Una giungla di rovi
dove passò la storia:
salviamo lo Scudillo

Una giungla di rovi dove passò la storia: salviamo lo Scudillo
di Vittorio Del Tufo
Domenica 30 Gennaio 2022, 20:00
6 Minuti di Lettura

«La noia, l'abbandono, il niente
son la tua malattia
paese mio ti lascio, io vado via»

(Jimmy Fontana, Franco Migliacci, Che sarà)

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Si fa fatica ad accettare l'idea che una delle strade più antiche e nobili della città, che fin dai tempi dei Romani collegava il centro di Napoli con le colline, sia oggi ridotta a foresta di rovi e arbusti, chiusa al traffico nel 1987 per il crollo di alcuni costoni tufacei e da allora abbandonata a un destino di malepiante e rovina: una cicatrice sul volto della città. Eppure i fondi per la riqualificazione ci sarebbero: la «riqualificazione ambientale e urbanistica» dello Scudillo rientra, con 3,5 milioni di euro, nei progetti finanziati con il contratto di sviluppo siglato a fine 2020. Ma una coltre di silenzio sembra essere calata sul recupero della collina, lì dove un tempo, quando l'imperatore Augusto era il padrone del mondo, sorgeva uno splendido mausoleo poi andato distrutto.

Fino a trecento anni fa Salita Scudillo, oggi interrotta a monte e a valle da un muro e da una cancellata, era l'unico collegamento tra la zona dei Colli Aminei e il rione Sanità. Sembra che derivi il suo nome dal ruolo difensivo piccolo scudo che la località paesaggisticamente esercitava contenendo nelle ampie vallate le fiumane di acqua e di fango dei Colli Aminei e dei Camaldoli e proteggendo così gli storici quartieri napoletani. Secondo un'altra interpretazione questa piccola via, fiancheggiata da costoni di tufo, era in passato talmente scura e ombreggiata da diventare, per i napoletani, vico scurillo, poi deformato in Scudillo.

Quale che sia l'origine del toponimo, è certo che la riapertura dello Scudillo, oltre a decongestionare i Colli Aminei, potrebbe rappresentare una valida alternativa per consentire alle auto provenienti dal centro storico di raggiungere gli ospedali della zona collinare. Ma i progetti di recupero sembrano definitivamente scomparsi dai radar delle istituzioni, a conferma di una destino di rovina che ha cominciato ad accompagnare lo Scudillo sin dagli anni del sacco di Napoli e della speculazione edilizia che ha devastato tante zone della città.

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Nel 1987 il percorso dello Scudillo - che dalla Sanità, nei pressi dell'ospedale San Gennaro, sbuca all'altezza di via Nicolardi, ricalcando l'antico percorso di epoca romana - fu dichiarato pericolante in seguito al crollo di una parete di tufo. Inizialmente la strada doveva restare chiusa solo poche settimane: sono passati 35 anni ed è ancora sbarrata, con il risultato che una foresta inestricabile nasconde alla vista uno dei più suggestivi panorami della città.

In realtà i guai per lo Scudillo erano iniziati molti anni prima, e precisamente alla fine degli anni 60, quando si scelse di costruire i piloni della Tangenziale proprio sopra il percorso della salita, che venne deturpata per sempre. Quel progetto fece insorgere il fronte ambientalista, e venne combattuto in particolare dall'associazione Italia Nostra e dal Comitato per la difesa ambientale del Mezzogiorno. Antonio Cederna, figura storica dell'ambientalismo italiano, denunciò «la devastazione di ampie zone ancora verdi, qual è la conca dello Scudillo a valle di Capodimonte, che verrebbe asfaltata e cementificata, con la semi-distruzione dei grandiosi parchi esistenti». Ma i notabili dell'epoca si comportarono come re Murat, che pur di costruire il ponte della Sanità per collegare la Reggia di Capodimonte con il centro cittadino, non esitarono a innalzare i piloni proprio sopra il monumentale chiostro di frate Nuvolo che si erge all'interno della chiesa di Santa Maria della Sanità.

Così l'antico e nobile Scutillum, scelto come luogo di residenza nel 700 da molte famiglie nobili napoletane, ha pagato un prezzo altissimo alla costruzione della Tangenziale, i cui piloni furono costruiti proprio sopra la salita scavata nella roccia, trasformando la parte sottostante in un deposito di materiali di risulta. Oggi l'antica strada dello Scudillo è ridotta a giungla, proprio come la sottostante area della Conocchia, simboli - l'una e l'altra - della città che dimentica il suo passato, e lo mortifica facendo avanzare il degrado.

