Gambrinus, che storia: il Dio della Birra e un patto col diavolo

Ma il vero mistero resta legato alla nascita del nome Gambrinus

Il Dio della Birra al Gambrinus
Il Dio della Birra al Gambrinus
di Vittorio Del Tufo
Domenica 5 Marzo 2023, 12:00
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«For a quart of ale is a dish for a king»
(Ché un boccale di birra è un pasto da re)
William Shakespeare, da Il racconto d'inverno

* * *

Narra un'antica leggenda che in età medievale, nel territorio delle Fiandre, un giovane spiantato, tale Gambrinus, vendette l'anima al diavolo pur di conquistare una bella ma assai capricciosa fanciulla, Flandrine, la quale per volere del padre doveva essere data in sposa solamente ad un nobile. Poiché, nonostante l'intercessione di Satana, la scontrosissima Flandrine continuava ad essergli ostile, il giovane Gambrinus decise di togliersi la vita. Ma intervenne nuovamente il diavolo proponendogli, stavolta, un patto diverso: in cambio della sua anima, gli avrebbe insegnato a produrre una bevanda con malto e luppolo. Bevanda che, grazie allo zampino di Lucifero, ebbe un enorme successo. Gambrinus diventò ricco e famoso: quando gli venne offerto il titolo di Duca, sdegnosamente rifiutò, autoproclamandosi il Re della Birra. E trascorse felicemente il resto della sua vita bevendo un'infinità di pinte. 

Si può raccontare la storia di un locale storico famoso in tutto il mondo - il Gambrinus, appunto - partendo da una leggenda? Si può, perché quel nome affonda le radici in un passato oscuro e tenebroso, ancora avvolto nel mistero. E la storia del giovane spiantato diventato Re della Birra grazie a un patto col diavolo è solo una delle leggende - tutte ambientate nelle Fiandre, l'attuale Belgio - legate alla diffusione della bevanda più famosa del mondo. L'unica certezza, in questa storia, è che il nome Gambrinus è associato alla birra come la figura di Bacco, divinità della religione romana, lo è al vino. E anche nel caso della birra è stata scomodata una divinità: Iside, la Dea egizia della maternità e della fertilità, che avrebbe insegnato a noi poveri e assetati mortali l'arte della birra.

Può darsi che Satana non c'entri nulla.

Che il diavolo, per una volta, non ci abbia messo la coda. Il nome Gambrinus deriverebbe, secondo le ipotesi più accreditate, dal Re delle Fiandre, Giovanni I di Brabante, o da Giovanni di Borgogna, detto Giovanni senza paura. Il primo, Giovanni I di Brabante, era soprannominato «il vittorioso» e visse nelle Fiandre nel tredicesimo secolo: il suo nome originale sembra sia stato Jan Primus, che venne in seguito storpiato in Gambrinus. Di lui si sa che componeva canzoni, che ebbe svariati figli da numerose amanti e che un suo discendente, Giovanni IV di Brabante, viene considerato una figura molto importante nella storia della birra. Pare che fu tra i primi ad utilizzare il luppolo, facendo macerare e bollire orzo e fiori di luppolo in un alambicco.

Era certamente un cultore della bevanda ai cereali Jean sans Peur, Giovanni senza paura, da alcuni ritenuto inventore della birra con malto e luppolo. Il soprannome «Senza paura» gli venne attribuito durante la guerra contro il Sultano turco Bayezid. Personaggio di spicco nella Guerra dei Cent'anni, morì assassinato dalla scorta del Delfino di Francia, Carlo, in un incontro che, invece, avrebbe dovuto sancire la pace. Secondo la leggenda il cavaliere che lo trafisse (con un inganno) lo affrontò facendo riferimento alla bevanda «magica» (perché in grado di conferire forza a chiunque l'avesse bevuta) inventata dal suo rivale:

«So che è la birra, da voi bevuta prima di affrontare il cimento, che vi dà forza. Avutane paura, ho dovuto colpirvi alle spalle per avere qualche speranza di sopravvivere».

