Un nome, un destino:
«Sergio Bruni mi disse:
piccerè, Carmela sei tu»

Un nome, un destino: «Sergio Bruni mi disse: piccerè, Carmela sei tu»
di Vittorio Del Tufo
Domenica 3 Novembre 2019, 20:00
6 Minuti di Lettura
«Stu' vico niro nun fernesce maje/e pur o sole passa, e se ne fuje/ma tu staje lla' tu rosa, preta e stella/Carmela Carme'»
(Salvatore Palomba-Sergio Bruni, Carmela)
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La ragazza si muove tra i tavoli. Raccoglie le ordinazioni senza rivolgere la parola a nessuno. Ha i capelli lunghi e neri. Lo sguardo fiero di una regina. «Pareva na leonessa».

Il Poeta sta mangiando da solo, moglie e figli sono in vacanza, sembra distratto. Sta ripensando ai versi scritti la sera prima, faceva caldo, non riusciva a dormire. Quei versi li aveva composti di getto, pensando al vicolo dov'era cresciuto, Tutti i Santi, tra il corso Garibaldi e l'Arenaccia. Era un vicolo scuro scuro, che non finiva mai. Ogni tanto, con un guizzo, si faceva vedere il sole, ma poi spariva, fuggiva via.

La ragazza ha uno sguardo di rosa, di pietra e di stella. «Nun guardava a nisciuno». All'improvviso si blocca, al centro della sala, e per un attimo guarda il Poeta. Il Poeta vorrebbe fermare questo momento, trattenerlo, dilatarlo, ma qualcuno chiama dalla cucina, un nome di donna, la ragazza si gira, volge lo sguardo altrove, si allontana...

È una sera di agosto del 1975. La scena si svolge in una piccola trattoria di Posillipo, di fronte a Palazzo Donn'Anna. Ancora nessuno lo sa, non lo sa la ragazza, non lo sa nemmeno il Poeta, ma in quel momento, in quel preciso istante, sta nascendo una delle più belle canzoni di tutti i tempi.

La ragazza si chiamava Carmela, il poeta era Salvatore Palomba.
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Oggi quella ragazza ha 64 anni, si chiama Carmela Abbate e gestisce il ristorante Zi Teresa, al Borgo Marinaro. Lo sguardo è ancora da leonessa, e il suo cassetto è pieno di ricordi. È cresciuta tra i fornelli di un'elegante trattoria di famiglia, la cucina è sempre stata la sua vita. A diciotto anni era già conosciuta come una delle migliore cuoche di Napoli. È a Posillipo che conoscerà Mario Della Notte, suo futuro marito e proprietario del ristorante «Giuseppone a mare», dove Carmela dirigerà la brigata di cucina.

Questa è una storia di destini che si incontrano. Ma è anche la storia di una poesia entrata di diritto, grazie alla straordinaria interpretazione di Sergio Bruni, che l'ha musicata, nell'immaginario collettivo di un popolo. Quando il Poeta, Salvatore Palomba, incrocia lo sguardo della ragazza nella piccola trattoria di Posillipo, e poi sente pronunciare il suo nome - Carmela - decide in un attimo che la poesia senza titolo deve chiamarsi così, come la ragazza misteriosa. Anche se Palomba, quando scrisse quei versi, non aveva in mente solo una donna, ma una città. Una città femmina piena di grazia e troppe volte violentata nella sua grazia, che piange solo se nessuno la vede, che urla solo se nessuno la sente. Carmela è Napoli, la Napoli sventrata del dopoguerra, la Napoli della

Pelle, di Zazà, dei militari americani, la città sofferente, ma coraggiosa e fiera, che risorge dalle sue ceneri, che prova a dimenticare il passato, inventarsi un presente, inseguire un futuro. Napoli, quando Palomba scrive i versi di Carmela, si era appena lasciata alle spalle l'epidemia di colera, e il vicolo nero sembrava davvero non finire mai. Il domani è soltanto speranza, nel 75 come nel dopoguerra.

In quegli anni, per campare, Salvatore Palomba faceva un altro mestiere, era direttore commerciale alla Rizzoli. Ma di poesie ne aveva scritte già tante, tantissime. Nel 75 finalmente decide di raccoglierle in una raccolta, Parole overe. Tra quelle poesie c'è Carmela. «Non pensavo solo alla mia città, ma anche a una donna immaginaria: una presenza allo stesso tempo reale, ancorata alla terra, ma rivolta verso il cielo, verso l'infinito. Una presenza salvifica...», ci dice Palomba accogliendoci nella sua bella casa di via Crispi. La rosa, la pietra e la stella nascono così, da questa visione. «Pensavo che Carmela fosse un nome desueto, ormai poco diffuso. Ma quando vidi lo sguardo di quella ragazza, così fiero, maestoso, e la sentii chiamare, non ebbi più dubbi. Ma non mi venne in mente di avvicinarla. Accadde tutto a sua insaputa».
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Stacco, Circolo della Stampa, è il novembre del 75. Salvatore Palomba sta presentando la sua raccolta di poesie, Parole overe; con lui, seduti al tavolo dei relatori, ci sono Carlo Giuffrè, Romualdo Marrone e Antonio Lubrano. In mezzo al pubblico c'è Sergio Bruni, il Maestro, un monumento della canzone napoletana. Bruni e Palomba sono amici da anni, hanno già collaborato in passato. Il Poeta regala al Maestro una copia del libro, con dedica. A mezzanotte del giorno dopo, preso da una frenesia, il Maestro telefona al Poeta: «Dobbiamo vederci. Mommò».

