Dudù, il Barone e Agonia:
quella caccia al tesoro
nei vicoli della memoria

Dudù, il Barone e Agonia: quella caccia al tesoro nei vicoli della memoria
di Vittorio Del Tufo
Domenica 15 Novembre 2020, 20:00
6 Minuti di Lettura

«Dudù, noi a Napoli campiamo solo di miracoli!»

(Don Vincenzo o Fenomeno, Operazione San Gennaro).
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Napoli, 1966. Una donna scende da un taxi e percorre a piedi le scale di vico Lungo Trinità degli Spagnoli. Cerca un uomo, Dudù, per convincerlo a partecipare a un colpo sacrilego ma miliardario. Poco dopo, l'uomo e la donna girano a piedi per il quartiere. Eccoli sulla scalinata di via Croci Santa Lucia ai Monti, nel cuore di Montecalvario, e poi in via Nuova Santa Maria Ognibene, dove l'uomo, Dudù, si fa pulire le scarpe da un lustrascarpe per fare colpo sulla donna. Ci troviamo davanti alla chiesa della Parrocchiella in piazzetta Santa Maria Ognibene, nel punto esatto dove nei giorni scorsi è comparso un murale raffigurante il volto di Ugo Russo, il rapinatore quindicenne ucciso lo scorso primo marzo da un carabiniere in borghese durante un tentativo di rapina.

Stacco, esterno notte. Tra i vicoli di Napoli si svolge uno spettacolare inseguimento. La Seicento multipla con a bordo gli uomini di Dudù sbuca da un viottolo solitario e sfreccia davanti al crocifisso ligneo di piazzetta Orefici. Il crocifisso, posto sotto una copertura in rame battuto, è sostenuto da un basamento in calcestruzzo armato dove sono rappresentati i simboli della passione di Cristo e quelli delle corporazioni degli orafi, che ha dato il nome alla zona.

Passeggiare per i vicoli e le strade dove Dino Risi, nel 66, girò il film «Operazione San Gennaro» - con Nino Manfredi nei panni di Armanduccio Girasole, detto Dudù, Senta Berger in quelli della ladra Maggie, e la partecipazione, realmente straordinaria, del grande Totò ormai quasi cieco - consente di riscoprire luoghi e atmosfere della città più autentica, alveari di carne e pietra dove il tempo, in alcuni luoghi, sembra essersi fermato.

Maggie, Jack e Frank sono tre gangster che giungono a Napoli dagli Usa con l'intenzione di portare a segno un grosso colpo. Su consiglio dell'anziano scassinatore Don Vincenzo il Fenomeno (Totò), riverito e ancora potente anche se temporaneamente ospite del carcere di Poggioreale, gli americani si affidano all'ingegno di Armando Girasole detto Dudù (Nino Manfredi), un guappo dal cuore tenero venerato in tutti i quartieri bassi perché a capo di una scalcinata banda di disgraziati, composta da Sciascillo, Agonia, il Barone e il Capitano. Jack mette Dudù a conoscenza dei suoi piani: impadronirsi del leggendario tesoro di San Gennaro, che frutterebbe 30 miliardi di lire. Dudù e la sua banda tentennano davanti a una proposta che non solo è difficile da attuare, ma anche platealmente sacrilega. Pertanto decidono di chiedere il permesso al Santo.

Quelli di «Operazione San Gennaro» sono luoghi della memoria. Sergio e io li ripercorriamo, con devozione assoluta, partendo proprio dalla chiesa di Santa Maria Ognibene detta la Parrocchiella (da non confondere con la chiesa di Santa Maria ad Ogni Bene dei Sette Dolori, dove fu sepolto Cosimo Fanzago). Un edificio costruito tra il 1630 e il 1666 da Francesco Magnocavallo per ospitare l'omonima congrega. Poco distante, al numero 35 di via Santa Maria Ognibene, c'è Palazzo Cammarota, dove abitò tra il 1833 e il 1835 Giacomo Leopardi, prima di trasferirsi in vico Pero, la sua ultima dimora. La cupola che si vede dalla terrazza della casa di Dudù è quella dello Spirito Santo, mentre la terrazza è quella del palazzo di via Toledo 424. Vista spettacolare e passaparola tra i vicoli per annunciare a Dudù l'arrivo della patata americana.

