Qualcuno salvi Forcella:
tesori e secoli di storia
annientati dal degrado

Qualcuno salvi Forcella: tesori e secoli di storia annientati dal degrado
di Vittorio Del Tufo
Domenica 31 Gennaio 2021, 20:00
6 Minuti di Lettura

Ad bene agendum nati sumus, siamo nati per fare il bene

(il motto riportato sull'antico stemma del Sedile di Forcella).

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Secoli di Storia annientati dal degrado: Forcella, oggi, è il cuore malato della città, una cicatrice sul volto del centro antico. Il fermo-immagine del quartiere è la carcassa di uno scooter abbandonato davanti alla chiesa di Sant'Agrippino: ci siamo passati un mese fa, poi di nuovo dieci giorni fa, l'ultima volta ieri. È sempre lì, è diventata parte del paesaggio urbano. La carcassa di quello scooter ha smesso di infastidire i passanti, è diventata una sola cosa con le loro vite, simbolo di un destino tragico, quello dell'assuefazione.

A Forcella lo Stato, da tempo, non si fa vedere. Perché se si facesse vedere, dovrebbe cercare un posto dove nascondersi e vergognarsi. Le foto pubblicate in questa pagina testimoniano solo in minima parte la vergogna. Le strade invase da ogni genere di lordura, rifiuti che strabordano dai cassonetti, masserizie abbandonate e putrescenti, scheletri di materassi che restano a marcire per mesi, perché nessuno si cura di rimuoverli. Altro che murales della camorra; qui nemmeno la manutenzione ordinaria - il minimo sindacale, per una città che voglia dirsi normale - è garantita. E in alcuni vicoli del quartiere, soprattutto la zona compresa tra vico Scassacocchi, vico Pace e vico San Nicola dei Caserti, lo scenario urbano non è dissimile da quello descritto da Norman Lewis durante l'occupazione alleata: «Napoli era come una puttana malmenata da un bruto: denti spezzati, occhi neri, naso rotto (...). L'anima della gente era stata stuprata. Era veramente una città senza Dio». Con la differenza che oggi sono le strade, anziché le persone, ad avere denti spezzati, naso rotto e occhi neri. 

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Mentre le associazioni di cittadini urlano per farsi ascoltare dalle istituzioni, tutt'intorno avanzano degrado, illegalità e abusivismo. Non sono solo le ferite di un eterno terremoto, i palazzi ingabbiati dai tubi innocenti che risalgono al lontano 1980, la mafia della prostituzione che si è impossessata di intere strade a lasciare sgomenti i cittadini e far scappare i turisti (oggi pochi, ma domani torneranno, e bisognerebbe pensarci per tempo). Sono gli stessi simboli del quartiere che cadono a pezzi. Luoghi della memoria, come il complesso monumentale di Sant'Agostino alla Zecca: sventrato, sotto restauro da decenni. Solo il vicino chiostro, sopravvissuto al piccone del Risanamento, è stato recuperato grazie un'associazione culturale e all'iniziativa dei privati (famiglia Avallone). Oggi vi si accede dal secondo piano di un edificio ottocentesco adiacente la chiesa, con ingresso dal corso Umberto 174. Nell'aprile 2011 un blocco di piperno si staccò dal campanile crollando sulla strada, un anno dopo furono approvati i lavori di consolidamento della struttura. Che oggi come ieri, cade letteralmente a pezzi. Qui un tempo si tenevano le adunate popolari. Qui aveva sede il Seggio del Popolo. La chiesa fu chiamata così perché, nel 1681, vi fu edificato accanto l'edificio della Zecca. Lavori a rilento, cantiere infinito, ma dopo tanti ritardi c'è l'impegno della Sovrintendenza a dare finalmente lo sprint.

Dopo lo svuotamento del vecchio tribunale di Castelcapuano, nelle strade comprese tra vico Scassacocchi, via Giudecca Vecchia e via Pietro Colletta si è volatilizzato l'indotto derivante dalla vicinanza con gli uffici giudiziari; l'economia del vicolo vive oggi solo di droga e di prostituzione, soprattutto da quando i b&b e il mercato del food sono fermi per l'emergenza sanitaria. L'androne di vico Pace 7/b, la casa degli incontri pericolosi di Maradona e della foto-ricordo con i boss del clan Giuliano, è un viavai di prostitute africane che scappano alla vista della macchina fotografica. Siamo a pochi passi dall'arciconfraternita di San Nicodemo degli Apparatori, dove venivano a pregare re Ladislao e la sorella, la futura regina Giovanna II. Tracce di storia annientate dal degrado. Poco prima della biforcazione della strada di Forcella, nel vicoletto che un tempo si chiamava Ercolanense e poi dei Tarallari, sorge la chiesa di epoca angioina, e di impianto gotico, dedicata a Sant'Agrippino, che fu vescovo nel II secolo e paladino dei napoletani: defensor civitatis, prima che il culto del più famoso Gennaro prendesse il sopravvento.

