I giochi di Starnone
e il segreto di Lila e Lenù

I giochi di Starnone e il segreto di Lila e Lenù
di Vittorio Del Tufo
Domenica 9 Dicembre 2018, 20:00 - Ultimo agg. 11 Dicembre, 11:11
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«Il rione vecchio, a differenza di noi, era rimasto identico. Resistevano le case basse e grigie, il cortile dei nostri giochi, lo stradone, le bocche scure del tunnel e la violenza. Invece era cambiato il paesaggio intorno. La distesa verdognola degli stagni non c'era più, la vecchia fabbrica di conserve si era dissolta. Al loro posto, c'erano i bagliori dei grattacieli di vetro, segni una volta di un futuro raggiante cui non aveva creduto mai nessuno».
(Elena Ferrante, L'amica geniale).

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Con le sue lunghe, anonime strade che fendono enormi macchie di erba incolta, il Rione Luzzatti si estende, tra muri scrostati e giardinetti in disarmo, fino al fascio di binari della stazione centrale e, a nord, fino al mercato Caramanico di Poggioreale. La fiction L'amica geniale, in onda su RaiUno e tratta dalla quadrilogia di Elena Ferrante, fotografa il quartiere di case popolari in vari momenti della sua storia, a cominciare dagli anni successivi alla guerra. Elena e Lila, le due protagoniste, incrociano le loro vite nel rione (e nella Napoli) degli anni 50; i protagonisti del romanzo, e della fiction, si muovono tra edifici spogli, fogne a cielo aperto e travi che sostengono mura di palazzi bombardati.

Recentemente dalla scatola dei ricordi dell'archivio fotografico Carbone - un meraviglioso luogo della memoria - sono riemersi straordinari fotogrammi in bianco e nero con scorci del rione proprio negli anni dell'infanzia delle due protagoniste. Le foto recuperate dall'archivio Carbone sono datate 3 maggio 1950. Alcune immagini mostrano scolaresche in tutto e per tutto simili a quelle dell'Amica geniale. Le cartelle, i pantaloncini corti, la maestra che accompagna i bambini nel cortile all'uscita di scuola. Il paesaggio sullo sfondo è facilmente riconoscibile: è quello delle «case basse», dove le due amiche nate dalla fantasia dell'autrice sono nate e cresciute. E dove tutti i palazzi erano dotati di scantinati che ingoiavano bambole e automobiline, e ogni volta - come si vede nella fiction - occorreva una gran prova di coraggio per andare a riprenderle. Altre immagini mostrano la scuola elementare, la stessa frequentata da Lila e Lenuccia; e poi la chiesa della Sacra Famiglia e il «tunnel a tre bocche», ovvero il cavalcavia di Gianturco che i bambini del rione guardavano sempre con un po' di paura, tanto che oltrepassarlo rappresentava una sorta di rito di passaggio per diventare grandi.

La scuola dell'Amica geniale si chiama «Quattro Giornate», in ricordo dell'insurrezione del 43. Fu costruita nella zona dei giardinetti, a poca distanza dalla chiesa del rione e dal vecchio istituto scolastico, distrutto dai bombardamenti. La vecchia scuola si chiamava «XXVIII Ottobre», per onorare l'anniversario della marcia su Roma. Maurizio Pagano e Francesco Russo, nati e cresciuti al Rione Luzzatti, nel libro I luoghi dell'amica geniale descrivono sia il vecchio che il nuovo istituto, ovvero la scuola di Lila e Lenuccia. E raccontano bene le dinamiche giovanili del quartiere scelto dalla Ferrante per ambientarvi il romanzo: «Quando un giovane giungeva da fuori, attratto dalle grazie di una ragazza del rione, prima di essere ammesso al cospetto della famiglia di lei, veniva sottoposto a una specie di controllo doganale da altri uomini del rione». È nei dintorni della scuola, o, più spesso, nell'area dove sorgeva il terrapieno dello stadio Ascarelli (demolito dopo i bombardamenti) che tra le ragazzine e i ragazzini del rione scoppiava la cosiddetta uajnella, ovvero la sassaiola all'ultima pietra, e all'ultimo bernoccolo.
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Ombre, vite passate. La famiglia del (vero) scarparo del Rione Luzzatti si chiamava Ferraiuolo e negli anni 50 abitava in via Gianturco 140. È la figlia dei Ferraiuolo, una ragazzina vivace e con i capelli biondi, la vera Lila dell'Amica geniale? Molti nel quartiere ne sono convinti. E negli anni 50 frequentava il Rione Luzzatti anche Domenico Starnone, che in tandem con la moglie Anita Raja sarebbe - secondo un'opinione ormai diffusissima - il vero autore dei libri della Ferrante. Ad avvalorare la tesi c'è ora il racconto di Nunzia Mattiacci, 75 anni, cugina di Starnone, che abita nel cancello 140 e custodisce molti ricordi d'infanzia dell'autore di Via Gemito. «Da ragazzo - ci racconta Nunzia - Domenico frequentava il rione. Veniva spessissimo a trovare i parenti, che abitavano nel quartiere. Ricordo che aveva sempre con sé un quaderno sul quale disegnava e inventava storie... Eravamo ragazzini, ma non avevamo dubbi sul fatto che da grande sarebbe diventato uno scrittore».
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Ombre, vite passate. Come quella del mitico maestro Agostino Collina, che insegnò sia alla «XXVIII Ottobre» che alla «Quattro Giornale». Insegnante d'altri tempi, amatissimo da più generazioni di alunni e fondatore, alla fine degli anni 40, della Biblioteca Popolare Circolante, un punto di riferimento soprattutto per chi non poteva permettersi di andare a scuola. Fu lui a inventare la formula dei libri a prestito, per diffondere la cultura in un quartiere profondamente segnato dalla guerra. Ai suoi funerali, nell'aprile 75, partecipò l'intero rione. La figura del professor Collina, splendidamente tratteggiata dalla Ferrante e da Saverio Costanzo, regista della serie tv, è ritagliata proprio su quella dell'inventore della Biblioteca Circolante.

