Stradivari e il mistero
della terza arpa:
conservatorio segreto

Stradivari e il mistero della terza arpa: conservatorio segreto
di Vittorio Del Tufo
Domenica 23 Maggio 2021, 20:00
6 Minuti di Lettura

«Dolente immagine - di Fille mia
Perché sì squallida - mi siedi accanto?
Che più desideri? - Dirotto pianto
Io sul tuo cenere - versai finor».

(Dolente immagine, Vincenzo Bellini)

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Un oggetto prezioso, arrivato intatto fino a noi dopo un lungo viaggio attraverso i secoli, è custodito nel sancta sanctorum del conservatorio di San Pietro a Majella, luogo magico e solo parzialmente accessibile al pubblico: è la meravigliosa arpa di 27 corde realizzata nel 1681 da Antonio Stradivari. È un pezzo unico al mondo, ed è un capolavoro di superbia: la cassa armonica in abete, con i quattro fori di risonanza intagliati a forma di cuore; la colonna decorata da una sirena con un puttino, nella parte superiore, e da un mascherone in quella inferiore; il modiglione sormontato da una sirena, priva della testa. Lo strumento uscito dai fumi alchemici dalla bottega di Mago Stradivari misura appena ottantaquattro centimetri: fu donato al Conservatorio da Francesco Florimo, il grande bibliotecario dell'Ottocento che di San Pietro a Majella fu archivista, poi reggente e infine direttore, dal 1851 al 1888. Prima di finire nelle mani del venerando Florimo, ovvero del musicista che più di ogni altro ha contribuito a trasformare il Conservatorio in un teatro della memoria viva, la mitica arpa di Stradivari era appartenuta al marchese genovese Massimiliano Spinola e poi alla celebre ballerina Amina Boschetti, cognata di Spinola. Narra la leggenda che il grande Stradivari costruì non una ma tre arpe: la prima andò distrutta, la seconda è gelosamente custodita a San Pietro a Majella e della terza si sono perse le tracce. Si trova anch'essa a Napoli? Il giallo dell'arpa perduta infiamma da sempre la fantasia degli storici della musica, dei collezionisti e degli appassionati di oggetti rari.

Ombre, voci, volti che sorridono dai ritratti. E suoni che si rincorrono dal passato. Entrare nella biblioteca-museo del Conservatorio di San Pietro a Majella, e nel suo archivio storico, vuol dire compiere un'esaltante cavalcata nella nostra storia e nella nostra memoria. Cimeli, ritratti, sculture, strumenti musicali, carteggi e documenti preziosi si affollano fino a comporre un mosaico unico al mondo, grazie alle donazioni del passato (come quelle della regina Maria Carolina e di Giuseppe Donizetti) e a quelle dei giorni nostri (il maestro Roberto De Simone ha donato al Conservatorio una parte importante della sua collezioni privata di libri e musiche, raccolta in anni di studio e frutto di una conoscenza profonda della storia musicale e di una pratica diretta con lo studio delle fonti). Ci sono voluti anni, e molte mani sapienti, per aggiornare il catalogo dei beni artistici-museali di San Pietro a Majella. La sfida del nuovo presidente, Luigi Carbone - già consigliere di Stato, vice segretario generale a Palazzo Chigi e capo di gabinetto al Mef - è ora quella di mettere questo immenso patrimonio a disposizione della città attraverso un nuovo allestimento degli spazi museali.

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Il Museo del Conservatorio San Pietro a Majella è uno scrigno di tesori. Vi si trovano strumenti antichi e preziosi come l'arpetta di Stradivari, o gli strumenti a fiato e i plettri rilucenti di intarsi di madreperla, o gli splendidi archi, molti dei quali costruiti nella prestigiosa scuola napoletana di liuteria. Scuola che deve molto soprattutto a don Alessandro Gagliano, con il quale iniziò una vera e propria dinastia che ha dominato la scena napoletana per circa due secoli, dal 1700 alla fine dell'800. A Gagliano, considerato il primo grande liutaio napoletano, veniva in passato attribuita una frequentazione proprio con il grande Stradivari. Quello dei liutai era un mondo magico forgiato dalle mani di artigiani tenaci, che finanche dai capitelli delle chiese traevano spunto per le rifiniture dei propri strumenti.

