All'improvviso il Mito:
riemerge dal buio
la favola di Parthenope

All'improvviso il Mito: riemerge dal buio la favola di Parthenope
di Vittorio Del Tufo
Domenica 18 Aprile 2021, 20:00
6 Minuti di Lettura

«Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta»

(Matilde Serao, Leggende napoletane).

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Napoli è una città in cui anche le favole danno il nome ai luoghi. Il Mito delle Origini vuole che la città sia stata edificata sul sepolcro di Partenope, la dea Sirena. Dunque a Megaride, dove si narra che Partenope (dal greco: vergine con voce di fanciulla) venne a morire. A Partenope - lo scrigno-madre, demone marino o uccello antropomorfo, umanizzata al punto da morire per amore e per questo simbolo di un destino tragico - i fondatori della città dedicarono un grande sepolcro, oggi perduto, che infiamma da sempre la fantasia degli storici, degli archeologi e dei poeti.

Fior di studiosi, da Bartolommeo Capasso a Mario Napoli, si sono interrogati in passato sul tempio perduto di Partenope e sulla sua esatta ubicazione. E nel corso dei secoli sono stati indicati vari siti. Caponapoli, l'Acropoli della città greco-romana, dove si veneravano gli dei, si combattevano i dèmoni, si officiavano sacrifici rituali; o la zona ai piedi del Monte Echia, che sarebbe poi diventata Santa Lucia inglobando molti misteri dell'antica Megaride; o, ancora, il vasto pianoro dove ora si trova il teatro San Carlo. La leggenda del «sepolcro perduto» si incrocia con il mito stesso della fondazione di Napoli, trasfigurato dalla fantasia e dalle tradizioni popolari.

Leggende a parte, un tempio dedicato al culto della Sirena venne realmente innalzato ma fuori le Mura, sulla fascia costiera, nella zona orientale di Napoli. Ed è sugli abissi del genius loci che si affaccia la nuova stazione Duomo del metrò, in piazza Nicola Amore, già definita la stazione-museo più bella del mondo proprio perché offrirà ai passeggeri la possibilità di ammirare i tesori del passato ritrovati nel sottosuolo. L'apertura della stazione, con annesso polo museale, è prevista per questa estate.

Anche se lo stato della ricerca non consente ancora di dare risposte definitive, gli studiosi sono concordi nell'ipotizzare che un luogo di culto dedicato a Partenope sorgesse nel luogo dove si svolgevano le gare più famose della Napoli greca: le corse lampadiche. È lo stesso sito dove l'imperatore Augusto, nel I secolo dopo Cristo, fece edificare un nuovo tempio (romano) che accolse i famosi Giochi Isolimpici.

L'appuntamento - per viaggiare ancora una volta nel tempo con L'Uovo di Virgilio - è dunque all'interno del cantiere, ormai quasi ultimato, della stazione firmata dagli architetti Massimiliano e Doriana Fuksas. Un'opera colossale (e travagliata, proprio per i continui ostacoli derivanti dal ritrovamento di preziosissimi reperti archeologici) che si sviluppa fino a una profondità di 40 metri sotto il livello stradale. Il tempio dei Giochi Isolimpici di Augusto si trova a una decina di metri di profondità. Era costruito su un podio posto al centro di un corridoio, o ambulacro, affacciato su uno spazio aperto, delimitato da un portico, identificabile con l'antico Ginnasio dove si allenavano gli atleti. Un luogo delle meraviglie affacciato sul mare.

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I Giochi Isolimpici furono istituiti dall'imperatore proprio a imitazione dei Giochi che si svolgevano in Grecia, nel santuario di Olimpia, come è ormai accertato proprio grazie allo straordinario lavoro degli archeologi della Soprintendenza. Durante gli scavi sono venuti infatti alla luce, di questo tempio, colonne e decorazioni di marmo e un bellissimo pavimento a mosaico. Alla metà del II sec. d.C. l'edificio sacro è stato ricostruito (come gran parte della città, semidistrutta dall'eruzione del Vesuvio del 62 e 64 d.C. e dal terremoto del 78 d.C.) e circondato da un ambulacro rivestito in lastre marmoree. Il piano del tempio fu allungato, le mura del podio ricostruite e la prima decorazione architettonica sostituita. Il complesso si affacciava su un grande spazio aperto sul mare, forse destinato agli allenamenti degli atleti, bordato, come dicevamo, da un portico colonnato.

