Il barone rampante
folgorato dal Mito
e la favola del Vésuve

Il barone rampante folgorato dal Mito e la favola del Vésuve
di Vittorio Del Tufo
Domenica 25 Settembre 2022, 20:00
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«È per l'amore: voi certamente sapete che tutte le cose in Napoli, dalle pietre al cielo, sono innamorate»

(Matilde Serao, Leggende napoletane)

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Alla metà dell'Ottocento Napoli attirava viaggiatori provenienti da tutta Europa. Era una calamita per gli uomini di scienza, che studiando le eruzioni del Vesuvio cercavano di catturare i segreti della nascita della Terra. Era un oggetto del desiderio per i pittori, i vedutisti, gli appassionati di antiquaria e gli hivernants, come venivano chiamati i viaggiatori provenienti dalle regioni più fredde dell'Europa che sceglievano di trascorrere l'inverno al clima mite del Mediterraneo (i medici sostenevano che cavalcare alle pendici del Vesuvio e mangiare l'uva delle terre vulcaniche fosse un'ottima terapia contro le malattie e gli acciacchi!).

Insomma l'aria di Napoli era un balsamo per la salute e gli hivernants non desideravano altro che svernare alla Chiaja, ovvero la grande spiaggia che avrebbe dato il nome a uno dei quartieri più importanti della città. Negli anni 70 dell'800 un imprenditore e banchiere belga, Oscar du Mesnil, ex diplomatico e consigliere d'ambasciata, intuì che l'aria salubre di Napoli avrebbe assicurato anche ottimi affari. Balsamo per la salute, certo, ma anche per il portafoglio: esattamente come le acque termali di Ischia, che in quel periodo venivano caricate in barili e trasportate via mare. Così du Mesnil, che aveva lo sguardo lungo, investì un mucchio di quattrini in immobili lungo il litorale della Chiaja in direzione nord, bonificando interi tratti di litorale a ridosso del quartiere popolare di Santa Lucia. Per sé e per sua moglie il barone costruì una splendida residenza fronte mare: il Palazzo du Mesnil, alla cui realizzazione chiamò architetti e artisti di fama europea. Tra questi il grande scultore napoletano Vincenzo Gemito, che realizzò per il suo protettore (du Mesnil gli aveva messo a disposizione una piccola fonderia a Mergellina) una statua in terracotta conservata al Musée d'Orsay di Parigi.

L'instancabile banchiere, in ossequio alla moda del termalismo che in quel periodo andava diffondendosi in tutta Europa, decise di realizzare anche uno stabilimento balneare, costruendo a poca distanza dalle mitiche sorgenti d'acqua del Chiatamone una struttura modernissima con oltre duecento vasche e grandi piscine per il nuoto. Il successo fu tale che nel 1879 il geniale e piuttosto rampante barone annunciò alla stampa di voler costruire un albergo proprio alle spalle dello stabilimento. Un grande albergo che avrebbe offerto, come scrisse La Gazzetta Letteraria nell'agosto di quell'anno, «servizi a buon mercato simili a quelli che si trovano in Svizzera». Nasceva così, nel 1882, alla vigilia della grande stagione del Risanamento e negli anni in cui Napoli ricavava dal turismo ancora tanta ricchezza, l'Hôtel (e poi Grand Hôtel) du Vésuve. Un albergo che nelle intenzioni del suo fondatore doveva essere una gemma incastonata nel cuore del lungomare più bello del mondo.

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Narra un'antica leggenda che Vesuvio era un nobile di bell'aspetto e dal temperamento focoso, facile agli scatti d'ira e dal carattere imprevedibile, appartenente a uno dei primi Seggi della città e pazzo d'amore per una fanciulla chiamata Capri. Lei era la figlia prediletta del potente signore di una casata avversaria. La nobile famiglia Capri non vedeva di buon occhio l'amore tra i due ragazzi, e lo ostacolò in tutti i modi. Per mettere fine alla relazione, la famiglia di lei decise di imbarcare la sventurata ragazza a bordo di una feluca e mandarla in esilio. Quando vide svanire il suo sogno d'amore, il giovane cavaliere si trasformò in una montagna dal ventre infuocato, pronto ad esplodere.

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Evoca il mito il nome dell'albergo affacciato sul Golfo. Mito che a Napoli è sempre presente, come un respiro potente che arriva dal passato. Du Mesnil era convinto che la porta d'ingresso nel mito fosse proprio quel tratto di litorale, di fronte a Megaride e a Castel dell'Ovo, dove costruì il suo albergo. Il quale divenne subito mèta dei turisti internazionali che all'epoca giungevano a Napoli. Due anni dopo l'inaugurazione, il Vésuve ospitò la regina Victoria di Svezia e il suo medico personale, Axel Muntle, scrittore già affermato.

