Chiaia l'isola fantasma:
storia di fughe, vendette,
tesori e tempeste

Chiaia l'isola fantasma: storia di fughe, vendette, tesori e tempeste
di Vittorio Del Tufo
Domenica 31 Maggio 2020, 20:00 - Ultimo agg. 7 Giugno, 19:06
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«Chi tene o mare o ssaje
porta na croce»

(Pino Daniele, Chi tene o mare)

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La grande spiaggia si distendeva fuori le mura, e Castel dell'Ovo sorgeva maestoso sull'antica Megaride, sovrastato dal gigante di tufo caro a Partenope: il monte Echia. Il Real Passeggio di Chiaia, disegnato da Carlo Vanvitelli, era uno splendido parco sul mare, cinto all'ingresso da due padiglioni gemelli di gusto neoclassico. Prima che la colmata realizzata a fine 800 sacrificasse le lingue di spiaggia, modificando radicalmente la fisionomia del luogo, il mare bagnava davvero Napoli. Via Caracciolo, la nostra promenade, non esisteva ancora. Esisteva invece un lungo arenile dove i pescatori tiravano a secco le barche e stendevano le reti. Le foto scattate in quel periodo ritraggono scugnizzi che fanno il bagno sulla spiaggia di Mergellina, in parte ricoperta di ghiaia. Prima dei lavori della colmata, il mare lambiva anche la chiesa di Santa Maria della Catena a Santa Lucia, dove fu seppellito il corpo del marinaio-eroe Francesco Caracciolo, martire della rivoluzione napoletana del 1799, a cui fu dedicato quello che viene oggi considerato il lungomare più bello del mondo.

Occorre un notevole sforzo di fantasia per immaginare via Caracciolo prima di via Caracciolo, e la spiaggia di Chiaia prima della colmata di fine secolo che la trasformò in un luogo della memoria. Di questa memoria - e dell'antica spiaggia - oggi non restano che frammenti, in prossimità delle rotonde, il più famoso dei quali è noto con il nome di Lido Mappatella. Esistono numerose immagini, tuttavia, che illustrano lo stato dei luoghi verso la fine dell'Ottocento. Le più belle sono state raccolte da Giancarlo Alisio nell'imprescindibile libro Il lungomare (Electa Napoli) e dall'editore Intra Moenia nel volume a cura di Attilio Wanderlingh e Ursula Salwa, Napoli ieri e oggi (foto moderne di Sergio e Riccardo Siano).

C'è stato un tempo, molto prima della colmata del lungomare e della costruzione dell'attuale via Caracciolo, in cui dalla grande spiaggia di Chiaia, in prossimità dell'attuale Rotonda Diaz, si accedeva a un antico isolotto oggi scomparso, ma ancora visibile in alcune cartografie del XVII secolo: era l'isolotto di San Leonardo a Chiaia. In cima allo scoglio sorgeva una piccola chiesa fatta costruire da un ricco mercante castigliano, Leonardo d'Orio, che nel 1028 scampò a una tempesta e decise di edificare, come ex voto, un piccolo tempio nel luogo esatto dov'era approdato, spaventato e malconcio ma vivo. Il mercante, che trasportava nella sua imbarcazione una mercanzia di centomila ducati - un tesoro, per l'epoca - fece voto a San Leonardo (di cui portava il nome) promettendogli che, in caso di salvezza, gli avrebbe dedicato il luogo di culto. Così avvenne. All'isolotto, e alla chiesa, si accedeva direttamente dalla spiaggia, attraversando un arco sormontato da una grande croce. Si percorreva poi una lunga banchina in legno costruita sul mare.

L'isola di San Leonardo, demolita nell'800 per la sistemazione del litorale, fu teatro di alcuni eventi cruciali per la storia della città. Da qui fuggì verso la Francia, nel maggio 1419, il conte Giacomo di Borbone-La Marche, che aveva sposato la regina Giovanna II senza ottenere il titolo regio, ma solo quello di duca di Calabria. Giacomo riuscì a diventare «re consorte» nel 1416, ma, viste le pretese al trono, nel 1419 venne costretto dai baroni napoletani a rinunciare al titolo regio, e con grande scuorno fu cacciato ed esiliato dal Regno. E sempre dall'isola di san Leonardo, al largo di Chiaia, la principessa di Bisignano - Giovannella, o Vannella - scappò con i suoi figli per sfuggire alla vendetta di Ferrante I d'Aragona. Erano i giorni della feroce rappresaglia decisa dal sovrano aragonese contro i nobili che avevano preso parte alla famosa Congiura dei Baroni (1548). La principessa, tenuta d'occhio dalle spie del Re, ne eluse la vigilanza, e proprio da San Leonardo, con i figli e un gruppo di donne, s'imbarcò su un brigantino e fuggì a vele spiegate.