Tanto nei romanzi della Ferrante quanto nella fiction si fa spesso riferimento agli «stagni». Gli anziani del rione, raccontano Maurizio Pagano e Francesco Russo, ricordano che costeggiando la scarpata della vicina ferrovia un fiumiciattolo arrivava fino a piazza Coppola. E un vecchietto, zi' Peppe, per pochi centesimi ti faceva fare un giro sulla barchetta. Anche dall'altro lato del rione, verso Poggioreale, c'erano gli stagni. Il motivo è da ricercare nella conformazione orografica del quartiere. Il Rione Luzzatti fu costruito, tra il 1914 e il 1925, nella zona dove si trovavano le antiche conche del Pasconcello, affondate nella zona delle paludi napoletane. Nei primi decenni del Novecento il territorio del rione Luzzatti era stato talmente paludoso che per raggiungere le abitazioni costruite dall'Istituto Case Popolari bisognava servirsi di una barca. In estate, quando le acque si prosciugavano, la pianura si copriva di una foltissima vegetazione che richiamava al pascolo, come era scritto ancora in alcune guide turistiche, «la maggior parte dei cavalli della città». Prima che gli sconvolgimenti subiti del territorio, a cominciare dal grande maremoto del 1343, ne provocassero la scomparsa, la zona dove oggi sorge il Rione Luzzatti era lambita dalle acque del mitico fiume Sebeto. Di cui restano ancora tracce, sparse qua e là. Come nei sotterranei della chiesa della Sacra Famiglia, dove sorge una vera e propria falda acquifera che prosegue fino al Centro Direzionale.
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Ombre, vite passate. Come quella di Giorgio Ascarelli, l'industriale ebreo che fondò il Napoli Calcio nel 1926 pagando di tasca sua il primo (e unico) stadio di proprietà del club. Ascarelli non fece in tempo a godersi lo stadio che avrebbe portato il suo nome. L'industriale sopravvisse solo diciassette giorni all'inaugurazione del campo di gioco, che allora si chiamava «Vesuvio» e che solo dopo la sua morte, a furor di popolo, venne ribattezzato stadio Ascarelli. L'impianto era stato costruito in legno, tra il 1929 e il 1930, nel rione Luzzatti. Venne inaugurato il 23 febbraio 1930 e distrutto dai bombardamenti alleati nel 42. Le bombe lo trasformarono in una poltiglia, in un cumulo di macerie. Gli anziani del quartiere ricordano ancora oggi che la zona dove sorgeva lo stadio - tra via Vesuvio e la ferrovia - venne utilizzata per scaricare rottami, cemento, vetro e lamiere di tanti altri edifici distrutti dalle bombe cadute sulla città durante la II Guerra Mondiale. Già da tempo aveva cambiato nome, in conseguenza delle scellerate leggi razziali: Ascarelli infatti era ebreo, e il regime fascista non poteva tollerare che il tempio dello sport cittadino continuasse a portare il suo nome. Così lo stadio fu ribattezzato «Partenopeo», ma il nome del fondatore continuò (e continua tuttora) a identificare una parte del rione Luzzatti, e in particolare la zona dove sorgeva lo stadio. Certe vite non passano invano.
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