Lo scavo ha restituito circa mille frammenti di lastre in crollo, in gran parte oggi ricomposti e restaurati, che riportano i nomi degli atleti vincitori dei Giochi, la loro città di provenienza e le specialità nelle quali avevano concorso. «Un'iscrizione scoperta nella stessa città di Olimpia riporta proprio il regolamento dei giochi napoletani, che si svolgevano ogni 5 anni», ci racconta l'architetto Teresa Tauro.

Il programma prevedeva gare ippiche, atletiche e musicali. Tra le gare ippiche figuravano la corsa del cavallo montato e del carro sia a due che a quattro cavalli; tra quelle atletiche la corsa dello stadio (circa 200 metri) e del doppio stadio, il pentathlon, la lotta, il pugilato, il pancrazio (disciplina sportiva in cui si fondevano pugilato e lotta), la corsa armata e acrobatica. Alle competizioni musicali e teatrali partecipavano flautisti, citaredi e poeti. Ai vincitori era assegnata una corona di spighe, in onore della Sirena, ma anche premi in denaro per gli agoni musicali e teatrali.

I Giochi erano ancora attivi a Napoli nella prima metà del III secolo d. C., periodo al quale risale l'ultima sistemazione del tempio e del portico con le iscrizioni. I giovani atleti che partecipavano agli Isolimpici si allenavano nel Ginnasio e facevano impazzire di passione gli imperatori romani. È documentata l'attrazione dell'imperatore Tito nei confronti del valoroso Melancoma, famoso per la sua avvenenza e la sua prestanza fisica.

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Il tempio Isolimpico fu fondato sui resti di un complesso edilizio più antico (quarto secolo a.C.) teatro dell'antica gara della lampadedromia, in onore di Partenope.

I partecipanti dovevano correre di notte tra due ali di folla stringendo nel pugno una fiaccola accesa. Percorrendo le strette viuzze della città, gli atleti raggiungevano il sepolcro innalzato a Partenope, che sorgeva nei pressi del Porto e nell'area oggi corrispondente a piazza Nicola Amore. La difficoltà consisteva nel non far spegnere la fiaccola, e la palma del vincitore spettava al primo corridore che fosse arrivato al traguardo con la face ardente.

Il Tempio dei Giochi Isolimpici, riportato finalmente alla luce dagli archeologi, ci riporta dunque a un passato ancora più remoto, mitico e leggendario, all'epoca della Napoli greca e delle sue passioni. Ci riporta, soprattutto, alla grecità che fa parte della nostra storia e della nostra cultura. Come scrisse l'archeologo Amedeo Maiuri, a proposito dei Giochi Isolimpici, «Napoli ebbe, unica città dell'Occidente, il privilegio di celebrare i giochi italici in onore di Augusto. E quel privilegio non era dovuto tanto a personale predilezione dell'imperatore o a ragioni di opportunità politica, quanto piuttosto alla sua intatta grecità: che nel generale decadimento dell'ellenismo della Magna Grecia e della Sicilia, Neapolis, ancora greca di lingua, di istituzioni, di culti e di riti e di costumi, poteva essere considerata, nella prima età dell'Impero, la metropoli dell'ellenismo d'occidente».

Ma è soprattutto al culto della Sirena Partenope, importato dai fondatori della città - i navigatori greci provenienti dalla lontana isola di Rodi - che ci riporta il tempio romano voluto da Augusto. Al di sotto del Tempio Isolimpico è possibile riconoscere, infatti, una destinazione di culto.

I due complessi sono sovrapposti e sorgono immediatamente fuori le Mura greche di fortificazione, in prossimità del litorale. Come spiegano gli archeologi Giuliana Cavalieri Manasse, Beatrice Roncella e Daniela Giampaola nel documento dal titolo «Nuove Riflessioni sul Complesso Monumentale di piazza Nicola Amore a Napoli», al santuario del quarto secolo a.C. «si associano fossati rituali con offerte animali e ceramica da libagione e, in un momento di poco successivo, incinerazioni di infanti». Quel complesso aveva, dunque, una funzione sacra: fu innalzato onore di Partenope, ovvero del mito fondativo della città.

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Eccola, forte, fortissima, la suggestione degli archeologi e degli studiosi. Che l'ubicazione del santuario dei Giochi Isolimpici possa identificarsi con un luogo connesso alla memoria della Sirena. Vi era un nesso tra i Gochi sacri in onore di Augusto e quelli per Partenope: siamo negli abissi della leggenda, nel cuore incandescente del genius loci. Nella viscere della terra c'è la nostra memoria. Teniamocela stretta. 

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