Inizialmente affidata alle cure dei monaci basiliani, la chiesa passò poi alle monache dei Santi Pietro e Sebastiano. Attorno al luogo di culto nacque un piccolo borgo di pescatori e anche una famosa taverna, Florio, citata da Salvatore Di Giacomo e accostata, per importanza, al mitico Cerriglio, frequentato da Caravaggio, e alla taverna del Crispano.

Chisto è no scuoglietiello vascio vascio ddò nc'è na chiesa e ccerte ccase attuorno, recitava una poesia del 700, e anche Benedetto Croce, ne La villa di Chiaia, in Napoli Nobilissima, ricorda alcuni antichi versi che facevano riferimento all'isolotto: «Oh quanta vota, la sera, a lu tardo / ièvemo a spasso cu tanta zetelle / ngopp'a li scuoglie de Messè Lunardo / e là facèamo spuònnele e patelle».

La famosa mappa Stopendaal, del 1663, mostra la chiesa di San Leonardo e l'arco d'ingresso sostituito da un corpo di fabbrica a forma di torre. Lo stato dei luoghi cambiò più volte fino a quando la chiesa venne demolita per fare spazio alla Loggetta a Mare, costruita tra il 1807 e il 1834 da Stefano Grasse, durante i lavori di ampliamento della Villa Reale voluti da Ferdinando IV di Borbone. Nel luogo della Loggetta a Mare sorge oggi la Rotonda Diaz, dove, il 26 maggio 1936, fu inaugurato il monumento equestre dedicato al generale artefice del successo italiano nella prima guerra mondiale.

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L'attuale via Caracciolo nacque in seguito ai lavori di ampiliamento della città verso il mare, eseguiti tra il 1869 e il 1880. La storia comincia in realtà nel lontano 1858, dunque molto prima degli interventi del Risanamento, quando l'architetto della Real Casa Gaetano Genovese - già autore del progetto, mai realizzato, del traforo di collegamento tra Montesanto e Chiaia attraverso la collina di San Martino e Sant'Elmo - presentò un piano che prevedeva il riempimento della spiaggia, l'ampliamento della Villa Comunale e la costruzione di una nuova fascia di palazzi lungo la strada.

Tre anni più tardi, fu il grande architetto e urbanista Errico Alvino (milanese di nascita, già autore del progetto per la realizzazione del corso Vittorio Emanuele) a proporre a titolo personale un piano organico in cui si proponeva l'ampliamento e la sistemazione della salita del Gigante (l'attuale via Cesario Console), di via Santa Lucia, del Chiatamone e la creazione di un lungomare fino a Mergellina. Il progetto fu approvato dalla giunta, ad esclusione, per motivi economici, del tratto tra piazza Plebiscito e il Monte Echia e si passò così a valutare le offerte di appalto per la colmata. Alla fine (1869) prevalse l'offerta dell'imprenditore Annibale Giletta, che divise il progetto in due tranche: la prima da Santa Lucia a piazza Vittoria, la seconda da piazza Vittoria a Mergellina. Fu avviata così la costruzione, mediante colmata a mare ed un notevole ampliamento della Villa Comunale, «di una strada tra piazza Vittoria e Mergellina, in cambio di suoli alla Vittoria e a Mergellina più un sussidio di due milioni, ridotto poi a un milione e seicentomila lire» (Giancarlo Alisio, Il lungomare). I lavori andarono avanti dal 1872 al 1879. Si lavorò solo nei periodi estivi iniziando dalle due estremità verso il centro.

E il futuro? Quali sorprese ci riserverà? La valorizzazione della linea di costa puntualmente si affaccia tra i progetti dell'amministrazione comunale. La rimozione della scogliera esistente e il recupero della linea di costa originaria è stata al centro, in passato, di numerosi incontri con la Soprintendenza. Ma è un progetto, come avverte l'assessore all'urbanistica Carmine Piscopo, che per essere attuato richiederebbe «il reperimento di somme significative e la verifica delle condizioni meteomarine». Da qui l'idea, più fattibile nell'immediato, di una valorizzazione temporanea della scogliera. «Si tratta - spiega Piscopo - di un tema molto sentito in città, la cui definizione, anche alla luce dell'emergenza sanitaria che stiamo vivendo, riemerge con nuova attualità e potrebbe rivelarsi particolarmente efficace».

Rivedremo mai la spiaggia tra la Villa Comunale e il mare? Altamente improbabile. Non crediamo, d'altra parte, che sia una priorità. Più importante è immaginare un futuro per la Villa Comunale, che un tempo era uno dei vanti di Napoli ed è oggi abbandonata, come altre aree verdi della città, a uno scandaloso degrado. 
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