Don Raimondo nei guai,
così nacque il mito
del principe Anticristo

Don Raimondo nei guai, così nacque il mito del principe Anticristo
di Vittorio Del Tufo
Domenica 3 Ottobre 2021, 20:00 - Ultimo agg. 7 Ottobre, 12:04
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«In altro libro di fresco stampato vi sono moltissimi altri geroglifici dell'arte cabalistica, che i filosofi pagani, e dopo di loro i rabbini cabalisti inventarono»

(Daniele Concina, teologo e predicatore domenicano).

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Sono trascorsi duecentosettanta anni esatti dalla pubblicazione della «Lettera Apologetica», l'opera che valse al Principe di Sansevero l'attenzione non esattamente benevola dell'Inquisizione romana e dei suoi solerti censori, i quali giudicarono la «Lettera» un libro pericoloso per i suoi frequenti rimandi alla cabala e all'esoterismo. Neanche l'invio di una Supplica scritta di suo pugno da Raimondo di Sangro e diretta al pontefice Benedetto XIV servì a evitare che il libro finisse all'Indice. Numerosi teologi si erano schierati contro di lui, accusandolo di aver utilizzato la Lettera per diffondere «contenuti esoterici» e princìpi contrari alla dottrina della Chiesa.

Ma cos'era esattamente la «Lettera Apologetica» e perché fu accusata di blasfemia delle autorità religiose? Il manoscritto, pubblicato a Napoli nel 1751 presso la stamperia di Gennaro Morelli, venne bandito con l'accusa di aver introdotto, mediante sofisticati artifizi letterari, un «nuovo gergo maligno di contenuti esoterici contrari alla morale della chiesa Cattolica». La «Lettera» nasceva con l'obiettivo, apparentemente innocuo, di tessere le lodi di un antico sistema comunicativo in uso presso gli Incas del Perù. Formalmente, insomma, si presentava come una «divertita apologia» dell'efficacia di un questo sistema comunicativo, che prevedeva l'uso sincrono di nodi e di colori combinati tra di loro per scambiarsi messaggi testuali. In realtà i nodi fatti con cordicelle variamente colorate, denominati quipu, di cui la civiltà precolombiana si era servita per registrare conti o avvenimenti, costituivano per Raimondo di Sangro il pretesto per affrontare ben altri argomenti.

Il furbo principe, attraverso una fitta trama di note, citazioni, rimandi, propagandava teorie decisamente poco ortodosse sull'origine del mondo, dell'uomo e della scrittura, ma anche sui miracoli e sulla libertà di pensiero. Insomma di Sangro disseminò il testo di indizi: quasi una caccia al tesoro per esprimere, tra le righe, gli intenti civili e i fermenti innovativi (per quell'epoca) della Massoneria, di cui il nostro principe era un esponente di primissimo piano. Ecco il «maligno gergo» che gli valse la censura dell'Inquisizione romana: citando Bayle, d'Argens, Swift, Pope, Voltaire, deisti inglesi ed esponenti del cosiddetto illuminismo radicale, di Sangro si collocava inequivocabilmente nel solco della cultura europea antitradizionale.

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Chi furono i più intransigenti oppositori del «principe nero» e perché sentirono puzza di zolfo nelle sue parole? Come si difese Sansevero, che dopo essere divenuto accademico della Crusca con il nome di Esercitato, aveva ottenuto da Benedetto XIV il consenso per poter leggere i «libri proibiti», i trattati scientifici più disparati e soprattutto le opere di Pierre Bayle, degli illuministi radicali e dei filosofi francesi? A queste e ad altre domande risponde un libro scritto di recente, a quattro mani, da Fabrizio Masucci - fino allo scorso agosto presidente e direttore della Cappella Sansevero, dimessosi in segno di protesta contro l'obbligo di esibizione del Green Pass per accedere nei Musei - e Leen Spuit, docente all'Università di Amsterdam e grande esperta di censura ecclesiastica. Raimondo di Sangro. Cronaca di vita e opere (alós edizioni) può essere senz'altro definito il più completo repertorio mai pubblicato di fonti e notizie sulla vita di Raimondo di Sangro (1710-1771), settimo principe di Sansevero, poliedrico intellettuale settecentesco e artefice del progetto estetico-filosofico della Cappella Sansevero.

Nel volume sono riportate, in ordine cronologico, tutte le notizie ricavate dalle fonti fino a oggi reperite, dalla formazione giovanile di don Raimondo fino ai suoi ultimi travagliati anni di vita. Dunque la figura del principe - ben al di là della leggenda costruita dopo la sua morte - è interamente calata nel contesto della sua epoca.

