Abusò di una paziente,
radiologo condannato a tre anni

Abusò di una paziente, radiologo condannato a tre anni
di Petronilla Carillo
Mercoledì 10 Marzo 2021, 06:35 - Ultimo agg. 09:19
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Si era professato innocente, era tornato al suo posto di lavoro presso il reparto di radiologia dell’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona una volta «riabilitato», dopo l’interdizione, dai giudici del Riesame. Aveva rilasciato interviste, urlando la propria «innocenza». Ma la sua vicenda giudiziaria si è conclusa (per il momento) con una condanna anche abbastanza pesante: tre anni di reclusione, interdizione perpetua da qualsiasi ufficio riguardante la tutela, la curatela o l’amministrazione di sostegno; e di cinque dai pubblici uffici; interdetto per tre anni dalla professione e condannata anche al pagamento di una provvisionale di diecimila euro a favore della vittima. A favore del medico Mattia Carbone, originario di Battipaglia ma primario facente funzione al Ruggi, accusato di violenza sessuale nei confronti di una paziente, si erano mobilitati in tanti costituendo anche gruppi di sostegno al medico sulle piattaforme social. La sentenza di prima grado, con rito alternativo, emessa dal gup Gerardina Romaniello, chiude ora un capitolo. Bisognerà infatti attendere le motivazioni per capire se il medico deciderà di proporre appello. 

Nella sua richiesta di rinvio a giudizio il sostituto procuratore Mafalda Daria Cioncada descrive nel dettaglio l’episodio incriminato così come denunciato dalla giovane paziente.

La donna, una quarantenne, doveva essere sottoposta ad un controllo completo dei linfonodi. Quando entrò all’interno dell’ambulatorio ospedaliero, scrive il pm, il medico «la costrinse, ponendola in una condizione di sottomissione psicologica, a subire atti sessuali». In particolare - scrive l’accusa - dopo averla fatta stendere sul lettino e spogliata completamente senza neanche offrirle un telo per coprirsi, la cospargeva di gel il collo, il seno e l’inguine, stimolandone prima i capezzoli in modo insistente e poi le parti intime con la mano libera senza guanto fino a simulare, infilando le dita nella vagina» con insistenza. Quindi l’avrebbe fatta girare a pancia in giù «massaggiandole il collo, la schiena invitandola a rilassarsi e poi le parti intime» per farla poi rigirare «stimolando le parti intime» ancora una volta. Secondo quanto poi denunciato dalla vittima, e riportato nella richiesta di rinvio a giudizio, le avrebbe anche chiesto «quale dato inserire in un ipotetico referto (mai rilasciatole) ad esempio secchezza delle mucose, salvo poi affermare, sorridendo, che questo non gli sembrava il suo caso». Secondo l’accusa, poi, una volta che la vittima si era rivestita, le avrebbe chiesto di togliersi la maglia per «controllare il seno, posizionandosi dietro di lei ed appoggiando il suo corpo a quello della donna» e «palpeggiando il seno lateralmente» avrebbe sostenuto che c’era bisogno di un altro controllo invitando la donna a fare una doccia nel suo studio. La vittima si rifiutò. Per la procura, ad aggravare il reato di violenza sessuale, è di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera. 

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