Sull'architrave della facciata è tuttora riconoscibile la lettera Y, simbolo di Forcella e del Seggio. Una forcina di legno su uno scudo retto da putti. Y come l'antichissimo tracciato stradale di Forcella, che nella parte finale si biforca assumendo l'aspetto, appunto, di una forcella. L'emblema dell'armonia pitagorica, che oggi suona come uno sberleffo.

La chiesa nacque nei primi secoli del Cristianesimo proprio sulla dimora di Sant'Agrippino, il patrizio che si convertì e divenne vescovo e patrono di Napoli. Secondo numerosi studiosi (Celano, Capasso) il nucleo originale della chiesa sarebbe stato fondato sui resti del tempio dedicato dai napoletani a Ercole, il mitico eroe delle dodici fatiche. Altre fonti (Galante) collocano il tempio di Ercole nei pressi della chiesa di Santa Maria ad Ercole (poi Sant'Eligio dei Ferrari, o dei Chiavettieri). Deliziose dispute accademiche che risuonano vacue, a fronte di un degrado così esteso e spaventoso. Se nell'ultimo secolo è stata per gran parte chiusa, e gravemente danneggiata da bombardamenti e incendi, oggi a ridare aria e luce alla chiesa di Sant'Agrippino è l'associazione ParteNapoli, nata dalla volontà di restituire a Forcella un bene che appartiene alla sua storia e alla sua memoria.

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Oggi Forcella è un luogo che fa fatica a riannodare i fili della propria storia, a ritrovare il proprio passato. Eppure, dall'associazione Annalisa Durante - nata all'indomani della tragedia di Annalisa, colpita per errore il 27 marzo 2004 durante uno scontro a fuoco tra esponenti di clan rivali - all'associazione A voce d''e creature, fondata da padre Luigi Merola, sono in tanti a battersi per il riscatto del quartiere. Nei mesi scorsi abbiamo salutato con entusiasmo l'iniziativa della fondazione Altra Napoli di mettere a disposizione lo storico giardino della Disciplina della Santa Croce - la più antica confraternita della città, nel cui giardino venne ordita la celebre Congiura dei Baroni - per farne la sede di una Piccola Orchestra dei bambini di Forcella. Più di una lodevole idea: un segnale, una luce nel buio, sulla scia di iniziative analoghe germogliate in altri quartieri popolari della città, come la Sanità. Altro segno importante, tra tanto degrado, è la «Casa di vetro» in via delle Zite (temporaneamente chiusa per il Covid), un luogo dedicato ai bambini del quartiere, ai quali vengono offerti spazi per lo sport, il gioco, la lettura e lo studio.

A muoversi è una rete spontanea di soggetti diversi, uniti dal comune desiderio di unire le forze per dare una nuova speranza al quartiere: l'associazione dei commercianti della zona, alcuni di antica e prestigiosa tradizione, interessati a offrire il proprio contributo anche in virtù delle potenzialità di sviluppo turistico di un quartiere dove sorgono alcune antichissime pizzerie (Michele, Trianon); il teatro Trianon, che in tante forme con la sua attività sostiene il riscatto e costituisce un importante presidio di cultura; il Centro per i Beni Architettonici e Ambientali e per la Progettazione urbana della Università Federico II, che assicura il sostegno culturale alla rinascita del quartiere e dei suoi siti monumentali, tanto che già dall'anno scorso gli studenti del Master Archeologia e Architettura si sono interessati della rinascita del sito archeologico del Carminiello ai Mannesi, ancora oggi un luogo sconosciuto a tanti napoletani.

Non vogliamo rassegnarci all'idea che questo antico e nobile quartiere, custode di una storia millenaria, sia ridotto oggi a un tappeto di stracci, nel disinteresse delle istituzioni che avrebbero il compito di riqualificarlo, e invece assistono inerti allo scempio. Qualcuno salvi Forcella perché Forcella non si salverà da sola, nonostante gli sforzi, lodevoli e disperati, delle reti civiche e delle associazioni di volontariato, che non si arrendono a un destino di rovina. 

(1/ continua

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