Posillipo e altri demoni:
Von Carnap, il barone
che scacciò i fantasmi

Posillipo e altri demoni: Von Carnap, il barone che scacciò i fantasmi
di Vittorio Del Tufo
Domenica 6 Gennaio 2019, 20:00
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«Questa felicità non ha ancora del tutto abbandonato Napoli. Le abbaglianti strade bianche conducono a Posillipo, e la veduta che si apre sulle forme vulcaniche del capo Miseno e dei Campi Flegrei si fondono col sapore della polvere sottile e dell'umidità amaro-salata del vento del mare»
(Pavel Pavlovic Muratov).
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Parigi, prima metà dell'Ottocento. C'era una volta una famiglia francese, di antico e nobilissimo lignaggio, proprietaria di splendidi castelli e scampata alla ghigliottina della Rivoluzione Francese. Originaria della storica contea di Angiò, la famiglia dei conti de Gibot non badava a spese per mantenere le sue residenze a Montmartre e a Saint-Germain o il sontuoso castello della Mauvoissinière, nei pressi di Bouzillè, nella valle della Loira. Ma quando la giovane moglie irlandese dell'ultimo rampollo dei de Gibot - Luc-Anatole, unico figlio maschio superstite - si ammalò di tisi, questa severa e aristocratica famille cresciuta tra castelli e dimore nobiliari scelse la collina più dolce di Napoli - Posillipo - per immergersi nella sua natura e godere dei benefici dei suo clima.

L'Ottocento fu, per Posillipo, un periodo di profonde trasformazioni urbanistiche. Le ville di oggi furono i luoghi e i «casini di delizia» della nobiltà e della borghesia cosmopolita di allora. Che scelse la costa del mito e della leggenda, e dei primi insediamenti romani, per costruirvi superbe ville a picco sul mare più bello del mondo.

Posillipo, dal greco Pausilypon, significa letteralmente pausa dal dolore. E il trentacinquenne Luc-Anatole-Charles-Philippe de Gibot, che aveva scelto per sé il titolo di marchese de Gibot, era convinto davvero che il clima di Posillipo avrebbe potuto placare il dolore della sua amata Margareth, di appena sedici anni. Ne era talmente convinto da non esitare, dopo aver girovagato per mezzo mondo, ad acquistare per la sua giovane innamorata una delle proprietà della marchesa di Salza: il fondo agricolo che dominava la spettacolare grotta di San Giovanni, a ridosso della rada del Cenito. La Villa della Grotta San Giovanni (poi villa Carnap) nacque dunque come pegno d'amore. L'amore di un uomo disposto a tutto pur di salvare la vita alla sua giovane e sfortunata compagna.

La storia ebbe un epilogo tragico. Nonostante il clima, e le cure, nel maggio del 1867 Margareth morì. Il marchese de Gibot la seguì nella tomba sei anni dopo, l'8 marzo 1873. Una vecchia foto (Saint Gregoire, archivio Fresnau) lo ritrae precocemente invecchiato, con lo sguardo spento e il capo reclinato su un braccio. Il dolore non gli aveva impedito, però, di convolare a nozze con la sorella della moglie, Mary-Jane. Così, alla morte del marchese (che segnò anche la fine della famiglia de Gibot) la villa di Posillipo passò in eredità alla vedova, la quale decise di metterla in vendita preferendo ritirarsi nel lusso altrettanto appartato del castello della Mauvoissinière, nella Loira.

A questo punto, per la splendida dimora di Posillipo affacciata sulle rovine di un passato leggendario, cominciò un secondo tempo. «Le richieste di acquisto non mancarono - ricorda Domenico Viggiani nel bel libro I tempi di Posillipo, dalle ville romane ai casini di delizia - ma il prezzo richiesto, di centocinquantamila franchi d'oro, doveva apparire proibitivo, se la villa stessa rimase in vendita per ben quarantacinque anni». Tra coloro che provarono (invano) ad acquistarla ci fu anche Anton Dohrn. Agli occhi del grande zoologo, fondatore e primo direttore della Stazione zoologica di Napoli, la Villa della Grotta San Giovanni doveva apparire come un paradiso terrestre. Un paradiso abitato da diavoli, però, almeno stando alla voce messa in giro dal custode della villa, che vi viveva in beata solitudine e non aveva alcuna intenzione di dividerla con un nuovo proprietario. Così, pur di allontanare possibili acquirenti, l'intraprendente custode mise in giro la voce che la villa a picco sul mare fosse infestata dai fantasmi. Da un fantasma, in particolare: quello della sventurata marchesina Margareth!
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«Immaginando che un uomo, non importa per quale motivo, debba trascorrere tutta la vita in un luogo, egli può dirsi invero fortunato se la sorte gli assegna la collina di Posillipo». (Renato De Fusco, storico dell'architettura).
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In alcune fotografie del secondo decennio del 900 la «Villa degli spiriti», come fu denominata, appariva come un fabbricato diruto, «privo del solaio di copertura, ingombro dalle macerie» (Viggiani). Nel 1919 fu acquistata da un napoletano, Felice Maglione, il quale per nulla impressionato dai fantasmi provvide a ristrutturarla innalzando il piano superiore e aggiungendovi un tetto a spioventi. Cinque anni dopo la proprietà passò a un'altra ricca aristocratica francese, la baronessa Marthe Frezet de Longprè, che abitò nella dimora fino al giorno della morte, il 24 giugno 1928.

A questo punto nella storia di Villa della Grotta San Giovanni fa irruzione un personaggio singolare e bizzarro, del quale i posillipini più anziani conservano ancora un ricordo inquietante: il terzo marito della baronessa, lo stravagante barone Filippo Costantino von Carnap, che alla morte della moglie - e a dispetto degli altri parenti - si godette la villa, per oltre trent'anni, in qualità di usufruttuario, benché il suo matrimonio fosse stato annullato fin dal 1918.

In molti lo conoscevano solo attraverso il suo titolo nobiliare: o barone. Il suo nome evocava una certa grandeur d'altri tempi, e qualche timore. Von Carnap, che non disdegnava la compagnia degli adolescenti, amava circondarsi di amici, per lo più austriaci e tedeschi, ospiti della sua prestigiosa dimora. Quando non girovagava per Posillipo a bordo della sua limousine, guidata da un inappuntabile chauffeur, amava andarsene lungo la costa, su un piccolo gozzo, accompagnato da una piccola corte di musici, alla maniera dei viceré del Seicento. O da solo, agghindato in un vecchissimo abito scuro fuori moda e in testa una specie di papalina, in cerca di occasionale compagnia. Nobile decaduto ma gaudente fino alla fine, nel ricordo dei posillipini più anziani vagamente rassomigliante a Pirandello, Filippo Costantino von Carnap resistette fino al 1963 ai tentativi degli eredi legittimi di sua moglie di mandarlo via. Alla fine dovette cedere, lasciando spazio a nuovi proprietari (una società che riscattò anche il suo usufrutto) e diventando memoria tra le memorie, fotogramma sbiadito di un mondo perduto. Ma intanto un altro barone, anch'egli tedesco, e altrettanto stravagante, avrebbe calcato le scene di Posillipo in quello stesso periodo.

(1/continua)
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