Forcella nobilissima:
da Pitagora a Virgilio
storia sotto le macerie

Forcella nobilissima: da Pitagora a Virgilio storia sotto le macerie
di Vittorio Del Tufo
Domenica 7 Febbraio 2021, 20:00
6 Minuti di Lettura

«Vicolo: una croce di case
che si chiamano piano
e non sanno ch'è paura
di restare sole nel buio»

(Salvatore Quasimodo)

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Narra un'antica leggenda che Forcella, nella notte dei tempi, era infestata dai rettili. E poiché molto prima di San Gennaro il protettore della città era Virgilio, toccò a lui, il Poeta Mago, annientare questa presenza malefica nel quartiere. Dopo aver catturato una serpe enorme e velenosissima, Virgilio la uccise e la imprigionò sotto due metri di terra. Come per incanto, da quel momento i rettili smisero di terrorizzare gli abitanti di Forcella, ma Virgilio fece di più: liberò l'intera città dalla loro presenza. Di questa favola pagana si impossessò il Cristianesimo, che ovviamente raccontò la storia in tutt'altro modo, attribuendo alla Madonna, anziché al Mago, il merito di aver liberato la città dai serpenti. Nel luogo del prodigio nacque la chiesa di Santa Maria ad Agnone, che si affaccia sullo slargo di vico della Serpe, una traversa di via Oronzio Costa.

Dobbiamo essere grati alla toponomastica, perché spesso è solo grazie ad essa se riusciamo a orientarci nei nostri paesaggi affollati di macerie, ritrovando così le nostre radici e il nostro passato. Attraversare Forcella nello spazio equivale ad attraversarla nel tempo: il degrado di oggi è spalancato su un abisso di memorie, di miti e credenze. Tracce della grande Forcella del passato convivono con gli orrori del presente. La nobiltà perduta rivive nei palazzi storici, oggi abbandonati al degrado. L'edificio di via Tribunali 169, sulla cui facciata era stato realizzato il murale dedicato a Luigi Caiafa, il diciassettenne ucciso da un poliziotto durante una rapina, non è un edificio qualunque, ma il monumentale palazzo Caracciolo dell'Arena, che un tempo inglobava l'antico e prestigioso sedile nobiliare di Capuana, a cavalcavia sulla strada che oggi si chiama vico Sedil Capuano. Il palazzo, del 400, fu ristutturato nel 700 dal marchese dell'Arena con la bella facciata a stucchi rococò e il portale di gusto sanfeliciano. Tracce di storia annientate dal degrado, aggredite continuamente e mortificate dalla presenza criminale: un crudele impasto di memorie andate in rovina, nell'indifferenza delle istituzioni che avrebbero il compito di salvaguardarle.

Forcella oggi è memoria che cade a pezzi. Ma basta fare attenzione ai dettagli per attraversare secoli di storia. Numerosi palazzi antichi, deturpati da superfetazioni e proterve balconate in cemento armato, conservano in qualche tratto finestre quattrocentesce, cornici antiche. Qui il microabusivismo dilaga, ben oltre i murales di camorra, i quali non sono altro che una tronfia esibizione muscolare di una prepotenza che nasce dalla certezza dell'impunità.

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Non solo periferia in pieno centro: Forcella è custode di segreti millenari, nonché di prodigiose geometrie e arcani simbolismi. A cominciare dalla lettera magica dei Pitagorici: la Y. Nella Y di Forcella vi sono la memoria e il destino, il marchio e le radici di uno dei quartieri più antichi della città. Nella tradizione esoterica la Y indica lo sdoppiamento, la scelta tra due sentieri, il bivio tra virtù e peccato. E ancora: la croce di Cristo e l'albero della vita. Anche sullo stemma dell'antico Seggio di Forcella, poi confluito in quello di Montagna, la Y campeggia accanto al motto

Ad bene agendum nati sumus (siamo nati per fare il bene). Secondo gli appassionati di esoterismo il tracciato urbanistico di Forcella sarebbe dunque un emblema dell'armonia pitagorica, e quasi un atto di consacrazione del quartiere (e della città) alla divinità matematica e in particolare alla scuola fondata da Pitagora a Crotone intorno al 530 a.C.

C'è stato un tempo in cui Forcella era famosa nel mondo intero perché in queste strade, oggi sommerse dai rifiuti, atleti belli come divinità dell'Olimpo praticavano l'educazione del corpo e dello spirito nel mitico edificio del Ginnasio, che sorgeva nella zona del corso Umberto, nei pressi delle mura meridionali, vicino all'odierna piazza Nicola Amore.

