Le case dei Pellegrini
​e delle gazze ladre:
i segreti della Pignasecca

Le case dei Pellegrini e delle gazze ladre: i segreti della Pignasecca
Domenica 2 Ottobre 2022, 20:00
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Tra gli alberi di pino del bosco di Biancomangiare venivano a rifugiarsi le gazze ladre. Qui nascondevano la loro refurtiva. Le gazze portavano scompiglio, così un giorno si decise di bruciare il bosco. Un solo pino sopravvisse all'incendio. Una pigna appassita, una pigna secca

(La leggenda della Pignasecca).

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Un connubio tra storia, leggenda, arte e assistenza in un fazzoletto di strade. Un tesoro del passato, e della nostra memoria, oggi assediato dal degrado, eppure rimasto miracolosamente immutato dal Cinquecento ai giorni nostri. Nel cuore della Pignasecca, dove un tempo sorgeva l'antica Portamedina, il complesso museale dell'Arciconfraternita dei Pellegrini racconta una lunga storia di passione, di solidarietà e di assistenza agli infermi. Ma anche di capolavori d'arte che dovremmo riscoprire. Una storia di cui fa parte, a pieno titolo, anche l'ospedale fondato nel 1570 dal cavaliere gerosolimitano Fabrizio Pignatelli di Monteleone. E che nel suo stesso nome - Pellegrini - conserva il senso dell'idea originaria, quella di assistere i fedeli che dopo lunghi viaggi, spesso allo stremo, arrivavano a Napoli.

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I confratelli indossavano un saio rosso, con un cappuccio per coprire il volto. Gli atti di generosità, ripetevano a quanti chiedessero loro conto di quella ostentazione di mistero, dovevano rimanere anonimi.

Apprezzami per ciò che faccio, non per ciò che sono.

I primi confratelli erano sei, tutti artigiani, amici tra loro. A guidarli era un giovane ambizioso e tenace, Bernardo Giovino. Nella Napoli del 1578 - il viceré spagnolo era Hurtado de Mendoza, la città in quel periodo doveva vedersela con pirati e corsari e il governo, quasi sempre lontano dagli interessi della popolazione, era impegnato per lo più a finanziare le guerre sempre più dispendiose in corso sul teatro europeo - questo gruppo di amici decise di dar vita a una confraternita religiosa con lo scopo di offrire assistenza e accoglienza ai numerosi fedeli di passaggio a Napoli per recarsi nei numerosi santuari sparsi per l'Italia.

Nasceva così, nella zona dove secondo la leggenda andavano a rifugiarsi le gazze ladre, la confraternita napoletana della Santissima Trinità dei Pellegrini. A quel punto bisognava trovare una sede per la prima casa dell'accoglienza: la scelta cadde su Forcella, e in particolare sull'edificio dove sorgeva, fino all'anno precedente (1577) il convento di Sant'Arcangelo a Baiano. Convento famigerato, per via del clamoroso scandalo a luci rosse che era esploso tra le sue mura.

Il convento - famoso per aver ospitato anche la Fiammetta di Boccaccio, al secolo Maria d'Aquino, figlia di re Roberto d'Angiò - era occupato da un gruppo di novizie appartenenti alle famiglie della più antica nobiltà napoletana: Caracciolo, Frezza, Arcamone, Sanfelice. Per sfuggire alla noia della vita monacale le aristocratiche novizie, costrette dalle famiglie a prendere i voti, intrecciarono relazioni assai peccaminose con alcuni nobili del luogo. Ne nacque un tale trambusto da convincere le autorità ecclesiastiche a sopprimere il monastero, a causa delle gravi accuse di condotta immorale mosse alle religiose.

Ma l'ex monastero di Forcella andava stretto a Giovino e agli altri padri fondatori dell'Arciconfraternita dei Pellegrini. Visto l'aumento del numero di fedeli da accogliere, i confratelli con il saio rosso decisero di trasferire la casa dell'accoglienza nei pressi di San Pietro ad Arem. Infine, nel 1591, alla Confraternita venne affidato il complesso nato alcuni anni prima in via Portamedina.

