Di tufo e di tenebra,
la memoria negata
delle anime pezzentelle

Di tufo e di tenebra, la memoria negata delle anime pezzentelle
di Vittorio Del Tufo
Domenica 16 Gennaio 2022, 20:00
6 Minuti di Lettura

«I tuoi occhi saranno
una vana parola,
un grido taciuto,
un silenzio»

(Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi).

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Anime sante, anime purganti, io sono sola e vuje site tante, recita l'antica preghiera dedicata al riposo delle anime pezzentelle, nel cuore di tenebra del cimitero delle Fontanelle. Requie, repuoso, refrisco, cunzuolo: il luogo che più di ogni altro racconta il rapporto del popolo napoletano con la morte, con l'aldilà e con le presenze che abitano negli ipogei della nostra memoria, è chiuso da oltre due anni, miseramente sbarrato, nuvola e povere, requiescat in pace, amen.

Ufficialmente l'ossario - che custodisce da almeno quattrocento anni i resti di chi non poteva permettersi una sepoltura dignitosa: soprattutto le vittime delle spaventose epidemie che a più riprese hanno colpito la città - è chiuso per lavori di rafforzamento delle volte, dunque per gli interventi di messa in sicurezza necessari - come già raccontò Paolo Barbuto sul Mattino nel luglio scorso - per fronteggiare le infiltrazioni che rischiano di compromettere la stabilità delle cave. Insomma, c'è da verificare la tenuta delle volte delle grotte che ospitano le ossa. «Il Comune - spiega l'assessore al Turismo, Teresa Armato - già da un mese si è attivato per cominciare i lavori. Ci auguriamo che entro la primavera torni fruibile. Il Cimitero delle Fontanelle per la sua storia singolare, per il suo legame tradizionale con il popolo napoletano, ha un fascino particolare e rappresenta un punto irrinunciabile della proposta turistica della città».

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Alle Fontanelle, tra filari di ossa disposte a strati, il mondo dei vivi e quello dei morti sono in contatto da secoli. Nell'antica collina tra la Sanità e Materdei, chiamata Fontanelle per i rivoli d'acqua che sgorgavano dalle colline circostanti, sono conservati oltre 40mila resti di persone morte durante la peste del 1656 e il colera del 1836. Il cimitero fu ricostruito e organizzato a Napoli negli stessi anni in cui nella pianura padana venivano ricostruiti gli ossari del Risorgimento. Fu un parroco napoletano, Gaetano Barbati, nella seconda metà dell'Ottocento a riordinare le ossa in cataste, con l'aiuto di alcune popolane. Da allora sorse, spontaneamente, il culto delle anime pezzentelle, bisognose di cure e preghiere in cambio di grazie e favori. Contro le degenerazioni - considerate pagane - di questo culto si scagliò nel 1969 il cardinale Corrado Ursi, consentendo che fosse celebrata una messa al mese per le anime del Purgatorio e che fosse eseguita una processione al suo interno ogni 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti. Poi, lentamente, l'oblìo.

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I teschi, le capuzzelle, rappresentano le anime in pena del purgatorio, una sorta di porta rituale tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Anime povere, pezzentelle appunto, che chiedono ai vivi un rito di compassione, offrendo soccorso e protezione in cambio di preghiere e messe in suffragio. È la regola arcaica del do ut des: io ti adotto, mi prendo cura di te, recito preghiere per la tua anima, lucido il tuo teschio per evitare che deperisca (e così facendo ti aiuto a uscire dalle fiamme e raggiungere la grazia divina) e in cambio tu mi garantisci il tuo aiuto (in primis attraverso i sogni) per vincere al lotto, trovare marito, guarire dalle malattie. «È un teatro della memoria viva - osserva l'antropologo Marino Niola - perché le presenze che abitano negli ipogei non hanno mai abbandonato il luogo natio: semplicemente assumono sembianze diverse per continuare a intrattenere rapporti con i viventi. Come i fantasmi di Eduardo». L'Ade, l'aldilà, non ha nulla di fatale, o di lugubre: storie lontane continuano ad avere un sorprendente affaccio nel presente, a nostra insaputa o, spesso (come nel caso delle Fontanelle) con la nostra complicità. Un luogo simile, immerso nel tufo dell'antica Valle dei Morti, non poteva esistere che a Napoli, città che più di altre (più di tutte) è in confidenza con il mistero e con le ragioni del mito.