So' arrivate e patate americane. A du-du dueciento lire o chilo! Da applausi.
La villa dove Maggie tenta di sedurre Dudù, che è anche la base dove viene preparato il piano, si trova sulla baia di Trentaremi, a Posillipo, mentre il belvedere dove il guappo Manfredi e la sua banda portano in processione San Gennaro nella scena finale del film è quello di Sant'Antonio a Posillipo. Recuperando il tesoro di San Gennaro, che egli stesso aveva contribuito a rubare, Manfredi-Dudù diventa suo malgrado un eroe. La statua del santo, realizzata appositamente per il film, compare all'interno della chiesa dei Girolamini, e si trova tutto lì.
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«Operazione San Gennaro», girato da Dino Risi nel 1966 con la sceneggiatura di Ennio De Concini, Adriano Baracco e gli stessi Risi e Manfredi, pur ammiccando al folklore della Napoli furba e pezzente dei vicoli, prendeva un po' in giro il genere, che a quei tempi andava per la maggiore, dei grandi colpi portati a termine da bande organizzatissime di criminali di grandi capacità e senza scrupoli.

La malavita locale che si vede in azione nel film non ha ancora assunto i feroci codici criminali della camorra di oggi, è a suo modo romantica e sembra avvertire quasi il bisogno di una giustificazione etica per le sue sgangherate imprese. Nel film Totò appare solo in cinque scene: sarà una delle sue ultimissime interpretazioni prima della morte. «Totò - ricordò Risi - stava malissimo quando abbiamo girato, era quasi cieco anche se dalla visione del film non si capisce; quando gli chiedevo come si sentisse lui mi rispondeva faccio un lavoro che consiste nel far ridere la gente, quindi anche se sono sofferente non lo devo mostrare». Il ruolo della fidanzata di Dudù, Concettina, è interpretato da Claudine Auger, diventata famosa all'inizio degli anni 60 per il ruolo della Bond Girl Dominique Domino Derval nel film «007-Thunderball» (Operazione tuono).

Per approfittare di una città semideserta e distratta, Dudù propone agli americani di effettuare il colpo durante la serata finale del Festival di Napoli. A condurre la gara, quell'anno, c'era un giovane Pippo Baudo. E a fare da sottofondo ad alcune scene del film compaiono tre brani presentati in quella occasione: Ce vo' tiempo cantata da Peppino Di Capri, Ma pecché (Iva Zanicchi) e A pizza cantata da Aurelio Fierro in coppia con Giorgio Gaber. Nessuna delle tre si aggiudicò la vittoria finale, che nel 66 andò a Sergio Bruni con il brano Bella in coppia con Robertino (nome d'arte del cantante Roberto Loreti).

Nel 2006, a quarant'anni di distanza dall'uscita nelle sale, il film cult di Risi fu restaurato grazie all'imprenditore Giancarlo Cangiano e al critico e storico del cinema Valerio Caprara (che in quella occasione curò anche un volume con immagini, foto, testi e commenti). Dopo un'affollatissima anteprima mondiale a New York, il restauro fu presentato a Napoli proprio davanti al (vero) Tesoro di San Gennaro; vi partecipò anche l'anziano regista, allora novantenne, che incantò tutti con la sua verve e la sua ironia.
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Il Barone: Ué, Dudù!
Dudù: Ué Baró, scusami ma dovrei parlarti di una faccenda importante. Puoi?
Il Barone: Sì, però se è prima della fine del mese perché il 28 tengo un congresso a Stoccolma. In Isvezia nun ce só maje stato e nun m' a vulesse perdere. A trasferta è buona!
Maggie: Ma è malato lui?
Dudù: No niente, è un caso particolare: c'ha il cuore a destra e campa facendo dimostrazioni agli studenti!
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Nella sua lunga e incredibile storia, Napoli ha conosciuto anche una vera «operazione San Gennaro», ovvero la missione a Roma, nel marzo del 47, per riportare a Napoli il Tesoro del santo patrono, nascosto in Vaticano, durante la seconda guerra mondiale, per evitare che bombardamenti e ladri potessero distruggerlo o depredarlo. Impresa nella quale la parte del leone toccò a un altro guappo ma questa volta vero, Giuseppe Navarra detto «Il re di Poggioreale». Che partì per Roma a bordo della sua auto facendosi accompagnare da un principe novantenne. Al ritorno, venne accolto nei vicoli come un eroe. Proprio come Dudù.

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