L'atleta più bello e famoso di tutti si chiamava Melancoma, ne parla Bartolommeo Capasso nel suo libro più importante, «Napoli greco-romana».

«È caro agli Dei chi muore in giovane età. Così Achille, Patroclo, Ettore e tutti gli altri, che sarebbe lungo il nominare». Quando il grande oratore Dione Crisostomo, conosciuto anche con il soprannome «Bocca d'oro», giunse a Napoli attirato dalla fama del Ginnasio e dei giochi che vi si svolgevano, l'atleta «più bello e forte di tutti», Melancoma, era morto da appena tre giorni. A raccoglierne lo scettro fu il suo emulo, che si chiamava Iatrocle. Ma Melancoma, il favorito di Tito, rimase anche il più amato dai cittadini; nelle gare di lotta «vinceva stancando l'avversario. E alla fatica era così indurito, che poteva restare due giorni interi con le braccia tese». Fu Crisostomo a recitare l'orazione funebre per Melancoma. Non era raro che imperatori del calibro di Marco Aurelio, Tito e Nerone assistessero alle gare dei giovani atleti napoletani, che al Ginnasio imparavano a maneggiare con destrezza l'arco, la lancia e lo scudo e che rappresentavano, per la loro avvenenza fisica, il modello dell'eroe classico: fisico scolpito e coraggio da vendere. Gli esercizi praticati nel Ginnasio erano quelli classici dell'età greco-romana: salto in alto, salto in lungo, lancio del giavellotto, lancio del disco, corsa e lotta. Quel tipo di lotta, in particolare, che ancora oggi è conosciuta come lotta greco-romana. Nel complesso dell'Annunziata, in un androne accanto alla Ruota degli Esposti, è ancora visibile una delle lapidi infisse a ricordo di quell'antica gloria.

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Furcillensis era, sin dall'antichità, il nome attribuito alla regione Termense. Si trattava di un luogo molto esteso e particolarmente ricco di acque: un'intera insula di Neapolis, tra l'attuale via Duomo e Forcella, era dedicata ai bagni termali. Un quartiere tra i più rinomati nel quale si riversavano persone di ogni ceto sociale: per fare bagni o massaggi, per praticare ginnastica o semplicemente per rilassarsi, magari dilettandosi nel canto o nella recitazione. Ciò che resta delle antiche terme è visibile nei sotterranei dell'Archivio Storico del Banco di Napoli, in via Tribunali. Altre tracce sono visibili nell'area archeologica di San Carminiello ai Mannesi. Ricca di terme era la zona di San Nicola dei Caserti, dove sorge l'omonima chiesa oggi ridotta a rudere. San Nicola dei Caserti, oggi il cuore malato di Forcella, era anche il luogo dove si svolgevano le gare più famose della Napoli greca: le corse lampadiche, dedicate alla sirena da cui tutto nacque, Partenope. E vico Lampadio era il nome con il quale anticamente veniva denominato l'attuale vicoletto della Pace. I partecipanti dovevano correre di notte tra due ali di folla stringendo nel pugno una fiaccola accesa. Percorrendo le strette viuzze che intersecano via Giudecca Vecchia, nel cuore di Forcella, gli atleti raggiungevano il sepolcro innalzato a Partenope, che sorgeva da qualche parte nei pressi del porto, oltre l'attuale corso Umberto (l'esatta ubicazione non è mai stata ricostruita con certezza). Il premio spettava al primo corridore che fosse riuscito a raggiungere il traguardo senaa far spegnere la fiaccola.

Cosa è rimasto, oggi, di quell'incanto? Poche tracce, smarrite nel degrado e nei labirinti della toponomastica. Da vico Zuroli, che rende il nome dalla famiglia de' Zurli che vi abitava, al vico delle Zite, come venivano chiamate in napoletano le donne non maritate, o zitelle; dal vico Scassacocchi, chiamato così, pare, perché era (ed è) talmente stretto da causare la rottura delle carrozze che vi transitavano (cocchi), al vico Pace e alle sue antiche memorie.

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Nessun destino è irredimibile, vogliamo credere che neanche quello di Forcella lo sia. Forcella è solo un luogo della città che, più di altri, fa fatica a riannodare i fili della propria storia, a ritrovare il proprio passato.

Ma Forcella siamo noi, e nessuno può girarsi dall'altra parte.

(2/ fine

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