C'era una volta Forcella:
la memoria perduta
degli adoratori di Mithra

C'era una volta Forcella: la memoria perduta degli adoratori di Mithra
di Vittorio Del Tufo
Domenica 21 Aprile 2019, 20:00
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«Per me e per quanti amano le patrie glorie quelle mura sono sacre; io le guardo sempre con religiosa venerazione. Passando sotto le basse volte di quegli archi, la mia fantasia attraversa i secoli e, come per incanto, si trasporta ai tempi che furono». (Bertolommeo Capasso).
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Napoli, 1943. Un'incursione aerea rade al suolo un'intera area compresa tra via Duomo e Forcella. I bombardamenti fanno tornare alla luce i resti di un complesso di epoca romana poi inglobato nella Chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi. È un ritrovamento archeologico straordinario: il sottosuolo della città non smette di riservare sorprese, nemmeno durante la guerra. Scavando tra le macerie gli archeologi scoprono che tra i muri e il fondo della chiesa erano nascosti i resti di un grosso edificio, dell'estensione di un'intera insula compresa tra il Decumano maggiore e il Decumano minore. Il complesso di Carminiello ai Mannesi potrebbe essere un vanto della nostra città, una meravigliosa attrazione turistica, una medaglia da appuntarci sul petto. E invece è un tesoro che cade a pezzi. Come tanti altri frammenti della nostra memoria di pietra.

Fu un'importante campagna di scavi condotta tra il 1983 e il 1984, con i fondi del post-terremoto, a riportare alla luce il complesso archeologico di Carminiello ai Mannesi. Grazie al lavoro di archeologici tenaci, come Paul Raymomd Arthur, oggi docente di archeologia medievale e presidente della Società di Archeologi Medievisti Italiani, il sito fu aperto al pubblico con il preciso obiettivo di sottrarlo al degrado. Ma il complesso archeologico, in larga parte inglobato nelle abitazioni private, è stato lentamente abbandonato. Nel 94 un boss del quartiere, appassionato di cavalli, trasformò l'area archeologica nella propria scuderia. Recentemente i residenti hanno sistemato un cartello per chiedere l'abbattimento di un muro abusivo, fatto innalzare - denunciano i cittadini - da un clan camorristico. Gli scavi, periodicamente sommersi dai rifiuti, sono di fatto inaccessibili. A guidare, di tanto in tanto, i cittadini e i turisti alla visita del complesso monumentale, con i resti dell'antica Neapolis, è un'associazione del territorio. Ci sarebbe ancora molto da cercare e da trovare, ma purtroppo, come ha ammesso recentemente il sovrintendente Garella intervistato da Repubblica Napoli, «non c'è il personale per tenere aperte tutte le aree archeologiche».

L'edificio romano di Carminiello ai Mannesi, testimone silenzioso della storia della città, fu edificato alla fine del primo secolo d.C. Durante l'epoca imperiale vi fu installato un mitreo (una cavità adottata dai seguaci dei mitraismo) riconoscibile dai resti di un rilievo in stucco visibile sulla parete di fondo, dove è rappresentato il dio Mithra nell'atto di uccidere il toro. L'edificio, con annesso luogo di culto pagano, fu poi inglobato (nell'Alto Medioevo) in una prima chiesa, a sua volta inglobata, nel 500, nella chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi, distrutta dai bombardamenti del 1943. Dunque ci troviamo di fronte a un perfetto esempio di stratificazione architettonica, urbanistica e religiosa. Il diminutivo Carminiello fu usato per le dimensioni modeste della chiesa; il toponimo Mannesi, invece, si riferisce invece a tutta l'area, nella quale lavoravano soprattutto costruttori e riparatori di carri. Le strutture dell'edificio romano, sopravvissute alle devastazioni del tempo, sono tuttora visibili in vico Carminiello ai Mannesi, a est di via Duomo e all'interno dell'isolato delimitato da via Tribunali e via San Biagio dei Librai.
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Il culto di Mithra, la divinità indio-iranica che «guida le anime nel loro viaggio», giunse a Napoli - città che prima e più di altre ha conosciuto la penetrazione di popoli, lingue e religioni diverse - con i legionari che avevano in precedenza prestato servizio in Oriente. I napoletani, forse delusi da altri idoli troppo distratti o bugiardi, mostrarono di apprezzare questo giovane dio solare che - con il caratteristico copricapo frigio (lo stesso usato poi dai rivoluzionari francesi) e raffigurato nell'atto di uccidere il toro che cavalcava, rigenerando così la vita e la fecondità dell'universo - guidava le anime nel loro viaggio oltreterreno. Quando il Cristianesimo prese definitivamente piede, tuttavia, e i seguaci di Gesù non furono più costretti a riunirsi in segreto nelle catacombe, toccò ai sacerdoti pagani essere perseguitati; e i seguaci di Mithra furono ricacciati nel buio.

Tracce dei mitrei, le cripte adoperate per le cerimonie d'iniziazione, sono tuttora visibili in alcune zone di Napoli e rivelano dove gli adoratori del Sol Invictus usassero incontrarsi. La colonia più attiva si riuniva proprio nei pressi dell'attuale via Duomo. Un altro tempio dedicato a Mithra fu edificato all'interno dell'antica caverna di Piedigrotta; il bassorilievo, simile a quello appena descritto, fu scoperto in epoca vicereale nella Crypta che la leggenda, come vedremo, vuole edificata in una sola notte da Virgilio. I lavori di ampliamento della galleria, tuttavia, oltre a comprometterne la stabilità hanno causato la scomparsa del mitreo; quanto al bassorilievo - l'immagine di un giovane e riccioluto dio con calzoni, tunica, mantello e il consueto berretto frigio - si trova oggi al Museo Nazionale di Napoli.

Del culto mitraico il Cristianesimo delle origini mutuò molti simboli e liturgie: la data del 25 dicembre, giorno simbolico della nascita di Cristo, è la stessa celebrata dai seguaci di Mithra per ricordare la nascita del loro dio, e comune è anche la simbologia della grotta, palcoscenico di riti sacri e culti misterici per entrambe le religioni.
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Ernest Renan, scrittore, filosofo e storico delle religioni, sosteneva che «se il Cristianesimo fosse stato fermato nella sua espansione da qualche morbo mortale, il mondo sarebbe stato mitriaco»; e Julius Evola, a sua volta, definì il mitraismo «l'antagonista più terribile del Cristianesimo».
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Nell'area archeologica di Carminiello ai Mannesi sono tuttora visibili anche tracce degli antichi bagni termali. Furcillensis era, sin dall'antichità, il nome attribuito alla regione Termense. Si trattava di un luogo molto esteso e particolarmente ricco di acque: tra l'attuale via Duomo e Forcella, un'intera insula di Neapolis era un susseguirsi di bagni termali. Altri reperti sono stati individuati all'altezza di piazza della Borsa, nell'area dove oggi sorge la Camera di Commercio. Le strade sono impregnate di antiche memorie: nel quartiere delle Terme si riversava gente di tutte le estrazioni sociali, che veniva a rilassarsi con bagni e massaggi o a fare ginnastica, ma anche a dilettarsi nel canto e nella recitazione. Memorie di un tempo che non c'è più, ma che rivive, ogni giorno, nei labirinti della toponomastica e della nostra memoria.
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