Ed ecco i pianoforti a tavolo appartenuti a Paisiello e Cimarosa, donati da Caterina II di Russia. Ecco i pianoforti di Saverio Mercadante e di Sigismund Thalberg, le arpe Sébastien Érard, i violini, violoncelli e viole della storica famiglia Gagliano.

E migliaia e migliaia di testi musicali e spartiti arrivati fin qui grazie a re Ferdinando IV di Borbone, il quale obbligò gli impresari dei teatri della capitale del regno a consegnare all'istituto di san Pietro a Majella una copia di ogni spartito di opera o commedia che sarebbe poi andata in scena.

Ecco la poltrona dove si sedette il grande Richard Wagner. Era il 20 aprile 1880, un giovedì santo. L'autore del Parsifal e della Cavalcata delle Valchirie visitò San Pietro a Majella per ammirare i «meravigliosi archivi» di cui si parlava in tutta Europa e poi si mise comodo ad ascoltare il Miserere di Leonardo Leo e La battaglia di Marignano di Clément Jannequin, con il coro eseguito per lui dagli alunni del Conservatorio, nell'attuale sala Martucci. Quel giorno, tra gli allievi, c'era anche il quattordicenne Francesco Cilea («Rivedo Wagner seduto tra Cosima, Liszt e Florimo coi piedi appoggiati sul pavimento lucido a mattonelle che dava freddo solo a guardarlo. Domandò: c'è un tappetino? Ho freddo ai piedi...», vedi Carlo Raso, Guida musicale di Napoli). Alla fine il grande maestro si sperticò in applausi e complimenti: «Effetto terribilmente sublime della musica! La composizione si innalza come un possente duomo... L'ascolto lascia commossi gli animi e le menti...».

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Ci fermiamo davanti alla porta decorata della camera di Francesco Florimo, compagno di studi e amico devoto di Vincenzo Bellini. I passi del grande archivista, qui al Conservatorio, risuonano in ogni stanza. Potremmo dire che Florimo sta a San Pietro a Majella come Bartolommeo Capasso e Benedetto Croce stanno all'Archivio di Stato: numi tutelari, spiriti del luogo. Sotto la guida di Florimo il Conservatorio acquisì una preziosa collezione di opere musicologiche e di manoscritti, dei maestri napoletani ma non solo.

Gran parte di ciò che è noto della vita di Vincenzo Bellini e della sua attività di musicista proviene proprio da lettere scritte a Florimo, suo compagno di studi a Napoli (erano entrambi allievi di Nicola Antonio Zingarelli) e, successivamente, affettuoso biografo. Per Bellini quelli napoletani furono anni di musica e grandi passioni. Allora il Real Collegio di musica si trovava in via San Sebastiano, nei locali che oggi ospitano il liceo classico Vittorio Emanuele II. A Napoli Bellini compose musica sacra, alcune sinfonie d'opera e alcune arie per voce e orchestra, tra cui la celebre Dolente immagine il cui testo è attribuito alla sua fiamma di allora, Maddalena Fumaroli.

A Napoli il cuore di Bellini batteva forte per donna Maddalena, figlia di un magistrato. Ma fu un amore infelice, contrastato sin dall'inizio. Il giovane catanese scorgeva spesso la ragazza affacciata a un terrazzo, nella zona di Port'Alba. Abbagliato dalla sua bellezza, non esitò a dichiararsi. Era il 1822. Anche Maddalena, che suonava, cantava e scriveva versi, era attratta dai modi gentili di lui, dalla sua eleganza, dalla sua grande cultura musicale. Ma il padre Saverio, magistrato ottuso, si mise di traverso e impose l'allontanamento del corteggiatore. Ma e poi mai avrebba accettato che sua figlia sposasse un «suonatore di cembalo».

Da quel momento l'autore della Sonnambula indossò come un fregio il suo dolore. Quando, anni dopo, Bellini diventò ricco e famoso (a Milano) Fumaroli padre si pentì amaramente del suo diniego e accondiscese al matrimonio della figlia. Troppo tardi: a quel punto fu Bellini, innamorato di un'altra donna, Giuditta Cantù Turina, a dire no alle nozze. Per Maddalena il colpo fu terribile: si ammalò di dolore, e lentamente si spense. Morì il 16 giugno 1834, un anno prima di lui. Si narra che fu proprio l'amico Florimo a pretendere che la statua di Bellini volgesse lo sguardo verso la casa della donna amata anziché verso l'ingresso del suo conservatorio.

(1- continua

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