I ragazzi di Palumbo:
quando l'Angiporto
era una palestra di vita

I ragazzi di Palumbo: quando l'Angiporto era una palestra di vita
di Vittorio Del Tufo
Domenica 20 Ottobre 2019, 20:00
6 Minuti di Lettura
«Io non mi sono seduto sulla riva del fiume secondo il consiglio cinese. Io seguo addolorato il tuo funerale e dico di te tutto il bene possibile... In effetti, non ti ho mai lesinato la mia stima: chi ti ha indicato con maggior calore e sincerità al direttore editoriale della rosea nel 76 sono stato io; naturalmente precisando, anche di fronte a te, che non sarei rimasto un minuto in una tua redazione. Queste cose riscrivo ora perché nessuno mi prenda per ipocrita... Addio, bravo collega. Ti sia lieve la terra»
(Gianni Brera, in ricordo di Gino Palumbo, 30 settembre 1987).
* * *
Nel dicembre del 1961 Gino Palumbo lasciò il Mattino per dirigere i servizi sportivi del Corriere della Sera. Fu un avvenimento a suo modo epocale. A Napoli Palumbo godeva di un'enorme autorevolezza e in molti, riconoscendolo per strada (o allo stadio) gli chiedevano addirittura l'autografo. Capitava spesso, quando il Napoli aveva dei problemi, che venisse invocato Palumbo. A un certo punto i tifosi gli chiesero perfino di diventare il direttore tecnico della squadra. Lui declinò l'invito: non è il mio mestiere, io sono solo un giornalista. Non declinò, invece, l'invito di Alfio Russo, direttore del Corriere, che voleva scuotere il quotidiano di via Solferino da un'austerità un po' sonnolenta. C'era il maledetto Giorno sui cui scriveva lo stramaledetto Gianni Brera a dare del filo da torcere al Corriere, a sottrargli copie in edicola. Gino capitolò, perché sua madre, bloccata da un'artrite deformante, gli disse: «Un giornalista non può dire no al Corriere; se rifiuti lo fai per me, e io non potrei perdonarmelo. Devi andare a Milano».

Nel dicembre del 1961 Gino saluta i colleghi, che gli chiedono una foto ricordo. La scatta il grande Riccardo Carbone, al Circolo della Stampa (oggi scandalosamente sventrato). È la foto che vedete in questa pagina, ed è una foto storica per il giornalismo napoletano. Perché illustra un momento di svolta non solo nella parabola umana e professionale di Palumbo - all'epoca già famosissimo - ma anche dei ragazzi che condivisero con lui ogni riga di piombo, ogni pallone rotolato in rete, ogni notte di rotative, ogni stilla di fatica in quel luogo mitico e leggendario che era Vico Rotto San Carlo, ovvero l'Angiporto Galleria. Un ventre materno, un luogo della nostra memoria. E uno straordinario incubatore di storie, sogni, passioni e destini, per un'intera generazione di giornalisti e intellettuali napoletani.
* * *
Questa è una storia di giornalismo e passione, ma anche di amicizia, rivalità e scazzottate, e di improbabili duelli all'alba, con tanto di padrini e cassette del pronto soccorso. È una storia che comincia nel 1950, quando si chiude la lunga parentesi del Risorgimento (quotidiano fondato a Napoli nel 1943, dopo la liberazione della città da parte degli Alleati, in sostituzione dei tre quotidiani partenopei all'epoca esistenti) e rinasce il Mattino, con la direzione di Giovanni Ansaldo. Gino Palumbo è a capo delle pagine sportive: per lui è il coronamento di un sogno. L'uomo che rivoluzionerà il giornalismo italiano era nato a Cava de' Tirreni il 10 gennaio del 1921, figlio di un avvocato dai robusti ideali socialisti. A 14 anni aveva cominciato a frequentare la redazione napoletana della Gazzetta dello Sport, in via Santa Brigida, a pochi passi dalla chiesa dov'è sepolto Luca Giordano. Si era presentato in calzoni corti dal grande Arturo Collana, capo della redazione, detto o sceriffo per l'andatura alla John Wayne, chiedendogli di collaborare. «Ma che vi credete, giovanotto, che questo è l'asilo infantile?», lo gelò don Arturo, l'uomo che avrebbe dato il nome allo stadio del Vomero, che però gli permise di frequentare la redazione «ma solo due volte la settimana». Gino era o piccirillo, aveva i capelli color grano, un quadernetto con i riassunti dell'Iliade e dell'Odissea e una passione enorme: il giornalismo. Diventò il ragazzo di bottega di via Santa Brigida. La Gazzetta, prima di diventare il suo destino, fu il suo trampolino di lancio.

