La ninfa Nisida e il dio Posillipo:
storia di Ciclopi, miti e congiure

La ninfa Nisida e il dio Posillipo: storia di Ciclopi, miti e congiure
di Vittorio Del Tufo
Lunedì 7 Maggio 2018, 10:18 - Ultimo agg. 20:09
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«Dimmi, Nisida mia così non sentano
le rive tue già mai crucciata Dorida
né Pausillipo in te venir consentano
non ti vid'io poc'anzi erbosa e florida
abitata da lepri, e da cuniculi?
non ti vegg'or, più che altra,
incolta ed orrida?

(Arcadia, Jacopo Sannazaro)

* * *

In una delle sue leggende più belle, Matilde Serao immaginò che Posillipo fosse «un giovane festevole senza chiasso e serio senza durezza: chi lo vedeva lo amava»; mentre Nisida, la sua regina di cuori, una donna fatta di «pietra levigata, dura e glaciale». Erano destinati a vivere uno di fronte all'altra, senza amarsi, divisi da un istmo di terra tanto sottile quanto invalicabile, come le separazioni che portano con sé la ferocia delle cose definitive.

Era bella, Nisida, bella e spietata. La Serao immaginò che per sfuggire a quella vista, che era il suo tormento e la sua seduzione, Posillipo non esitò a «precipitarsi nel mare e finire così la sua misera vita». Ma il fato decise diversamente, mutò lui in un «poggio che si bagna nel mare» e lei, la regina di pietra, nello «scoglio che gli è dirimpetto».

«Lui poggio bellissimo dove accorrono le gioconde brigate, in lui dilettandosi, lei destinata ad albergare gli omicidi ed i ladri che gli uomini condannano alla eterna prigionia così eterno il premio, così eterno il castigo». (Serao)

Se le avessero dato un nome - come fecero per Pausilypon, la collina che «placa il dolore» - di certo quel nome si sarebbe tramandato fino a noi. Invece i greci la chiamarono semplicemente Nesis, ovvero piccola isola. Stazio, che conosceva bene quei luoghi, parlò della selva che ne copriva la cima e delle «esalazioni malefiche» che provenivano dal cratere vulcanico. Plinio decantò le lodi dei suoi asparagi, i migliori che avesse mai mangiato, mentre Ateneo citò i conigli che la popolavano.

Ebbe abitatori illustri. Il più celebre di tutti fu Marco Giunio Bruto, che vi fece costruire la sua residenza estiva. O forse si limitò a farsi ospitare assieme alla moglie Porzia, per lunghi periodi, nella villa dell'amico Marco Licinio Lucullo. Cicerone, nelle Lettere ad Attico, dice di essere stato a Nisida ospite di Bruto. Quando? Probabilmente dopo le Idi di Marzo. Proprio a Nisis, assieme a Cassio, Bruto ordì la congiura contro Cesare. Ma quale fu il luogo preciso dell'intrigo? Dove si stabilì, esattamente, che Cesare dovesse morire? Delle ville di età romana non si hanno più tracce, se non quattro grotte scavate nel tufo di un piccolo ninfeo.

Alla congiura del 44 avanti Cristo presero parte più di sessanta persone. A guidare i congiurati erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus. Alla cospirazione aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, console designato per l'anno seguente, e Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42. I colloqui che prepararono il massacro si svolsero presso la villa di Marco Giunio Bruto a Nisida. Dopo l'assassinio del proprio padre adottivo, Bruto si ritirò a vivere di fronte la rada di Trentaremi, prima di andare a morire nella battaglia di Filippi contro Marco Antonio.

Sua moglie Porzia, figlia di Catone, scelse la quiete della regina di pietra per suicidarsi. Dopo aver saputo della tragica morte di Bruto, si tolse la vita trangugiando carboni ardenti, come annota Croce (Storie e leggende napoletane) citando Marziale.

Quando dello sposo Bruto Porzia udì il fato
e il dolore le chiedeva un'arma negata,
non sapete, disse, che non si può negare la morte?
avrei creduto che il suo destino ve l'avesse insegnato
disse, e faville ardenti bevve dall'avida bocca

(Marziale, Epigrammi)
 

 

Se a Megaride i primi coloni individuarono il luogo dove la sirena Partenope andò a morire, a Nisida fior di studiosi ed esploratori del mito hanno cercato a lungo le tracce del territorio abitato dai Ciclopi. Dove approdò Ulisse? Numerosi indizi conducono all'antico porto Paone, fondo dell'antico cratere di Nesis.

