L'alba della Tangenziale:
il romanzo degli uomini
che fecero l'impresa di Napoli

L'alba della Tangenziale: il romanzo degli uomini che fecero l'impresa di Napoli
di Vittorio Del Tufo
Domenica 19 Gennaio 2020, 20:00
6 Minuti di Lettura
«Le distese azzurre e le verdi terre/le discese ardite e le risalite/su nel cielo aperto e poi giù il deserto/e poi ancora in alto con un grande salto» 
(Battisti-Mogol, Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi...)
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Verso la metà degli anni 60 - erano gli anni del boom economico - Napoli poteva concedersi lo sfizio di sognarsi diversa da com'era. Poteva allargare i confini, per non restare immobile e soffocare. Poteva estendere la possibilità di movimento. Espandersi. Ed espandere, in questo modo, l'idea stessa di paesaggio urbano. Dunque, per dirla con Italo Calvino, espandere il paesaggio della sua anima. Quello che oggi diamo per scontato - tutto è connesso con tutto, Napoli non è solo Napoli, ci si può arrampicare lungo le colline e poi scivolare verso la Domiziana e il mare - alla metà degli anni 60 lo era un po' meno. Per questo motivo un gruppo di uomini, che potremmo definire pionieri, in quel periodo cominciò a studiare, piantina alla mano, la conformazione urbanistica della città per progettare una grande arteria autostradale che collegasse Napoli alla sua grande area metropolitana e, l'uno all'altro, i diversi quartieri della città.

Chi furono i pionieri della Tangenziale? Si può raccontare la storia di questa arteria (spesso maledetta dagli automobilisti eppure fondamentale per la mobilità cittadina) restituendo ad essa un alone, per così dire, romantico? Tutto cominciò il 24 marzo del 66: era nata la società Infrasud, costituita dall'Iri (70%), dal Banco di Napoli (15%) e dalla Sme Finanziaria (15%). Occorre un notevole sforzo di fantasia per immaginare la Tangenziale prima della Tangenziale. Bisogna immaginare, per esempio, i progettisti dell'opera che percorrono a piedi il tracciato - allora immerso nelle colline o, come vedremo, in immense discariche - per decidere da che parte sarebbero dovuti avanzare i futuri lavori. Di qua si può passare? Bene, passiamo. Di qua non si può passare? Pazienza, cerchiamo un'alternativa. Le ispezioni per definire il tracciato dovevano tener conto dell'orografia e delle caratteristiche (molto particolari) del territorio, delle discese ardite e delle risalite, delle altezze strabilianti da superare attraverso viadotti come quello (innovativo) di Capodichino, ma anche delle cavità naturali, degli antichi laghi incontrati lungo il cammino, delle discariche di rifiuti; finanche la mitica casa del Volto Santo di Capodimonte, con le moltitudini di fedeli che ogni giorno accorrevano a venerare la sacra immagine del volto di Cristo, rappresentò a un certo punto un problema perché costrinse i progettisti a rallentare i rilievi e rese più complessa la realizzazione dell'imbocco, lato Est, della galleria di Capodimonte. Insomma problemi e ostacoli di ogni tipo.

Alla guida del santuario Iri, in quegli anni, c'erano uomini come Giuseppe Petrilli e Leopoldo Medugno, rispettivamente presidente e amministratore delegato, entrambi di origini campane. Ma tra gli uomini che fecero l'impresa vanno ricordati ingegneri tenaci come Ugo Carotenuto (della Sme finanziaria), Umberto Cioffi (che conosce ogni bullone del viadotto di Capodichino), Guido Boldoni (il padre di Patrizia, futuro suocero di Corrado Ferlaino) che era direttore tecnico della Spea, la società che sviluppa servizi integrati di ingegneria nel settore delle infrastrutture di trasporto, e Giovanni Ricciuti, direttore tecnico dela società Italstrade, la struttura di riferimento dell'Iri per le costruzioni.

