Naufragio a Megaride,
la principessa in fuga
che diventò santa

Naufragio a Megaride, la principessa in fuga che diventò santa
di Vittorio Del Tufo
Domenica 15 Settembre 2019, 20:00 - Ultimo agg. 17 Settembre, 07:03
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Si fonda una grand cité/sur un uef par tel poesté/que quant aucuns l'uef remuoit/toute la cité en croloit
(Gautier de Metz, L'Image du Monde)
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Cera una volta una bella principessa orientale, discendente di Costantino il Grande, che viaggiando per mare dopo essere fuggita da un matrimonio impostole con la forza dalla famiglia, venne sorpresa da una furiosa tempesta e fece naufragio a Napoli, sull'isolotto di Megaride, dove fondò una comunità di preghiera e di assistenza ai poveri e ai malati. Solo una favola da Mille e una Notte? No, la principessa in fuga è realmente esistita, si chiamava Patrizia e oggi è compatrona della città. Per sottrarsi alle grinfie di un perfido zio, che avrebbe voluto darla in sposa a un ricco mercante, Patrizia fece voto di castità. E per tener fede al suo giuramento, decise di fuggire dalla sua terra e raggiungere Roma per ricevere la benedizione di Papa Liberio, mandando così al diavolo i lussi e i privilegi della vita monarchica e abbracciando quella monastica.

Fu dopo l'incontro con il Pontefice, e durante un rocambolesco viaggio verso la Terra Santa che sarebbe avvenuto il naufragio. Nell'isola di Megaride, dove la tempesta spinse il suo legno, e dove già era sorta una fervida comunità religiosa, Patrizia visse i pochi anni che le restavano con la fedele nutrice Aglaia ed alcuni eunuchi. Attorno a lei si sviluppò una piccola comunità di devote, che - con la bella principessa venuta da lontano - si chiusero in clausura e rimasero a sorvegliare il corpo della vergine quando questa morì, ad appena 21 anni. Era il 25 agosto del 685 dopo Cristo; circa mille anni dopo, nel 1625, la discendente di Costantino sarebbe diventata santa.

La storia di Patrizia, la principessa che si ribellò alla volontà dei parenti - uno straordinario romanzo di formazione e di devozione ambientato nella Napoli dell'Alto Medioevo - presenta incredibili analogie con la leggenda, intrisa di esoterismo e mistero, della Sirena Partenope: il drammatico viaggio per mare, la verginità, la morte sull'isolotto. Le numerose grotte nel tufo, sulle quali sorge il Castel dell'Ovo, normalmente chiuse perché poco sicure per il pubblico, sono dette ancora oggi Romitorio di Santa Patrizia. Siamo in presenza di una tipica sovrapposizione tra culti pagani e culti cristiani. Non deve stupire: a Napoli, e più in generale in tutto il Mediterraneo, non v'è un solo luogo o culto pagano di cui il Cristianesimo delle origini non si sia impossessato per edificare la propria grandezza.
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Nell'Alto Medioevo, dunque, la vita leggendaria di Patrizia da Costantinopoli si incrocia con le vicende storiche ambientate nel più antico castello di Napoli. L'antica Villa di Lucullo, luogo di piaceri, ozi e delizie, era stata fortificata, verso la metà del V secolo secolo d.C., dall'imperatore Valentiniano; successivamente (nel 476) divenne il luogo di prigionia dove trascorse il crepuscolo della sua vita Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore romano d'Occidente, messo alla sbarra dal rivale Odoacre.

Dopo la morte di Romolo Augustolo non solo la piccola isola di Megaride, ma l'intera zona di Pizzofalcone, tagliata fuori dalla città, divenne un'area conventuale. I cenobi occuparono il vasto spazio dove Lucullo ospitava i suoi pantagruelici banchetti. Tra il 492 e il 496 nell'isolotto si insediarono i monaci dell'ordine di San Basilio, fuggiti dalla Pannonia, che crearono un importante scriptorium e svolsero (con salmodiante umiltà, a voler prendere a prestito le parole di Umberto Eco ne Il nome della rosa) lavori di ricerca e copia di antichi codici e pergamene greche e latine. Avevano pazienza da vendere, i monaci basiliani; soprattutto, avevano a disposizione ciò che restava della mitica biblioteca luculliana. Insomma, occupare il tempo libero per i basiliani (probabilmente esperti anche in pratiche alchemiche) non era certo un problema.

I romitori basiliani di Castel dell'Ovo, scavati nel tufo, sono ancora oggi una straordinaria testimonianza di quel periodo. A Megaride sorsero anche altri monasteri, che alla fine del 600 si fusero tutti nell'accettazione della regola di San Benedetto. Fu più o meno in quel periodo che nell'isolotto sbarcò la nipote di Costantino il Grande.
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Narra la leggenda che, alla morte della principessa, la fedelissima Aglaia ne depose il corpo su un carro trainato dai buoi, che senza alcuna guida lo portarono davanti al tempietto dedicato ai santi Nicandro e Marciano, sulla collina di Caponapoli, che divenne così il luogo di sepoltura. Oggi l'antico monastero dei santi Nicandro e Marciano, che è parte integrante del complesso di Santa Patrizia (in zona Incurabili), è adibito ad Aula Magna della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Luigi Vanvitelli. Vi sono conservati numerosi affreschi legati alla memoria della monaca bizantina, raffiguranti la traslazione di Santa Patrizia dal Castello Lucullano, Santa Patrizia che dispensa ai poveri il suo patrimonio, il Pontefice che le dà il velo, il cadavere intatto di santa Patrizia che versa sangue dalla bocca. Nel 1864 le reliquie della religiosa bizantina furono traslate nella chiesa di San Gregorio Armeno, capolavoro del barocco napoletano, sorta sulle rovine del tempio pagano dedicato a Demetra.

Al culto di Patrizia è ancora oggi legato non solo il misterioso fenomeno della manna che fu visto stillare dalla sua tomba nel Medioevo, ma anche (e soprattutto) il prodigio della liquefazione del sangue, simile a quello di San Gennaro. La memoria popolare tramanda la leggenda di un cavaliere romano che, afflitto da enormi sofferenze, volle andare a pregare sulla tomba della santa per ottenere la guarigione. Nell'impeto della preghiera, dopo una notte febbrile, l'uomo aprì l'urna e strappò un dente alla religiosa, morta qualche secolo prima.

Dalla bocca di Patrizia fuoriuscì del sangue che venne raccolto in due ampolline. È lo stesso sangue che, come quello del più famoso Gennaro, si liquefa ogni martedì mattina e il 25 agosto, giorno in cui si celebra la sua ricorrenza liturgica. Sangue di stirpe imperiale, come la monaca che fece naufragio a Megaride.
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Carcere, cenobio, monastero, fortezza, baluardo tra la furia del mare e la potenza del fuoco, teatro di misteriosi approdi, ma anche eterno custode dell'Uovo alchemico, depositato dal poeta (e mago) Virgilio, simbolo dalla cui integrità dipenderebbero ancora oggi le sorti non solo dell'isolotto, ma di tutta Napoli: le cronache del Medio Evo riportano che al tempo della regina Giovanna I il Castello subì gravissimi danni in seguito a una furiosa mareggiata, e la regina stessa fu costretta a dichiarare solennemente di aver provveduto a sostituire l'Uovo per evitare che in città si diffondesse il panico! Tutto questo è stato, è ancora oggi e sarà per sempre il Castel dell'Ovo, sospeso tra storia e leggenda e simbolo di una città dove anche le favole danno il nome ai luoghi.
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