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Nell'epoca del Gran Tour lo Scudillo, come il vicino mausoleo della Conocchia, attirava non solo viaggiatori a caccia di orizzonti ameni, ma anche vedutisti e pittori, come Giacinto Gigante, Salvatore Fergola, Anton Sminck van Pitloo e altri esponenti della Scuola di Posillipo.

Nel lato Colli Aminei di Salita Scudillo si erge Villa Domi, già villa Fiorita, dimora settecentesca (oggi vi si organizzano eventi) la cui costruzione fu commissionata dai Meuricoffre, operosa e potente famiglia svizzera di mecenati e banchieri, fondatrice della prima colonia elvetica dell'Italia meridionale. Recentemente Elio Capriati, ex dirigente del Banco di Napoli e attento studioso dei carteggi e degli epistolari delle famiglie e delle personalità straniere vissute a Napoli tra il 700 e il 900, scavando nell'archivio dell'istituto bancario ha ricostruito la saga di questa importante famiglia svizzera partendo dalla figura di Tell Meuricoffre, che sedette per diversi anni nel consiglio di amministrazione dell'antica banca europea. Filantropi e mecenati, i Meuricoffre fecero costruire ville stupende, accogliendo nei loro salotti grandi personaggi e musicisti del calibro di Wolfang Amadeus Mozart.

Le ville storiche punteggiano il percorso dello Scudillo, monumento a un passato oggi ridotto a teatro di fantasmi. Villa Florido, di origine settecentesca come attestato dalle informazioni trovate sulla mappa del duca di Noja nonostante i vari cambi di proprietà nel corso del tempo, si è mantenuta egregiamente. Raggiungerla non è facile, bisogna attraversare la Sanità in un intrico di vicoli prima di guadagnare lo Scudillo. Ed ecco Villa Gallo, poi Villa Regina Isabella o Del Balzo. Originariamente, era la dimora dei frati domenicani di Santa Caterina a Formiello, passata al pubblico demanio e, nel 1809, acquistata da don Marzio Mastrilli, marchese di Gallo e ministro degli Esteri durante il Decennio francese. La ristrutturazione fu affidata all'architetto Antonio Niccolini, ai tempi una vera archistar: fu lui a progettare e costruire la Villa Floridiana al Vomero per Lucia Migliaccio, la duchessa di Floridia. E Niccolini, proprio ispirandosi ai giardini della Floridiana, creò effetti scenografici di verde, «tra cui quattro giardini pensili che corrispondevano alle quattro stagioni in quanto ciascuno produceva i fiori e i frutti propri di una delle stagioni (vedi Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza, Le ville di Napoli). Morto il duca di Gallo, nel 1831 la villa fu venduta dai suoi eredi al Conte del Balzo, marito morganatico della regina madre Isabella di Borbone, che, dedicandogliela, la chiamò «Villa Regina Isabella». Oggi la dimora è sede di un orfanotrofio antoniano dei Padri Rogazionisti.

Villa Castagneto-Caracciolo (in passato villa Regina Madre) si trova sulla sommità del poggio dello Scudillo, tra le colline dei Colli Aminei, Capodimonte e del Vomero. Realizzata interamente in tufo, fu costruita nel XVIII secolo dal Francesco Caracciolo, l'ammiraglio della Repubblica Partenopea che morì impiccato nel 1799 per volere dell'ammiraglio inglese Orazio Nelson e della sua amante Lady Hamilton, entrambi consiglieri del re Ferdinando IV di Borbone. La salita che dalla Sanità portava al poggio dello Scudillo (l'odierna via del Serbatoio) termina direttamente nell'androne della villa, il cui assetto è stato poi modificato dall'apertura di una nuova strada verso gli attuali Colli Aminei. A salita Scudillo 17 sorge invece Villa Fourquet, un altro gioiellino architettonico dove amava trascorrere il periodo di villeggiatura Benedetto Croce, assieme alla figlia Ada. Don Benedetto aveva frequentato la villa anche in gioventù perché lì risiedeva il suo insegnante di francese. Memorie di un mondo scomparso, da paradiso in terra a inferno di rovi: come rovinare per sempre uno dei panorami più belli di Napoli. 

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