In quei giorni, Sergio Bruni era rimasto molto colpito da un'intervista apparsa sul Mattino. L'intervistato era Raffaello Causa, leggendario sovrintendente e personaggio di spicco della cultura napoletana. Il quale sosteneva, dall'alto della sua autorevolezza, che la canzone napoletana era morta, e che ci sarebbero voluti gli spiriti per riportarla in vita. «Bruni - ci racconta Palomba - la prese come una sfida personale. Se la canzone napoletana è morta, fu il suo pensiero, questo lo decido io, e nessun altro!».

Quel giorno Sergio Bruni decise che la canzone napoletana (che certo non se la passava bene) non era affatto morta. E per dimostrarlo scelse la più bella tra le poesie dell'amico Palomba, quella del vicolo nero che non finisce mai. Nasce così Carmela, all'incrocio tra una rosa, una pietra e una stella. Nasce dall'incontro tra due geni e dalla visione fugace di una ragazza misteriosa che si aggirava tra i tavoli di una trattoria di Posillipo. A portarla al successo sarà il grande Sergio Bruni: la sua voce - a voce e Napule, dirà un altro grande, Eduardo - possiede la malta di fonemi antichi, l'eco rurale della civiltà contadina che s'impasta, contaminandosi e contaminandola, con il progresso urbano, con le voci strozzate dei vicoli, con la nostra storia e la nostra memoria.
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«Tu chiagne sulo si' nisciuno vede/e strille sulo si' nisciuno sente/ma nunn'e' acqua' o sanghe dint'e vene/Carmela Carme'»
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Anni più tardi - Carmela è già un classico - il maestro Bruni decide di andare alla ricerca della misteriosa ragazza che serviva tra i tavoli. Rimasto incuriosito dal racconto di Palomba, vuole saperne di più. «Se ci ripenso mi viene la pelle d'oca» dice Carmela, che oggi gestisce il ristorante Zi Teresa con i figli Stella, Serena e Antonio. «Un giorno, eravamo ancora nella trattoria di famiglia, davanti a Donn'Anna, dove ora c'è un ferramenta, io e papà vedemmo entrare nel locale quest'uomo austero, severo, che pretendeva di occupare un posto dove i clienti non potevano stare. Quando glielo facciamo notare, mi dice: Carmelì assiettate, ti devo raccontare una cosa. Ma io non lo avevo riconosciuto. Mi vennero i brividi. Io e mio padre ci sedemmo».

«La persona che avete di fronte è Sergio Bruni. Carme' tu lo sai che con questo tuo bel volto hai ispirato una canzone?. Venne a trovarci altre volte, diventammo amici. La trattoria era frequentata da altri personaggi dello spettacolo, del teatro, anche Eduardo era di casa. Tempo dopo, il maestro Bruni mi invitò alla trasmissione Senza rete, dove cantò proprio Carmela. Ricordo che quando sentii per la prima volta la canzone, mi soffermai sulle parole e mi sembrarono dettate dalla sofferenza, dalla solitudine. Ho sempre provato un grande rispetto per quel testo. Che ha accompagnato tutta la mia vita, una vita che ha avuto anche dei momenti molto dolorosi. Ci sono stati dei momenti in cui volevo piangere, ma non potevo farlo davanti ai miei figli. Volevo urlare, ma non volevo che mi sentissero... tutti noi, prima o poi, avvertiamo la sensazione di percorrere un vicolo che non finisce, che sembra non finire mai. Come gli esami di Eduardo».

Napoli, novembre 2019. Quarantaquattro anni dopo, il Poeta e la ragazza si incontrano sotto lo stesso cielo che vide nascere la canzone. Si sfiorano il viso, come due innamorati. E si commuovono entrambi. Destini incrociati, specchi riflessi, ombre che si rincorrono. Dietro ogni capolavoro c'è una storia, la storia di Carmela continua a parlarci di un amore che è il contrario della morte, di un domani che è soltanto speranza, di vicoli, e notti, che forse un giorno finiranno.
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