Tutto vero? Tutto falso? La storia di Gambrinus, il Re della birra, è disseminata di misteri, di zone d'ombra, di piste affascinanti ma prive di basi storiche. Una di queste porta al British Museum, dove è conservata l'immagine (del 1543) di un certo «Ganvrivius, re del Bramante», raffigurato - come spiega la giornalista Simona Vitagliano, che ha dedicato all'argomento numerosi studi - con una folta barba rossa e in armatura, vicino ad un covone di grano, con una corona floreale fatta, pare, proprio di infiorescenze di luppolo. L'immagine è dello scultore e intagliatore tedesco Peter Flötner, ed è associata a un poema scritto in quello stesso anno (1543) dal tedesco Burkart Waldis, secondo il quale Ganvrivius, o Gambrinus, avrebbe appreso l'arte della birra dalla Dea Iside, simbolo di fertilità.

Difficile farsi strada in questo labirinto. Quando si parla del Dio della Birra storia e leggenda si confondono. Va detto che la birra è una delle bevande più antiche prodotte dall'uomo: le prime testimonianze risalirebbero ai Sumeri e in Mesopotamia sembra sia nata la professione del birraio. Certo è che veri artefici della diffusione della bevanda in Europa furono le tribù Germaniche e Celtiche. Queste ultime in particolare si stanziarono in Gallia, in Britannia e soprattutto in Irlanda, dove sopravvive un'antica leggenda secondo cui gli irlandesi discendono da un popolo di semidei chiamati Fomoriani, che avevano la potenza e l'immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra. 

Ma il vero mistero è legato alla nascita del nome Gambrinus. Qui, come si è visto, nessuna certezza. Alla corte di Carlo Magno pare vi fosse un mastrobirraio di nome Gambrinus, mentre un'altra traccia conduce allo storico tedesco di fine 400 Johann Georg Turmair, detto Aventinus, il quale narra nei suoi Annales Bajorum (Annali Bavaresi) di tale Gambrinus, figlio di Marsus, un re germanico dell'era precristiana noto come un grande tracannatore di birra. Gambrinus avrebbe ereditato dal padre non solo la corona ma anche la passione per la bevanda a base di malto e luppolo; da qui il soprannome di Dio della Birra.

Altre piste, altre suggestioni. V'era, nella Bruxelles del XII secolo, una potente corporazione dei birrai, che per eleggere il capo organizzò una prova di forza: solo chi avesse trasportato un intero barile colmo di birra per una certa distanza sarebbe divenuto il Re dei Birrai. La spuntò un certo Jan Primus (un nome che ricorre, dunque), il quale, astutamente, prima di cimentarsi nella gara aprì il barile tracannandone tutto il contenuto. Così trasportò una giara vuota terminando la prova agilmente. E la folla lo acclamò: lunga vita a Jan Primus, Signore della Birra!

Il resto è storia, e la storia ci porta dritti a piazza Trieste e Trento, dove nel 1860, al piano terra dell'allora Palazzo della Foresteria, l'imprenditore Vincenzo Apuzzo decise di dedicare a Gambrinus, Dio della Birra, un locale che sarebbe diventato invece il tempio del caffè napoletano. Ristrutturato nel 1890 il Gran Caffè Gambrinus prosperò fino al 1938 quando il prefetto Marziale ne decise la chiusura perché considerato luogo di ritrovo antifascista. Nel dopoguerra parte delle storiche sale furono destinate ad ospitare il Banco di Napoli, fino a quando, nel 1952, l'imprenditore napoletano Michele Sergio riuscì a far riaprire i battenti, rioccupando parte delle sale, quelle che si affacciavano su via Chiaia. La gestione venne portata avanti dai suoi figli Arturo e Antonio, i quali, dopo una controversia con il Banco di Napoli, riuscirono a recuperare i locali occupati dalla banca. Lo storico caffè è sbocciato nel periodo della Belle Epoqué: tra i clienti fissi Gabriele D'Annunzio, che scrisse al Gambrinus i versi della celebre A' vucchella, Matilde Serao che fondò il quotidiano Il Mattino seduta proprio ai tavolini del caffè, e ancora Benedetto Croce, Lord Alfred Douglas, Ernest Hemingway e il filosofo francese Jean-Paul Sartre che scrisse pensieri su Napoli ai tavolini del Gambrinus «davanti a una granita che guardavo malinconicamente mentre si scioglieva nella sua coppa di smalto». Storia, e storie, di un locale affacciato sulla leggenda. 

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