Un delizioso libro scritto da Annunziata Berrino (Guida editori) rievoca quegli anni (e i successivi, fino ai giorni nostri) raccontando il legame indissolubile tra il turismo a Napoli e la cultura europea e mondiale. Inizialmente l'ingresso principale non era sul mare, ma sul lato interno, più comodo da raggiungere dal centro della città. Il barone volle che il vestibolo e le sale d'ingresso fossero tutte secondo la moda di Pompei.

Il barone divideva la proprietà dell'immobile con un altro imprenditore belga, l'ingegner Théophile Finet, ma a gestire l'albergo erano Ferdinando e Raffaele Fiorentino, due fratelli di Sorrento, dove la famiglia conduceva una locanda. Per tutta la prima metà del 900, l'attore principale sulla scena del Vésuve sarà un altro Fiorentino, Onorato: albergatore, manager e uomo di marketing, per promuovere l'immagine dell'albergo, da lui gestito, si affidò alla celebre casa editrice e tipografica Richter, che gli mise a disposizione ogni genere di dépliant, manifesti, etichette e cartoline. Furono realizzati sotto la sua gestione la pensilina all'ingresso di via Partenope, i sei bow-window all'ultimo piano e un ristorante aperto al pubblico e accessibile dalla strada.

Tra il 1919 e il 1922 la proprietà del Vésuve passa alla famiglia Fiorentino, gestori dell'albergo dal lontano 1882. Costo: un milione di franchi belgi, pari a 800mila lire italiane. Nel 1931 nasce il Grand Hôtel du Vésuve Fiorentino, con un capitale di 3 milioni di lire. L'Italia stava entrando nel ventennio buio della dittatura fascista, ma i grandi alberghi di lusso (come il Santa Lucia, aperto nel 1906, e l'Excelsior, inaugurato nel 1908) continuarono ad attirare turisti. E non solo: il 24 ottobre 1922 Benito Mussolini, a capo delle camicie nere, soggiornando a Napoli raccolse al Vésuve i suoi sostenitori. Diciotto anni più tardi, nel 1940, sarà proprio Mussolini, che aveva vietato l'uso di parole straniere, l'artefice del cambio di denominazione: il Grand Hôtel du Vésuve diventava Grande Albergo Vesuvio.

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Napoli, aprile 1917. Una foto ritrae un giovane uomo appoggiato alla finestra della camera 114 del Vésuve, con indosso un camicione informale. A scattare la foto è Jean Cocteau, l'uomo ritratto in controluce è Pablo Picasso (1881-1973). Il celebre drammaturgo e il grande pittore andaluso erano a Napoli per realizzare i costumi e le scene di un nuovo spettacolo dei Balletti Russi. Al Vesuvio alloggiò più volte - e vi morì, il 2 agosto 1921 - il grande tenore Enrico Caruso. Appena 48enne, già ammalato, rientrato dagli Stati Uniti in Italia convalescente, inizialmente si stabilì a Sorrento, ospite del Gran Hôtel Excelsior Victoria, della stessa famiglia Fiorentino. Quando le sue condizioni si aggravarono, fu trasportato via mare a Napoli, proprio nell'albergo affacciato sul mare che tanto amava. La fotografia della salma esposta nel giardino d'inverno dell'albergo fece il giro del mondo.

Anche il Vesuvio, dopo la lunga notte della guerra, ripartì tra le macerie. Oltre due anni ci vollero per ricostruirlo e riprogettarlo, con due nuovi piani. La prima firma dopo la ripartenza fu quella del Capo dello Stato, Luigi Enaudi; poi ricominciò la girandola degli ospiti di prestigio, da Ranieri di Monaco e Grace Kelly a re Gustavo di Svezia, da Rita Hayworth a Marcello Mastroianni, da Juan Carlos di Spagna a Roman Polanski, da François Mitterand a Rudolf Nurejev, da Lucio Dalla a Riccardo Muti. Poi il G7 del 1994, le foto ricordo dei Grandi della Terra, l'incanto del Plebiscito senz'auto, le delegazioni della Casa Bianca, dell'Eliseo e Palazzo Chigi ospiti dell'albergo affacciato sul mare. In quei giorni Napoli tornò capitale e stregò il mondo; l'Italia aveva già organizzato due vertici, entrambi a Venezia, e quell'evento internazionale svoltosi all'ombra del vulcano - fu il Presidente Ciampi a volerlo - accelerò la rinascita della città, che usciva da lunghi anni di autocommiserazione e fango. Se Rinascimento (per quanto effimero) fu, questo si celebrò anche davanti all'albergo nato dall'intuizione di un barone rampante. 

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