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Narra la leggenda di una giovane promessa sposa che nutriva un'autentica venerazione per il Teschio del Capitano, famoso per le sue intercessioni.

Ma il suo fidanzato non la prese bene e, forse geloso, certamente desideroso di sfatare la credenza popolare, chiese di accompagnarla alle Fontanelle per vedere con i suoi occhi il famigerato Capitano. Appena vide il teschio, gli infilò un bastone nella cavità dell'occhio, sfidandolo: «Se sei potente come credi, vieni alle mie nozze». Il giorno del matrimonio si presentò alla cerimonia uno sconosciuto in divisa da militare. Lo sposo andò a chiedergli cosa desiderasse e lo sconosciuto gli rispose che era stato proprio lui ad invitarlo al suo matrimonio. «Non ricordi? Ti sei anche divertito ad accecarmi». A quel punto il Capitano aprì la giacca della sua divisa da cui balenò lo scheletro sottostante. Non appena il ragazzo allungò le mani verso il corpo del Capitano, rimase folgorato e morì all'istante.

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Nelle viscere della Sanità tutto si confonde. Mito, storia, archeologia, speleologia, riti pagani, culti misterici, cunicoli segreti, storie maledette. Tra il 26 maggio e il 7 settembre 1886 lo scrittore Francesco Mastriani pubblicò a puntate sul Roma il racconto La iena delle Fontanelle, incentrato sulla figura di una feroce donna-vampiro che aveva scelto l'ossario delle Fontanelle per i suoi loschi e sanguinolenti traffici. Lo scrittore dipinse le Fontanelle con sfumature decisamente horror («Erano un covo di malfattori, di banditi, di gente di mal'affare, di fattucchiere e stregoni, imperciocché non ancora si era giunto a estirpare la mala semenza di queste rie femmine e di questi furbi malandrini che si spacciavano confidenti e compari di messer lo diavolo») ispirandosi alla vasta letteratura che sul tema del vampirismo - complice una sorta di psicosi di massa - era andata diffondendosi nelle regioni europee e balcaniche nel corso del Settecento. La cattiva fama di cui, ai tempi di Mastriani, godeva la zona era dovuta in larga parte a una leggenda nera nata alcuni secoli prima, leggenda secondo la quale nei pressi delle Fontanelle viveva («sotto il governo del viceré duca di Ossuna») una coppia di oscuri personaggi, lo stregone Tre Scale e sua moglie, una fattucchiera di nome Lupecchia. O forse, secondo un'altra ricostruzione, ad abitare nelle vicinanze della grotta erano un'alchimista con la sua compagna, ai quali le donne del borgo si rivolgevano per ottenere miracolosi unguenti e filtri d'amore.

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Donna Margherita Petrucci morì il 5 ottobre 1795. Il suo è l'unico scheletro, con quello del marito Filippo Carafa, Conte di Cerreto dei Duchi di Maddaloni, ad essere esposto in una bara coperta da una lastra di vetro. Il corpo di donna Margherita è mummificato ed il teschio ha la bocca spalancata, e a questa singolare circostanza la nobildonna deve la sua macabra notorietà. Secondo la leggenda, infatti, donna Margherita sarebbe morta strangolata da uno gnocco!

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«Questo sito - racconta all'Uovo di Virgilio Emanuele De Lucia, del gruppo «I giovani delle Fontanelle» - era uno dei più visitati a Napoli, ma sin da prima della pandemia è stato chiuso al pubblico per motivi di inagibilità dovuta alla presenza di infiltrazioni d'acqua. Ci auguriamo che la situazione finalmente si sblocchi, perché il Cimitero delle Fontanelle potrebbe essere fonte di riscatto economico e sociale per una zona del centro di Napoli che è, di fatto, totalmente abbandonata».

Ed è un peccato, perché questo tesoro della memoria negato ai napoletani - e ai tantissimi turisti che, ignari, salgono in cima alla Valle dei Morti trovando il cancello sbarrato - continua a parlarci dal passato. Un passato intriso di ritualità, sacralità e superstizione: il cuore di tenebra di Napoli magica. 

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