Giallo a Monteoliveto,
il Caravaggio perduto
tra le ombre della città

Giallo a Monteoliveto, il Caravaggio perduto tra le ombre della città
di Vittorio Del Tufo
Domenica 30 Giugno 2019, 20:00 - Ultimo agg. 1 Luglio, 13:07
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«La scena di Apocalypse Now, quando Brando-Kurtz emerge dalle tenebre, l'ho girata pensando a Caravaggio, rimandando il più possibile lo svelamento del volto».
(Vittorio Storaro).
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Attraversare una città significa muoversi nello spazio, ma anche camminare a ritroso nel tempo. A volte basta scendere di pochi metri sotto il livello della strada per perdersi nei secoli passati e nei misteri della nostra storia. La splendida chiesa di Sant'Anna dei Lombardi, a Monteoliveto, ci permette di viaggiare nel tempo grazie - soprattutto - al suo cuore di tenebra: la Cripta degli Abati.

L'Uovo di Virgilio vi entra in punta di piedi, attraverso una scala a doppia rampa proprio al di sotto del coro. La visita all'ipogeo lascia senza fiato: consente di ammirare il putridarium, la struttura in pietra un tempo utilizzata per il processo di scolatura dei liquidi corporali. Sopra i sedili, in passato, sono state ritrovate anche teche con i resti mortali di personaggi illustri. Sulle volte, invece, sono visibili affascinanti affreschi raffiguranti una Foresta Sacra e la scena del calvario.

Siamo nel cuore di una certa Napoli magica e nobilissima il cui cuore continua a battere sotto le colate di cemento di una modernità che ha cancellato ogni traccia del passato. Quasi ogni traccia: la Foresta Sacra di Monteoliveto - dove secondo diverse fonti sarebbero conservate le spoglie del marchese Bernardo Tanucci, uomo di fiducia di Carlo di Borbone e di suo figlio Ferdinando IV - è ancora oggi uno scrigno di memorie. Un luogo ammantato di mistero celato sotto terra, nel cuore dell'antico monastero benedettino degli Olivetani.
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C'è stato un tempo in cui l'intera area dove oggi sorgono alcuni tra gli edifici più famosi della città - il palazzo delle Poste, la caserma Pastrengo - era un luogo di meditazione, di raccoglimento e di preghiera. Ma anche di studio. Il palazzaccio di piazza Matteotti era il Chiostro Grande del grande complesso monastico di cui la chiesa di Santa Maria di Monteoliveto - più conosciuta come Sant'Anna dei Lombardi - rappresentava l'epicentro e il cuore. La cittadella monastica, che si trovava fuori le mura delle città, comprendeva ben quattro chiostri, oggi incorporati nella vicina Caserma Pastrengo, sede del comando dei Carabinieri, o addossati al palazzo delle Poste. Un tesoro del passato, e della nostra memoria, inibito alla fruizione collettiva. E che andrebbe invece restituito alla città.

La chiesa venne fondata nel 1411 da un nobile del Sedile di Porto, Gurello Origlia, protonotario del re Ladislao di Durazzo, che patrocinò la costruzione di un piccolo luogo di culto - Santa Maria di Monteoliveto - affidandolo ai padri Olivetani. La fabbrica fu sottoposta poi a radicali lavori di ampliamento da parte di Alfonso I di Napoli, il re magnanimo, devotissimo dell'ordine olivetano. Per un lungo periodo la chiesa divenne il centro spirituale della corte aragonese e della nobiltà napoletana, le cui lapidi si conservano ancora oggi nel pavimento della navata: tutte sepolture di tipo araldico-epigrafico risalenti al 400 e al 500. A poca distanza dalla chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, nel 1582, fu edificata la chiesa della nazione lombarda, dedicata a Sant'Anna. A quei tempi la colonia dei lombardi era particolarmente attiva in città. Con questo termine venivano indicati gli abitanti del nord Italia e della Svizzera, in particolar modo quelli del Canton Ticino. Quando, nei mesi convulsi della rivoluzione napoletana del 1799, Ferdinando di Borbone dispose l'allontanamento degli olivetani, sospettati di simpatie con i rivoltosi, l'Arciconfraternita dei Lombardi colse l'occasione per spostarsi nella chiesa di Monteoliveto che cambiò dunque denominazione nel 1801, assumendo il nome di Sant'Anna dei Lombardi.