Rivivono, così, le vaste polemiche suscitate dalle sue opere(a cominciare proprio dalla «Lettera apologetica»), e dalle sue ricerche scientifiche; i conflitti tra gli ambienti ecclesiastici e quelli della corte borbonica per la fede massonica del principe; i rapporti di Sansevero con gli intellettuali del tempo e i suoi impegni economici per i lavori di decorazione della Cappella Sansevero. Ma anche le vicende familiari, le tante questioni di natura finanziaria, tra pagamenti, prestiti, debiti, affitti di feudi e immobili, contratti, liti giudiziarie e molti altri avvenimenti piccoli e grandi che delineano il percorso umano di un personaggio che, come spiega Masucci, «si tenta di sottrarre alla leggenda per restituirlo ai suoi tempi, di cui è diventato ormai un'icona imprescindibile».

Il principe di Sangro, si badi, era ben più di un semplice Fratello Massone: dopo aver fondato la Loggia Sansevero e avervi introdotto i gradi scozzesi, egli costituì la loggia Rosa d'Ordine Magno (dall'anagramma del suo nome) e scalò tutta la gerarchia della Libera Muratoria, fino a divenire il Gran Maestro di tutte le logge napoletane. Incarico che ricoprirà fino al 1751, quando papa Benedetto XIV scomunicò tutti gli appartenenti alla Fratellanza e Carlo di Borbone - di cui pure Raimondo era amico - dichiarò fuorilegge la massoneria bandendola dal regno. Agli eretici muratori, quell'anno, fu addebitata addirittura la mancata liquefazione del sangue di San Gennaro, il patrono della città. Come racconta Alessandro Coletti nel libro «Il principe di Sansevero», correva voce che don Raimondo avesse osato preparare nel proprio laboratorio da stregone una sacrilega mistura, simile al sangue delle ampolle, che si liquefaceva esposta all'aria grazie a un trucco segreto. «Non era questa la definitiva prova dell'empietà della setta e del suo Gran Maestro?».

Per evitare più severe repressioni contro i Fratelli napoletani, Sansevero in persona consegnò a re Carlo la lista con tutti i nominativi dei massoni, oltre ad alcuni documenti relativi ai regolamenti e ai rituali delle Logge; da parte sua, il Borbone gli consigliò prudenza, e un simbolico gesto di sottomissione al Pontefice. Dopo il quale, in effetti, per i Massoni napoletani non ci furono pene e la Rosa d'Ordine Magno continuò a svolgere indisturbata, seppur nella dovuta segretezza, i propri cerimoniali esoterici.

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Tra i grandi avversari del principe spiccano il domenicano Daniele Concina, predicatore noto per le sue intemerate contro «gli ateisti, i deisti, i materialisti e gli indifferentisti»; il gesuita Pasquale De Mattei, consigliere ecclesiastico del Re, maestro de' Novizi nel Collegio della Nunziatella; e, fra tutti, l'abate Innocenzo Molinari, che pubblicò addirittura un pamphlet diffamatorio al preciso scopo di demolire la «Lettera Apologetica», definita la «sentina di tutte l'eresie».

A nulla valse, come si è detto, la Supplica umiliata alla Santità di Benedetto XIV: l'atmosfera attorno al principe si era fatta arroventata. Il 13 febbraio 1754 il segretario della Congregazione dell'Indice Agostino Ricchini, al quale Benedetto XIV aveva affidato la patata bollente, bocciò senza appello la Supplica umiliata, respingendo la richiesta del Principe di graziare la «Lettera Apologetica». Per gli ambienti ecclesiastici romani Sansevero era ormai il diavolo in terra, nonostante la protezione di cui continuava a godere presso la corte borbonica.

Una singolare coincidenza: quello stesso giorno, il 13 febbraio 1754, lo scultore Giuseppe Sanmartino ricevette dal principe di Sansevero l'ultimo pagamento di 30 ducati, a saldo della somma pattuita per la realizzazione della «statua scolpita in marmo di Nostro Signore Gesù Cristo morto, ricoperto da una sindone di velo trasparente dello stesso marmo». Nelle stesse ore in cui il principe maledetto diventava a tutti gli effetti, per le alte sfere del Vaticano, una sorta di Anticristo, nasceva a Napoli la leggenda del Cristo Velato. 

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