Ai Ciclopi di contra e né vicino/troppo, né lunge, un'isoletta siede/di foreste ombreggiata ed abitata/ da un'infinita nazion di capre/silvestri, onde la pace alcun non turba. (Omero, Odissea)

È proprio Nisida l'isola «abitata da un'infinita nazion di capre» dove approdò l'eroe omerico? Lo studioso francese Victor Bérard, esperto di storia e geografia dei poemi omerici, non ha dubbi. E Carlo Raso, autore della Guida letteraria del Golfo di Napoli, ne ripercorre gli studi e le esplorazioni. Ulisse, dunque, giunse a Nisida e poi, «abbandonando i tre quarti dell'equipaggio presso la nave tirata a secco», salì alla grotta di Polifemo. La quale altro non era che la gigantesca grotta di Seiano, che penetra nella collina fino al vallone di Bagnoli. Sbarcati alla casa di San Basilio, i primi navigatori salivano fin qui per acquistare bestie, latte e formaggi: la terra dei Ciclopi era abitata.

In epoca arcadica, Giovan Battista del Tufo descrive così la «piccola isola»: «Più innanzi ha per custode una isoletta/colma d'ogni piacer Nisita detta/che sol per essa è ferma in mezzo al mare,/notte e dì sempre attenta a vigilare,/ove prender potreste/ogni trastul, che voi donne vorreste/Et a cento di voi mariti e figli/gli sarian dati lepori e conigli».

Anche il letterato Giovanni Pontano guardava Nisida con gli occhi del mito. Il grande umanista, e primo ministro del Regno Aragonese di Napoli, immaginò che dall'amore tormentato tra il dio Posillipo e la vergine Nisida, «famosa per il suo serpillo, celebre per il suo timo», ma assai di più «per il suo miele», fosse nata la ninfa Antiniana. Si direbbe, come ha osservato lo studioso Sigfrido Höbel, che l'umanista abbia voluto alludere, con la sua favola, «ad un'ideale discendenza della sua Accademia, che si riuniva nella villa di Antignano, da un'antica tradizione culturale, identificata da nomi di Posillipo e Nisida».

«Piccola e snella, cosparsa di rare case bianche, recante come ghirlanda sul capo il rotondo suo castello» (Croce), Nisida ancora nasconde, nei suoi fondali, straordinari manufatti di epoca romana, sommersi per il fenomeno del bradisismo.

Nel Medioevo, ai tempi della regina Giovanna II, fu costruita sul punto più alto dell'isola una Torre di Guardia, per il controllo del territorio e di quel tratto di mare, oggetto di numerose mire espansionistiche. Nel periodo dei viceré spagnoli Nisida divenne il caposaldo del sistema difensivo della città, pianificato dal viceré don Pedro de Toledo, che si estendeva da Baia fino allo Sperone. A incutere terrore erano soprattutto le scorrerie del pirata Barbarossa, celebre comandante della flotta ottomana, sulle coste della Calabria, su Ischia e su Procida.

Nel 1553, durante il pontificato di Pio II, l'isola (che nel frattempo era divenuta di proprietà della chiesa di Napoli) fu venduta a Giovanni Piccolomini, duca di Amalfi, erede di una famiglia arrivata nel Regno di Napoli nel corso della prima guerra dei baroni contro re Ferrante. Nel punto più alto di Nisida, Piccolomini costruì un castello che divenne luogo di ritrovo per gli aristocratici del tempo, i quali vi si recavano spesso per sollazzarsi. Lo scoppio di una terribile epidemia di peste, nel 1626, convinse il viceré Antonio Álvarez de Toledo ad adibire il castello a lazzaretto per raccogliere gli appestati. Fu durante la dominazione borbonica che il fortilizio venne trasformato in un penitenziario. O, per meglio dire, in un «ergastolo», che ospitò pure molti detenuti politici.

Oggi Nisida è sede dell'istituto penale per i minorenni di Napoli e provincia.
Si finisce qui per reati che vanno dal furto all'omicidio. Ma Nisida non è un carcere minorile come gli altri. Qui la luce invade tutto, il lavoro è riabilitazione, la bellezza è terapia. Lo capì, prima di altri, il grande Eduardo, che dopo aver urlato il suo Fujtevenne lottò come una tigre per i ragazzi di Nisida. Nell'antico giardino di delizie la redenzione è benedetta dagli dei e dai poeti.

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