La Tangenziale come la conosciamo oggi deve molto a un ingegnere napoletano, Ernesto Schiano, che all'epoca, metà anni 60, era un giovane assistente all'Università di Ingegneria di Roma. Schiano fu uno dei primi progettisti della Tangenziale. Mandarono lui a fare i primi rilievi proprio perché era il più giovane. In seguito sarebbe diventato il capo dei progettisti e poi il direttore tecnico e il direttore generale della società. «Dovevo percorrere il tracciato a piedi, tutti i santi giorni. Valutare gli ostacoli e gli imprevisti. I punti più critici erano la conca di Agnano, che originariamente era un'area lacustre, e l'area dove sarebbe dovuta sorgere la galleria del Vomero: era piena di cavità sotterranee che andavano messe in sicurezza. Per raggiungere il Vomero da Fuorigrotta bisognava attraversare un'immensa discarica di rifiuti, individuando un adeguato sistema di palificazione. All'altezza di Capodimonte il problema era un altro: proteggere i siti storici che incontravamo lungo il nostro cammino, a cominciare dal Palazzo Reale e dalle adiacenti Scuderie. Tali implicazioni costrinsero i tecnici a progettare una galleria con diverse curve all'interno. Per superare la zona della Solfatara, invece, occorrevano un costante controllo della temperatura e materiali idonei a resistere a quelle temperature. Per attraversare la conca di Agnano, il rilevato autostradale fu realizzato utilizzando anche, in parte, la loppa di altoforno proveniente dallo stabilimento Italsider di Bagnoli».
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Il progetto vero e proprio prese forma il 31 gennaio 1968 - il sindaco era Giovanni Principe, il cardinale Corrado Ursi, il capitano del Napoli Antonio Juliano - quando venne firmata una convenzione tra ANAS e Infrasud per la costruzione ed il successivo affidamento della gestione per 33 anni del percorso viario. Fu un'opera da 46 miliardi di lire, e venne realizzata da diverse imprese sia pubbliche che private. Il pedaggio, che fu introdotto per ripagare le spese di costruzione dell'opera, sarebbe dovuto rimanere, in base a un accordo con l'Anas, fino al 2001. Ma poi, nonostante l'accordo fosse scaduto, è rimasto senza motivazioni ufficiali per 7 anni, dal 2001 al 2008. Nel 2008 è stata firmata una nuova convenzione (scadrà nel 2037) e pertanto ora il pedaggio, tra mille polemiche, resta confermato, ufficialmente per finanziare interventi in zona ospedaliera.

I padri fondatori della Tangenziale furono dunque l'Iri, il Banco di Napoli e la Sme Finanziaria. Tra i protagonisti va ricordato anche l'irpino Alberto Servidio, esponente democristiano di primissimo piano e assessore all'urbanistica nella giunta comunale guidata da Ferdinando Clemente di San Luca, che fu sindaco prima di Giovanni Principe. L'8 luglio 1972 è una data fondamentale per la nuova autostrada urbana di Napoli: quel giorno viene aperto il primo tratto, dalla Domitiana allo svincolo di Fuorigrotta. Seguirà l'apertura del secondo tratto fino al Vomero (gennaio 1973), dello svincolo dei Camaldoli (aprile 1973), dello svincolo Arenella (febbraio 1975), della barriera di Capodichino (novembre 1975), dello svincolo di corso Malta (marzo 1976), Capodimonte (gennaio 1977), Zona ospedaliera (maggio 1992). La scelta di raddoppiare l'uscita del Vomero con lo svincolo di via Caldieri fu dettata non solo da motivi funzionali ma anche estetici. Ricorda Schiano: «Avevamo ancora davanti agli occhi le immagini del film Le mani della città di Francesco Rosi... La realizzazione dello svincolo di via Caldieri ci consentì di risistemare urbanisticamente l'area coprendo numerose brutture, come i tralicci che si vedono nel film di Rosi».
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La storia della Tangenziale di Napoli, relativamente recente, affonda in realtà le radici in un passato molto più remoto. Con un rescritto del 31 maggio 1853 Ferdinando II di Borbone stabilì alcune indicazioni in materia di tutela paesistica per la costruzione di una nuova strada, il cui tracciato a mezza costa, seguendo l'orografia del terreno e cingendo la collina di San Martino, doveva collegare la zona occidentale con quella orientale della città: quel progetto ci ha lasciato l'attuale corso Vittorio Emanuele, che a pieno titolo può essere considerato la Tangenziale ottocentesca. Ma Napoli è sempre stata città pioniera di strade tangenziali al centro cittadino. Nel 1536 il viceré don Pedro de Toledo decise di realizzare la strada carrozzabile che ancora oggi porta il suo nome per collegare la vecchia città alla nuova residenza vicereale, che poi sarebbe stata demolita nel 1600 per fare spazio al nuovo Palazzo Reale di Domenico Fontana. L'asse stradale fu ricavato interrando il Chiavicone, una fogna ad alveo aperto che, da Montesanto, scendeva verso il mare raccogliendo l'acqua piovana e i liquami della collina del Vomero. Bisogna risalire ancora più indietro nel tempo per trovare la vera antesignana della moderna autostrada urbana A56. La primissima tangenziale di Napoli, infatti, venne costruita dai romani. Si chiamava via per colles (successivamente denominata via Antiniana) ed è stata a lungo l'unica strada di collegamento tra Napoli e la zona flegrea.
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