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Qui, nei primi decenni del Cinquecento, sorgeva un «giardino di delizie» noto con il nome di Biancomangiare, che si estendeva fino al largo Mercatello, l'attuale piazza Dante.

In quest'area, stravolta con l'ampliamento delle mura cittadine e la costruzione della nuova strada di Toledo voluta dal viceré don Pedro de Toledo, nel 1570 il nobile cavaliere Fabrizio Pignatelli costruì uno Spedale per i pellegrini di passaggio a Napoli con annessa una piccola chiesa, dedicata alla Madonna di Materdomini.

Fabrizio Pignatelli era un uomo di solidi princìpi; aveva combattuto contro gli ottomani a Tripoli, a Malta, in Calabria. Era ossessionato dagli infedeli e considerava la profanazione di Gerusalemme come una nuova profanazione di Cristo. Anche l'assistenza ai Pellegrini era diventata per lui una vera e propria ossessione. Quando morì, lasciò Spedale e chiesa in eredità proprio alla Confraternita dei Pellegrini, che intanto aveva ottenuto il titolo di Arciconfraternita in virtù della sua attività caritatevole verso il prossimo. Così, nel 1591, la Casa Ospitale venne trasferita nel fabbricato di via Portamedina.

Con il passare del tempo, senza dimenticare la missione originale, l'attività dell'Arciconfraternita mutò. I pellegrini diminuivano, crescevano invece gli ammalati, i poveri, gli indigenti. La Casa Ospitale diventò un ospedale, a tutti gli effetti, e nel 1816 aprì il primo reparto di chirurgia. Con la nascita degli ambulatori e l'ampliamento dell'attività in tutti i settori clinici nasceva il moderno ospedale Pellegrini, mentre l'Arciconfraternita, per andare incontro ai residenti delle zone periferiche ed extraurbane, decideva di costruire un altro ospedale nella zona di Capodichino.

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Due chiese gioiello: Santa Maria Materdomini e Santissima Trinità dei Pellegrini. E poi statue, sculture e dipinti commissionati ai maggiori artisti del Seicento e Settecento napoletano: opere che parlano di carità fraterna, di accoglienza, di consolazione dalla sofferenza. Attraversare il complesso museale dei Pellegrini consente di viaggiare nello spazio, ma anche nel tempo. È un labirintico, vertiginoso luogo della memoria. Dal Corridoio delle Lapidi si accede agli ambienti destinati alla vita dell'Arciconfraternita: Salone del Mandato, Sale della Vestizione, Sala degli Albi d'Oro, Galleria dei Dipinti. Dappertutto sono pregevolissime opere d'arte commissionate dall'Arciconfraternita o ad essa donate.

Quando si percorre questi ambienti viene da domandarsi: si può curare la sofferenza con l'arte, con la poesia, con la bellezza? Si può restituire agli ammalati la consapevolezza di essere, nonostante il dolore, cittadini del cielo, in armonia con l'universo? I padri fondatori dell'arciconfraternita dei Pellegrini ne erano convinti. Al punto da disseminare ogni ambiente del complesso, ogni angolo della cittadella, finanche il dormitorio, di oggetti d'arte. La chiesa cinquecentesca di Santa Maria Materdomini conserva l'originario disegno della facciata; quella della Santissima Trinità, con la sua singolare pianta a due ottagoni collegati da rettangoli, è invece opera del genio di Carlo Vanvitelli. Fu il grande architetto, primogenito di Luigi Vanvitelli, a conferire alla chiesa l'aspetto attuale e a disegnare la struttura dell'ospedale, dal cui cortile si accede all'edificio di culto, con le due grandi statue, poste sulla facciata, raffiguranti San Gennaro e San Filippo Neri. 

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