Stacco, Angiporto Galleria, primi anni Cinquanta. Gli irripetibili anni della Fleet Street napoletana. Quattro rampe di scale consunte, un ballatoio traballante e la porta a vetri col gallo. In quelle stanze oggi popolate di ombre dopo la guerra passò mezza Italia: giornalisti, scrittori, attori, rivoluzionari, belle donne e uomini di successo. Stanze della memoria frequentate anche da fior di poeti, come Giosuè Carducci e Gabriele D'Annunzio, che nella sede del Mattino comporrà numerose poesie che verranno poi pubblicate in prima pagina. E nella vicina sede dell'Unità, nello stesso stabile, personaggi del calibro di Mario Alicata, Maurizio Valenzi, Renato Caccioppoli, Massimo Caprara, Luigi Incoronato, Gerardo Marotta, Luigi Compagnone, Domenico Rea, Anna Maria Ortese. L'Angiporto conviveva con la Broadway napoletana; mentre i giornalisti del Mattino e dell'Unità, ma anche di Paese Sera e del Tempo, battevano sulle tastiere, attori, cantanti e soubrettes occupavano appartamenti e soffitte in Galleria.

È questo il mondo - il nido - dei ragazzi di Gino Palumbo. Da Riccardo Cassero a Romolo Acampora, da Giuseppe Pacileo a Lello Barbuto, da Clodomiro Tarsia a Ernesto Tempesta, da Cesare Marcucci a Gerardo Guerra, da Gianni De Felice a Gegè Maisto, da Franco Esposito a Ciccio Assini, da Mario Caruso a Maurizio Mendia, e tanti altri. Gente tosta, che con il maestro macina pagine e chilometri di piombo. In pochi mesi la redazione sportiva del Mattino diventa una palestra di giornalismo (e di vita) per tanti giovani, molti dei quali abusivi, che coltivano il sogno di sfondare nel giornalismo. Palumbo coccola la nidiata. La notizia è la sua Bibbia: la trattava - scrisse Cesare Lanza - «come un bravo sacerdote dice messa, con rispetto, trasmettendo la fede a chi lo ascolta». E Palumbo trovava l'acqua, cioè la notizia, anche in mezzo al deserto.

È Gino a inventare le pagelle, il racconto a caldo del dopo-partita, il sudore degli spogliatoi. All'Angiporto si lavora senza tregua, prestando attenzione - novità assoluta, a quei tempi - anche alle emozioni degli atleti in campo, alle curiosità, ai retroscena, al non detto delle gare. È l'alba del giornalismo sportivo moderno. Il lunedì esce un inserto su pagine rosa, un colore che affascina da sempre Palumbo (È un colore che si addice alle pagine sportive, è un po' il colore della gioventù) e che diventerà la sua vita, quando Palumbo, molti anni dopo, verrà chiamato a dirigere la rosea, ovvero la Gazzetta dello Sport.
* * *
«Oggi ci chiediamo, al di là dei sentimenti e degli impulsi emotivi, perché la lezione di questo personaggio del nostro mondo sia rimasta così presente, così attuale. Palumbo, pacioso e compassato in apparenza, è stato in realtà un rivoluzionario della nostra professione. Il cosiddetto settimanalismo nel quotidiano, oggi largamente diffuso, è roba sua. I più incisivi modelli di giornale moderno, popolare di successo, discendono dal suo filone» (Candido Cannavò)
* * *
Nel cuore della notte, dopo una giornata spesa quasi tutta in redazione - l'ultima edizione chiude alle 4 - con il giornale ancora fresco d'inchiostro, i ragazzi di Gino Palumbo si ritrovavano in trattoria, da Rafele a piazza San Ferdinando o da Giacomino di fronte al Maschio Angioino. O davanti al chiosco di piazza Trieste e Trento, a pochi metri dall'Angoporto, per il rito della limonata con l'acqua suffregna. Uno dei luoghi di ritrovo dei cronisti è la bottega del barbiere Carminiello, all'Angiporto Galleria. È da Carminiello che verrà partorita l'idea del settimanale sportivo Sport Sud, una vecchia, cara conoscenza del napoletani. I ragazzi di Gino sono attenti agli umori dei tifosi. Le riunioni dello Sport cominciano sempre con una domanda: «Di cosa parla la gente oggi?».

Altra regola: ascoltare il parere dei colleghi poligrafici, sempre. Se un tipografo dice «questo titolo non lo capisco, non mi è chiaro», è il segnale che il titolo bisogna cambiarlo, punto e basta. Anche i tipografi, che hanno diritto a un litro e mezzo di latte al giorno come antiossidante del piombo, perché si stampa a caldo, sono maestri per i giornalisti che hanno voglia di apprendere.

(1-continua)
© RIPRODUZIONE RISERVATA