avrebbero formato il giardino di Boboli. Pare che Eleonora, che in quanto a salute non se la passava benissimo - aveva contratto la tubercolosi e soffriva di emorragie polmonari - considerasse l'Oltrarno più salubre rispetto all'affollato centro cittadino. Inoltre la figlia del viceré, abituata alla luce e ai colori di Napoli, si sentiva soffocata dalla struttura con poche finestre di Palazzo Vecchio, sua dimora iniziale a Firenze.

Anche i passi di don Pedro de Toledo - il viceré che calò il pugno di ferro su Napoli nel settembre del 1532, governando per ventuno anni e trasformando la città in una delle roccaforti più impenetrabili dell'impero spagnolo - risuonano nelle stanze di Palazzo Vecchio. Del viceré che più d'ogni altra cosa desiderava «essere temuto, anziché amato», come scrisse di lui Benedetto Croce, è il ritratto presente all'interno della scena che raffigura l'incoronazione di Carlo V a Bologna nel 1530 da parte di Clemente VII. Nell'angolo in basso a sinistra, figurano alcuni personaggi chiave della scena politica dell'epoca, tra cui Alessandro de' Medici, Francesco Maria della Rovere, Andrea Doria e, appunto, il nostro don Pedro, già legatissimo a Carlo V, anche se sarebbe diventato viceré solo due anni più tardi (Giorgio Vasari e Giovanni Stradano, Clemente VII incorona Carlo V in San Petronio a Bologna, 1556-1559, Sala di Clemente VII, Museo di Palazzo Vecchio).

Anche a Palazzo Vecchio, dove si condensano secoli di storia e di cultura (dai resti del teatro di età romana conservati nel sottosuolo ai sontuosi ambienti dei quartieri monumentali decorati da celebri artisti del XV e XVI secolo) è arrivata l'eco della campagna de «Il Mattino» per riportare a Napoli le spoglie di don Pedro, il cui cenotafio sorge nella splendida basilica di San Giacomo degli Spagnoli. Quel mausoleo, com'è noto, è vuoto: le spoglie del viceré riposano infatti lontano da Napoli, in qualche deposito della soprintendenza di Firenze, città dove don Pedro morì, nel 1553, prima che il suo mausoleo venisse portato a termine. Il viceré di Napoli, che si trovava nella città toscana per aiutare Cosimo nella guerra contro Siena, fu sepolto nel Duomo, con i dovuti fasti e a spese del genero. Ma poi i resti vennero portati altrove. Né Cosimo né don Pedro potevano immaginare che cinque secoli dopo le spoglie del viceré sarebbero andate perdute, smarrite negli infiniti labirinti della Storia e della nostra memoria. 

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