Sulla volta di quello che era a quel tempo il refettorio della chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, divenuto poi sacrestia di Sant'Anna dei Lombardi, l'aretino Giorgio Vasari realizzò nel 1544 uno dei suoi capolavori: un ciclo di affreschi e decorazioni che rappresenta, ancora oggi, la più importante impronta del rinascimento fiorentino a Napoli. La fama del Vasari era giunta a Napoli grazie ai numerosi lavori che aveva effettuato fra il 1542 ed il 1544 a Roma e grazie alla capacità di svolgere molto rapidamente le commissioni affidategli. Durante il breve soggiorno nel capoluogo campano, durato solo due anni (1544-1545), il grande artista ebbe varie committenze da parte del viceré don Pedro da Toledo, da parte di ordini religiosi e di nobili. Gli affreschi furono eseguiti nel 1545 dal Vasari con l'aiuto di Raffaellino del Colle, il quale eseguì alcune figure su disegno del maestro aretino.

Preghiere, meditazioni e visitatori illustri. Nel monastero di Monte Oliveto si stabilì nel 1588 Torquato Tasso, che vi realizzò la versione definitiva della sua Gerusalemme. Per ripagare l'ospitalità ricevuta iniziò a scrivere un poemetto dal titolo Monte Oliveto, ma l'opera rimase interrotta dopo un centinaio di ottave.

Tra le sculture conservate a Sant'Anna dei Lombardi spicca l'edicola sepolcrale dedicata al grande Domenico Fontana, l'architetto che realizzò a Napoli il Palazzo Reale e la Fontana del Nettuno. Ma è soprattutto il vasto oratorio che si apre a destra del presbiterio a catturare l'attenzione dei visitatori. Il celebre Compianto sul Cristo morto, in terracotta smaltata, fu realizzato dallo scultore modenese Guido Mazzoni nel 1492, dunque in pieno periodo aragonese, e le otto statue a grandezza naturale che compongono la scena - palpitante e viva sotto gli occhi di chi la osserva - secondo la tradizione rappresenterebbero proprio i sovrani aragonesi. Così, in un incredibile gioco di specchi, alcuni hanno individuato, nelle vesti di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo, i ritratti di Ferdinando I e di suo figlio Alfonso II d'Aragona (il committente dell'opera); altri quelli di Alfonso II e di suo figlio Ferrandino; altri ancora i volti di Jacopo Sannazaro (Nicodemo) e di Giovanni Pontano (Giuseppe d'Arimatea).
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Napoli, è la sera del 26 luglio 1805. Il giorno di Sant'Anna. Una violenta scossa di terremoto scuote la città, distruggendo palazzi e tesori d'arte. «Levossi di repente un vento fresco, ed impetuoso, che rendendosi a celeri gradi più violento e gagliardo fino a divenir turbinoso, e furente, fu accompagnato da uno spaventevole rombo..», scrive Giuseppe Saverio Poli (Memoria sul tremuoto de' 26 luglio del corrente anno 1805). Sant'Anna dei Lombardi, lo scrigno del rinascimento napoletano, resiste solo in parte alla frustata della terra. Il crollo fa perdere alla città tre opere di Caravaggio: San Francesco che riceve le Stimmate, San Francesco in meditazione e una Resurrezione, di cui esiste una copia del fiammingo Louis Finson ad Aix-en-Provence. Delle tre opere di Michelangelo Merisi - commissionategli dal mercante bergamasco Alfonso Fenaroli nel 1607 - non è rimasta più alcuna traccia: forse distrutte, forse disperse. Uno dei capolavori di Caravaggio custoditi a Napoli, la Flagellazione di Cristo, eseguita tra il 1607 ed il 1608 per la Chiesa di San Domenico Maggiore e spostata al Museo di Capodimonte nel 1972, presenta sorprendenti analogie con la Flagellazione di Cristo scolpita nel 1576 (da un anonimo campano) sull'altare dei fratelli Rapario nella cappella Cavaniglia di Sant'Anna dei Lombardi. Ancora un gioco di specchi, di repliche e di ispirazioni. Caravaggio sicuramente frequentò l'antica cittadella degli olivetani. E - esattamente come noi oggi - ne rimase abbagliato, forse stordito: il grande artista trasse ispirazione dalle opere che vi erano (e vi sono) custodite? Suggestioni, echi, specchi riflessi. Nel libro Con gli occhi di Caravaggio Francesco De Core immagina che il genio di Merisi presagisse per le tre opere commissionategli da don Alfonso Fenaroli un destino funesto, una cappa di maledizione. «Come se qualcuno volesse rapirle, o cancellarle, perché, in fondo, è il destino che vuol togliere di mezzo Michel'Angelo senza dargli un alito di redenzione, una possibilità di mondarsi dalle colpe, perché io so che i miei torti, le mie negligenze, i miei delitti mi macchieranno per l'eternità di fronte a Dio e agli uomini che verranno».
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